San Donato |
Santa Eugenia |
San Flaviano |
San Fausto |
La Domenica delle Palme
a Torre aveva inizio la solenne festa della "Invenzione o Esaltazione
della Croce"; nella nostra città, secondo alcuni
documenti, già si svolgeva alla fine del '400.
L'origine della festa
risaliva forse al periodo delle crociate. In vari punti del paese si
innalzavano delle croci che venivano adornate con rami d'ulivo, festoni e
lampade. La festa durava diversi giorni e terminava il 3 di Maggio. Il rito
ricordava il ritrovamento della vera Croce da parte di Sant'Elena (a Torre
si invocava "santa Lena" quando si perdeva qualcosa e la si voleva
recuperare) e del patriarca di Gerusalemme Macarios nel IV secolo. Sul
Calvario furono ritrovate le tre croci fra le quali anche quelle dei
ladroni. Per verificare quale fosse quella del Cristo fu portata una donna
ammalata che toccando una delle tre, guarì. Per il ritrovamento della
reliquia si fece gran festa. Da allora schegge della Croce partirono
per tutte le direzioni del mondo a seguito di prelati, pellegrini, crociati;
frammenti abbinati a volte a talismani oppure usati come ambitissima merce
di scambio con autenticazioni a volte contraffatte e incastonati dentro
croci preziose. La processione primitiva muoveva con pianti e canti dalla
chiesa di Santa Maria dell'Ospedale "alli Cancelli", che svolgeva la
funzione di Chiesa Maggiore parrocchiale fino al 1578, per poi giungere allo
spazio "delli Falanga" dove veniva trovata la Vera Croce. In quel luogo
sarebbe sorta più tardi un'altra chiesa più grande, quella di Santa Croce.
Il richiamo della croce in quel sacro sito forse non era un caso. Da quel
novello tempio nel '600 sarebbe partita la nuova processione. Essa era
costituita in testa dal clero, i confratelli (i papuoti), gli ordini
monastici, i preti e l'arciprete in pompa magna uscivano per la ricerca
della Vera Croce fra le tante poste in varie località che ne ricevevano il
nome. Quando si trovava quella ambita, un'altra suggestiva processione
procedeva fra i vari quartieri del paese con un rito tutto speciale. Essa
era preceduta dall'Angelo Michele in funzione di condottiero con a seguito
gli otto santi tutelari dell'Università Torrese cioè i "Corpi Santi". I
Corpi Santi erano i mezzi busti degli otto protettori contenenti le loro
reliquie: S. Alessandro, S. Eugenia, S. Timoteo, S. Ireneo, S. Flaviano, S.
Abbondio, S. Donato, patroni secondari, e S. Fausto, principale protettore
dell'Università Torrese.
Le reliquie di questi
martiri forse furono le prime ad arrivare a Torre e il loro culto aveva
probabilmente origine orientale. Ad essi si aggiungevano altri busti di
santi più conosciuti dall'agiografia e dall'onomastica. Ogni santo
rappresentava congregazioni di arti, mestieri e professioni; ognuno adornava
con lumi e fiori il suo santo che veniva trasportato dai propri devoti o
"deputati" con addosso particolari distintivi della corporazione. Il
penultimo busto era quello di san Fausto accompagnato dai fedeli e dagli
Eletti. Egli aveva la funzione di proteggere l'immagine della Madonna
Immacolata posta sotto il pallio che chiudeva il corteo. Il protettore
principale San Fausto, il "Santo dell'Università", era preceduto da
trombettieri, suonatori di corni da caccia e circondato da ceri e torce; lo trasportavano i "Bastasi" tutto a spese dell'Università. Nella cappella
dell'Immacolata Concezione di Santa Croce nel '600-700, insieme al
Santissimo Sacramento vi erano le nicchie ove si riponevano a fine festa i
simulacri a mezzo busto in legno che, con l'aumentare della ricchezza dei
torresi, sarebbero diventati d'argento.
Nel '700 vi erano
inoltre otto tele dedicate a questi tutelari, opere dell'artista De Mura. Il
corteo percorreva le strade addobbate con arazzi, copertine, nastri e
infiorate che erano sparse sul fondo
stradale dove sarebbero passati i santi. A volte i portatori litigavano su
chi dovesse precedere e chi stare dietro sebbene venisse effettuato un
sorteggio. Sant'Ireneo era protettore dei "potecari" ossia i bottegai, S.
