Michele Izzo

Tratto dal libro "I pupanti e l'opera dei pupi" di Michele Izzo. Quinci Edizioni. Livorno. 1992.Per gentile concessione dell'autore. 

"Oltre ai dieci anni di apprendistato poi promosso professionista, fui costretto ad interrompere la carriera artistica per compiere un dovere impostomi dallo Stato, una interruzione di ben cinque anni di lavoro, 1'attività riprese nel 1946 lavorando con diverse compagnie, cambiandole di mia spontanea volontà; al teatro del Popolo di Foria mi licenziai perche ero troppo sacrificato, la sera terminato il lavoro dormivo sulle tavole del palcoscenico con un materassino diviso con mio cugino Antonio Perrillo.

            
                             Michele Izzo

Eravamo costretti a ciò perché il tram n.55 partiva con 1'ultima corsa alle ore 22,30 mentre noi lavoravamo ancora. Una volta alla settimana uno di noi due saltava il secondo spettacolo per andare a casa. Vita dura per chi possiede una famiglia, una volta litigammo perché 1'altro saltò il turno, era la serata mia, ma il direttore non volle storie ci punì non mandandoci entrambi, a me non andç a genio ed alla fine del primo spettacolo andai via.
Mi fu raccontato in seguito che all'inizio del secondo spettacolo il direttore mi cerco non si poteva andare in scena perché mancava il primo attore, ma lui non si scoraggio subito mi sostituì. Restai disoccupato per un po', il teatro di via Antonio Luise in Torre del Greco era chiuso, feci un accordo con il figlio del proprietario, lo aprimmo senza lo spettacolo dei pupi, formammo una compagnia di attori locali davamo spettacoli misti, sceneggiate, commediole, varietà, per i testi e la regia ci alternavamo io e mio zio Raffaele Perrillo, il ricavato, levate le spese, lo dividevamo a parti uguali tutti i componenti della compagnia ed il proprietario, una vera ed onesta società, quelle, poche lire serali per ogni uno di noi ci metteva il piatto della minestra sul tavolo, sosteneva un po' la famiglia, erano tempi brutti quelli, ma chi viveva con il Teatro, fino agli anni '60-'70 ha sempre vissuto in miseria, un guadagno discreto lo faceva chi aveva un nome di cartello ed il capocomico, ma adesso che tutto è cambiato chi esercita viene pagato con una paga discreta, solo chi non lavorava fisso era un po' a disagio, ma non ci sono più i cosi detti scavalcamontagna, non si gira più per i piccoli paesi, nessuno di loro dorme più sui banchi, e sulle tavole del palcoscenico, nemmeno nelle sale d'aspetto delle piccole stazioncine della Ferrovia, girano per le grandi citta, dormono in albergo, vivono più da cristiani. Passato 1'inverno in questo teatro, d'estate mi arrangiavo con le feste di piazza, tanto in uso in campagna, il mio ruolo era comico macchiettista, mi esibivo sui palchi, improvvisati dall'organizzatore della festa ('o mastefesto). Tornò 1'autunno, Ciro Perna (o' scudiero) da Casoria si trasferì a Napoli e aprì il Teatro in Via dei Guantai, mi incluse nella sua compagnia, lavoravo con lui, s'incominciava a riattivare ogni cosa, il tram 55 cambiò numero e divenne il 155, faceva le corse normali fino a mezzanotte e poi il notturno faceva una corsa ogni ora, per me era comodo perché abitavo a Torre del Greco. Continuai fin quando duro la permanenza, due anni, poi Ciro ritorno a Casoria.
Mi scritturai con il figlio Giuseppe (Peppe 'o scudiero); per il Teatro a Pozzuoli, anche qui mi veniva un po' scomodo partire di casa alle ore 16,00 per arrivare sul posto di lavoro alle ore 18,00 per arrivarci dovevo cambiare due mezzi di trasporto, al ritorno partivo da Pozzuoli con 1'ultima corsa della Metropolitana alle ore 23,00 scendevo alla stazione di Piazza Cavour, camminavo tutta la Via Duomo e prendevo il notturno per Torre del Greco; una volta arrivato a casa, alle 06,00 di mattina fui fermato dalla Polizia Notturna; dopo sceso dalla Metropolitana camminavo la Via Duomo, accompagnato dai padroni del teatro, ci salutammo all'angolo di Via Forcella (loro abitavano nel Vico Ziti), io proseguivo, sentii il rumore del tram, presi una rincorsa credendo che fosse quello che dovevo prendere, quando arrivai alla fermata mi accorsi che non era quello giusto e non ci salii, restai ad aspettare quello giusto, si avvicinarono due agenti in borghese, chiedendomi perché scappavo, spiegata la ragione, non mi cresero, mi invitarono a seguirli e mi portarono al Commissariato; lì trovammo un Maresciallo in borghese ed un carabiniere in divisa, presentai i documenti e vollero sapere perché mi trovavo a Napoli a quell'ora, raccontai la mia ragione e non fui creduto, mentre si svolgeva questa operazione portarono due uomini che avevano mangiato in una pizzeria e non volevano pagare il conto, si giustificavano dicendo che non avevano soldi, i due erano milanesi, autisti in attesa di carico per partire e ritornare a casa, la loro questione si concluse perché arrivo un garante che s'impegnava a pagare il conto, lo faceva perché questi dovevano trasportare merce di sua proprietà, i due furono mandati via, il maresciallo disse alle guardie, di quest'altro cosa ne facciamo?... Mandiamo anche lui a Torre del Greco: per me puoi andare chiedi scusa alla guardia e vattene via, gli risposi con una sola battuta: che ho fatto?
Me ne andai via senza dire né buon giorno, né grazie perché non lo meritavano, avevano commesso un'ingiustizia trattenendomi per quattro ore in compagnia con me a Pozzuoli ci lavorava un anziano per la recitazione in lingua, 1'italiano lo parlava corretto, ma si fermava per ammonire coloro che nella sala parlavano ad alta voce e davano disturbo alla recitazione, mi veniva da ridere (es. recitava con il pupo Rinaldo, parlava 1'italiano poi si fermava e diceva: "a vulite furni' si o no?"). 

