Quando un mestiere è
nobile,
altro che fiumane di matricole
Mastro d'ascia dei
greci
Si potrebbe dire che Giovanni Bottiglieri è un personaggio comune, un
numero, uno dei tanti italiani che ebbero la sfortuna di subire le
vessazioni del secondo conflitto mondiale ed uscirne psicologicamente
indenne, non solo, ma con la verve, la volitività, la smania di
ricominciare, ricostruire. E già era doverosa per una segnalazione, anche
se, a mio parere, non c'è essere umano, al mondo, anche delle più
sperdute lande del terzo mondo, che non sia degno di menzione.
Infatti proprio in Africa corre il detto "Ogni volta che muore
un anziano è una biblioteca che brucia", anche e soprattutto
quando questo anziano è umile, povero, ignorante; perché ogni uomo è un
potenziale filosofo, una fonte inesauribile di esperienze di prima mano.
Ma Giovanni Bottiglieri è stato qualcosa di più di un comune
carpentiere, non perché copriva sempre ruoli di dirigenza, ma perché
espletava il suo animo artistico nell'arte applicata, con l'amore,
l'affanno, la gioia di fare; lavoro come piacere, sublimazione e terapia
nel contempo; mai egli avrebbe chiamato napolatanamente il lavoro
"fatica" o, peggio, sicilianamente "travaglio".
Haimè, generazione sfortunata di giovani post-sessantottini, cosa abbiamo
fatto noi genitori, i mass-media, l'edonismo reeganiano o che dir
si voglia, per confondervi, sovvertire in voi queste semplici filosofie,
questi toccasana per vivere senza fare nodi, senza inventare problemi
teorici e soccomberne?
Fu questa volontà, questo tesoro ereditato dai genitori d'un tempo che
nel 1960 fece approdare Giovanni Bottiglieri a Cinecittà per la
costruzione di navi storiche per il film "Elena di Troia" e due
galeoni (Bohnomme Richard e Serapis) per il film "Il grande
Capitano", il cavallo di Troia nel film "Ulisse", ecc.
Io ho un ricordo bellissimo del Nostro, del suo umore, del suo sorriso,
della sua rettitudine etica. Sgambettavo, negli anni cinquanta, imberbe,
allampanato, timido e spaurito nel vecchio androne di Via Giuseppe
Beneduce numero sei. Da quel mio punto di vista rasoterra mi appariva la
sua figura turrita, col passo fiero, deciso.
L'indomani fantasticavo nel cinema "Vittoria" di Via Gradoni (cinquanta
lire 2 film diversi), quando suono e immagini mi travolgevano lungo
l'interminabile serie di films mitologici di quel periodo. E di notte
sognavo, nella mia fragile fantasia di stare insieme agli eroi greci di
oltre venti secoli or sono, sui galeoni costruiti da Giovanni Bottiglieri,
per me anch'egli eroe dell'ascia, forse più di Ulisse.
Ancora lo riincontravo l'indomani nell'androne e lui nemmeno si accorgeva
di me nella mia ammirazione di bambino entusiasta e rapito dalla magia dei
primi apprendimenti scolastici; forse con la coda dell'occhio mi
intravedeva come un micio che attraversa il cortile e sgambetta frettoloso
per la paura di essere pestato.
Si dileguava in alto alla rampa di scale
per il ballatoio che portava alla vetrina di nonna Andreana, la madre. Venivo di
nuovo rapito facendo a nuoto il mare della fantasia fino a raggiungere i
suoi galeoni giganteschi, ed il vento mi adagiava su di una sorta di
stallo, tra Elena ed Ulisse, mentre le sirene di Scilla e Cariddi
amplificavano la loro dolce, angosciosa melodia, perché da lì si
sarebbero dovuti dipanare gli eventi reali della mia vita futura, a
momenti sereni, a momenti atrocemente drammatici.
Non dimenticherò mai la
sicurezza, il sentore paterno, il senso del dovere che quell'uomo lasciava
esalare dalla sua presenza.
Luigi Mari
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Giovanni Bottiglieri negli anni 30
Primo peschereccio da lui costruito nel 1931
e varato dalla marina di Portosalvo
Carpentieri Torresi 1935
Le sue nozze con Carmela Fasulo
Giovanni Bottiglieri nel 1980
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