Timoteo e S. Abbondio assieme protettori dei marinai anche se il ceto dei
pescatori era affezionato al primo. San Donato decapitato durante il suo
martirio, era protettore degli epilettici e dei malati di mente, tra i quali
vi erano i sofferenti del "mal di luna", ossia i lupi mannari, in torrese i
"pummunari"; San Donato doveva essere molto venerato dai popoli vesuviani
dell'entroterra che venivano a Torre ad onorarlo e accompagnarlo. Alla
processione dei Corpi concorrevano i vari casali della Torre con musiche e
suoni. Il popolo torrese devoto e i "forestieri" provenienti da altre zone
seguivano, strada per strada, trepidanti e ansiosi, fra il pregare e il
salmodiare dei religiosi e il pianto delle donne, la ricerca spasmodica
della Vera Croce. Poi quando i processionanti ritenevano di essere
finalmente giunti al Suo ritrovamento, una gioia immensa pervadeva fedeli e
devoti. Le statue pellegrine arrivate di corsa sul posto grazie al
portatori, avevano la funzione di riconoscere e confermare con l'ausilio e
l'amore materno della Madonna che era l'ultima della serie, la vera croce del supplizio e
così adorarla Le statue poste attorno alla Vera Croce assistevano speranzose al rito di
conferma della madre di Gesù. A questo punto la gioia che nasceva
dall'attesa speranzosa del "Si, è Lei" della Madre, sfociava nel giubilo
accompagnato da lacrime di liberazione. La festa era per solennità simile a
quella del Corpus Domini.
La sacra
rappresentazione con la ricerca simbolica della croce venne meno quando
Carlo Carafa, principe di Butera e Grande di Spagna, nel 1687 inviò
all'amato popolo torrese una scheggia della santa croce racchiusa in una
piccola urna di cristallo.
La festa del ritrovamento della Croce nel
'600-700 animava il paese rompendone la monotonia e tutti la attendevano.
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cerco quello che non trovo
trovo quello che non cerco |
provenienti dalla zona vesuviana offrivano i loro prodotti: ricottari, olivari e caprettari dalla zona sommese, maruzzari e venditori di
anguille dalla zona sarnese, cevazaiuoli dalla zona di Ottaiano, venditori
di frutta secca dalla zona palmese. Si vedevano monaci e suore da diversi
conventi e monasteri, questuanti e mendicanti, suonatori di strada con
tamburelli, sischi, colascioni, triccaballacche, scetavaiasse, putipu,
nacchere e tamorre e ancora teatranti, zingari fabbri e zingari indovini;
era insomma una folla variopinta. Alla luce di torce, lanterne, candele e
lampioni, la festa continuava fino a tardi con un'esuberanza di fuochi
artificiali. A Torre era festa grande e leccornie tipiche sulla tavola dei
torresi non mancavano a pranzo o a cena.
Ritornando ai santi patroni, si deve ricordare che per San Fausto
nel giorno a lui dedicato, la comunità spendeva 30 ducati per i
festeggiamenti, cifra inferiore solo a quella del Corpus Domini e del
ritrovamento della Croce. Fu protettore di Torre fino al 1794 poi si perse
stranamente la memoria sua e degli altri magnifici protettori. Quale ne fu
la causa? Nel Medioevo era nata l'usanza dei Patronati, cioè città e
comunità sentirono il bisogno di un patrono per il quale si fissava la data
della festività. Poi l'uso del patrono o protettore venne esteso alle
congregazioni. La richiesta di ottenere la "patronanza" veniva fatta con due
distinte suppliche: una da parte del clero, un'altra da parte del
decurionato ossia l'amministrazione civile. Il vescovo poi inviava la
richiesta al Papa che la concordava e semmai si incaricava, tramite
delegati, di rifornire reliquie alla comunità richiedente, tratte dalle
catacombe romane. San Fausto fu dimenticato forse perché molti torresi dopo
l'immane eruzione del 1794 scapparono in altri luoghi e venne meno la
reminiscenza supportata dalla festa e dalla tradizione. La catastrofe
naturale distrusse la chiesa di Santa Croce con i bellissimi busti dei santi
protettori che non ebbero più la loro statua. E così anche il ricordo fini
nell'oblio. A ciò si aggiunse anche una certa moda nell'800, di voler
sostituire santi protettori con altri, per l'opera influente che avevano
certi personaggi laici o ecclesiastici, oppure ceti, corporazioni o ancora
opere missionarie. Il clero, le autorità in nome del popolo invitavano il Re
e il Vescovo affinché si facessero da mediatori presso il Papa che
confermava in genere la nuova scelta patronale. Le innovazioni avvenivano
anche per emulazione alla grande città vicina che aveva il suo santo
patrono, o anche per mera superstizione.