Quello stacco che dalla lingua italiana passava al dialetto Pozzolano stonava in una maniera tale che chi non voleva ridere non rideva, costui era locale e si chiamava Don Achille.
Dopo due, tre mesi sloggiai anche da qui, il viaggio era lungo e viaggiare di notte era pericoloso, vi ho detto che fui trattenuto per sospetto, i proverbi non si sbagliano mai (chi va per questi mari, questi pesci piglia) chiesi 1'avvicinamento, feci cambio con Vincenzo (o' casciaro) costui lavorava con un altro Giuseppe Perna a Resina, (Ercolano) lui viveva solo e dormiva nel teatro ci era abituato, mi avvicinai a casa mia, dopo fatto il mio lavoro tornavo al focolare domestico, per risparmiare perché la paga era poca, camminavo a piedi, avevo un amico che veniva con me come suonatore, suonava il mandolino, il povero amico Rafele, era dura la vita per tutti. L'anno dopo ritornai all'ovile, a conti fatti anche se percepivo qualche lira in più ce le rimettevo di viaggio, il Buonandi mi aspettava, disse: "io lo sapevo che tu tornavi, chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quello che lascia ma non sa quello che trova".

 
                Pupi costruiti dallo stesso Izzo

Cominciai a costruirmi i pupi un po' più piccoli era per tentare una nuova avventura, organizzare lo spettacolo viaggiante e cercare di sfondare, la merce la dovevo trasportare per ferrovia, non potevo comprare un camion per mancanza di capitale, avevo solo 1'iniziativa e tanta volontà di fare, bisogna guardare dietro e prendere esempio da vecchi detti: soldi fa soldi, pidocchi fa pidocchi.
L'intelligenza e la volontà contano poco per potersi fare largo nella vita, oggi chi ci prova trova meno ostacoli, è più facile attrezzarsi con i mezzi meccanici, ma non è per me ormai sono vecchio. L'estate del '49 mi avventurai, mi trasferii a Livorno e rappresentai diversi spettacoli nei circoli culturali, esistenti nella città e nei paesi della provincia, con pochi aiutanti che dovevo pagare con un compenso adeguato, il ricavato non bastava e decisi di ritornare ancora una volta al mio paese. Non c'erano piu i teatri con i pupi in tutta la città di Napoli e mi aggregai con chi operava a Torre, ci restai pochi mesi dopo di che mi balenò nella mente di provare a fare un altro tentativo più a Sud, mi trasferii nella provincia di Cosenza, anche in questa zona non trovai adesione, fui costretto a fare marcia indietro, e a Livorno mutai la professione ed entrai nella categoria dei commercianti, con una attività che ho condotto fin quando si sono maturati gli anni per poter ottenere la pensione.
Poi smisi del tutto, sono stato lontano dall'attività teatrale per 30 anni, ai primi di gennaio del '83, mi recai a far visita a mio fratello Vincenzo, conosciutissimo Marco Antonio a Torre, che ha 80 anni (oggi 89, N.d.R.) ed e ancora sulla breccia, Canta e recita indossando il camicione e la gloriosa maschera di Pulcinella. In casa di lui trovai un organizzatore di spettacoli per la RAI, costui visto che anch'io ero un appassionato mi invitò a partecipare ad un programma per il carnevale, dopo 1'accordo fatto ci portarono negli studi della RAI a Fuorigrotta per la registrazione, il giovane organizzatore si chiama Enzo Clausio, nel suo spettacolo prima radiofonico e poi televisivo, ci presi parte con mio fratello Vincenzo, registrazione che andava in onda sulla terza rete e trasmesso per il programma regionale
L'anno dopo lo stesso Clausio mi fece partecipare a un altro programma sulla seconda rete, questa volta con i pupi, lo spettacolo si intitolava: gli ultimi Pulcinella di Elma Pierantonio, proposto da Claudio Lavazza e Maria Meloni inserito nel programma in onda il sabato dopo il telegiornale "Bella Italia, le cose che scompaiono", su Rai Due, e da qui sono ripartito un altra volta, mi sono costruito una trentina di pupi, scenari e tutto 1'occorrente per poter agire, ho addestrato un po' di ragazzi, do spettacoli saltuari in occasione di feste di rione o di circoli culturali, in programma ho: Le storie di Pulcinella, episodi epici cavallereschi, leggende, balletti, attrazioni. I miei spettacoli sono a profilo culturale con ottimi risultati, non importa se sono cose ormai tramontate ma hanno sempre il loro fascino, c'è ancora tanta gente che non ha visto e la curiosità li fa avvicinare, una larga conoscenza ce l'hanno i Burattini (guarattelle), che si vedono un po' su tutte le Piazze, non è il caso di elencare i successi che riscuotono basta guardare gli articoli che scrivono i giornali e le riviste locali.                                            Michele Izzo

Non c'è da aggiungere molto; credo che gli Izzo bastino a se stessi. In questa autobiografia trasuda arte, filosofia, umanità, nostalgia e soprattutto POESIA, anche perché il testo è sorprendentemente adulto nella sua struttura elementare esasperata ed ha valore proprio per l'assenza di artifici di penna. Uno spaccato di vita vera, un'autentica testimonianza di amore smisurato per l'arte, non solo, ma per il mestiere di puparo che io annovero tra quelli più autenticamente umani, epidermici, proprio perché a misura d'uomo. Michele Izzo, uno dei pochi superstiti di questa nobile arte non si arrenderà mai alla sgherra tecnologia dello spettacolo. Quando avrà momenti di stanchezza o di delusione avrà Orlando e Rinaldo che lo sorreggeranno sottobraccio sguainando la spada contro gli artifici moderni dell'arte. Poi si tramuteranno in angeli, Orlando e Rinaldo, e si libreranno in alto nel cielo azzurro conducendo Michele come novello Peter Pan, nel mondo meraviglioso della fantasia e della fanciullezza, quel "paese dei balocchi" ideale che affonda le radici nell'infanzia degli uomini buoni, onesti, sinceri, quelli d'altri tempi, anche e soprattutto quando i loro capelli sono diventati canuti. Quindi non solo la Festa dei Santi dovremmo rivedere nella nostra Torre martoriata, ma il teatro dei pupi di Michele Izzo.
                                                           Luigi Mari