Nel Vesuviano per far capire la portata del fenomeno assistiamo ai
seguenti cambiamenti: a Santa Anastasia si passò da S. Michele a S.
Francesco Saverio (la santa Nastasia o santo Nastasio era pressoché
sconosciuta al popolo) per opera dei gesuiti missionari di Francesco Saverio
Santarelli che inculcarono nella gente anastasiana la devozione al santo che
portava il nome del fondatore, a Trecase nel 1906 si passò da Santa Maria
delle Grazie a S. Gennaro, a Torre Annunziata nel 1849 si passò dalla S.
Annunziata alla Madonna della Neve, a Resina dalla Madonna di Pugliano a S.
Gennaro per ragioni meramente amministrative, a Somma Vesuviana dalla
Madonna di Castello a S. Gennaro, a Pollena da S. Apollinare a S. Giacomo,
culto verso l'apostolo introdotto nel napoletano dai gesuiti. Poche
cittadine vesuviane rimasero fedeli ai loro antichi patroni. Così pure a
Torre si affermava l'idea alla fine del '700 di S. Gennaro come santo
patrono. I pagamenti per la bella opera di Solimena "la Decollazione di San
Gennaro" ancora oggi visibile, furono eseguiti non a caso da un certo notaio
torrese, Gennaro Palomba, Governatore a Santa Croce fino al 1735, persona
molto ricca e influente. A ciò si aggiunse anche lo spirito emulativo verso
la grande città di Napoli. Non dimentichiamo comunque che il santo
beneventano era il patrono della Chiesa Metropolitana del Regno. Con la
costruzione di ville e case padronali nella zona vesuviana nel '700 da parte
di patrizi ed ecclesiastici napoletani si ebbe inoltre una colonizzazione
culturale nella nostra area.
Essi importarono dalle nostre parti il culto del santo patrono
napoletano. Più che difendere i paesi vesuviani dalle ire del vulcano essi
intendevano tutelare i loro poderi dal potere distruttivo della lava. Tanti
piccoli busti di S. Gennaro sugli archi delle antiche ville ne sono
testimonianza. Così fece un tal Cioffo, sconosciuto prete napoletano che
possedeva una masseria a Torre. Donò nel '700 alla chiesa di Santa Croce
frammenti ossei del santo decapitato grazie al vicario generale della
diocesi sannita. Lo stesso S. Gennaro non sempre era amato dal popolo
napoletano, accusato a volte di stare dalla parte dei giacobini. L'opera
instancabile del nostro Beato incoraggiò e rafforzò il culto verso il
patrono napoletano da parte dei torresi. Intanto un'altra scheggia fu donata
dal cardinale Zurlo nel 1798 dopo la catastrofe del 1794.
Con il tramonto della festa dell'Esaltazione della Croce e dei
Santi Protettori torresi si perse una tradizione delle più belle di Torre
antica. Un ricordo del sacro mistero dell'invenzione della Croce rimase il 3
maggio quando si celebrava la festa di " Tutti i Santi". Questa festa durò
fino agli anni cinquanta (da non confondere con la festa di Ognissanti) ma
non ebbe più lo scopo di festeggiare il trionfo della croce che diede nome e
titolo alla antica chiesa di Santa Croce.
Sant'Ireneo |
San Timoteo |
Sant'Abbondio |
Sant'Alessandro |
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CONTINUA SUL PROSSIMO NUMERO
Ha collaborato alla ricerca mio padre Salvatore cultore ed appassionato di
Storia locale a cui gli dedico l'articolo. Egli aveva alcuni appunti da cui
ho tratto le notizie. Spero che nella sua Eternità con sé si sia portato il
ricordo di chi gli volle bene. |