Introduzione all'iconografia

Strade ieri
300 FOTO ANTICHE

Cose antiche

TORRE DEL GRECO ANTICA

COSE D'ALTRI TEMPI
Gli ultimi romantici

di Luigi Mari

Discorrere d'amore, oggi, in maniera declamatoria e fiorita, dietro l'inevitabile apparenza messianica, risulta quanto meno frusto e retorico, per non dire anacronistico. Onde evitare, quindi, di essere impropriamente reputato un parruccone misoneista tenterò di "parafrasarne" il concetto sotto il beneplacido, per così dire, della luce crociana, castigando la trasparenza concettuale, ma con proponimento ben lungi dall'esoterismo mestierante, per tenere fede , invece, ai moduli delle nuove forme espressive, per lo andare, in ultima analisi, a braccetto con i tempi; per essere inteso, quindi, senza tono polemico, da coloro che nutrono fama di onniscenza. E mi piange il cuore di dover scivolare sull'ampollosità o sulla magniloquenza, così accattivante la massa vorace della cosiddetta zavorra letteraria relativa alla valanga produttiva cromotipica rotocalchista e all'ibernato repertorio fumettistico della teleiconografia della RAI o di Mediaset con la nutrita produzione importata.
Non posso dire, retoricamente, che ormai l'uomo è incapace di beneficiare delle virtù e dei valori di un tempo. Non citerò la rancida massima: "Il migliore affare è quello di comprare gli uomini per quello che valgono e venderli per quello che credono di valere". Allora mi butterò sullo scientifico e sull'intellettuale per somigliare a quelli che credono di valere, tra baronato bianco e covoni bancari, additando il super-io secolare che strepita sotto coercizzati emendamenti epocali; (pur se noi torresi ancora risiediamo nel contesto secolare italiano di una cultura per così dire francescana, per fortuna non ancora del tutto pragmatizzata).
Intanto pure un bimbo di terza elementare sa che l'equilibrio del consorzio umano rivacilla dopo corsi e ricorsi epocali perchè sono venuti a mancare non già i valori etico-religiosi in sè, ma i sostegni psichici che pure tra follie di masse e battaglie cruente suggerivano al singolo la scelta di una presenza terrena intellettivo-istintuale ora atarassica, per dirla con il tanto partenopeo Epicuro, ora apotropaica, atta a scongiurare il negativo esistenziale relativo all'interrogativo primario, inconscio, dell'uomo di carattere salvifico post-mortale.

Mi perdonino i concittadini torresi ancora legati al "cicchignacco 'nda butteglia" o a "Dinte a 'na vaschicella ce stanno cinche paparelle, una vo' bere, una vo' magna', 'n'ata vo' fa' 'a pipì, 'n'ata 'a puppù, e l'urdema: accuccia, accuccia, si no t'ammacco 'o caruso". Era l'epoca indubbiamente disagiata del contesto partenopeo, per dirla con la Serao, che, nel famoso "Ventre di Napoli" (tutto un crescendo di doglianze, disapprovazioni e lamentele) tentava di scuotere il dirigismo politico dell'epoca. Così recitava sull'urbanistica partenopea:
"(...) al primo piano un'agenzia di pegni, al secondo si affittano camere, al terzo si fabbricano fuochi artificiali: certe altre case dove al pianterreno c'è un bigliardo, al primo piano un dormitorio, al secondo una raccolta di poverette, al terzo un deposito di cenci. Per distruggere la corruzione morale e materiale, per rifare la salute e la coscienza a quella povera gente... non basta sventrare questa terra, bisogna rifarla". E ancora "Un operaio tipografo prende cinque lire a Milano, quattro a Roma e due a Napoli. (...) e così i sarti, i calzolai, i muratori, i guantai (...) e le povere donne occupate come modiste, come fioraie (...) E la serva napoletana, dieci lire al mese, senza pranzo, da casa a casa, da padrone a padrone, scendere le scale quaranta volte al giorno, cavare dal pozzo venti secchi d'acqua (...). E il lavoro dei guaglioni di dodici anni che devono accontentarsi di un po' di mangiare per fare il mozzo di un cocchiere signorile o l'apprendista in qualche bottega. I pranzi, fatalmente fatti di niente, l'indispensabile per non morire di fame (...) Quando sulla tavola ci sono i maccheroni al sugo o lo scapece, la grande insalata fatta di zucchine e melanzane fritte nell'olio e poi condite con aceto, pepe, origano, formaggio e pomodoro, è già festa".
E' già festa! Perchè in questo clima di povertà che rasentava l'inedia rifulgeva una energia interiore di speranza e di rinnovamento che doveva trovare la sua palma oggi soltanto nell'appropriazione edonistica che è ben lungi dall'acquiescenza esistenziale. Per questo vien voglia di postulare la Torre del Greco di leopardiana memoria, romantica anche se un po' crepuscolare, o quella prischiana della provincia trasognata. Sensazioni che si raccolgono in tempo reale con la raccolta di foto antiche di Torre del Greco presente nel lavoro.
Un primo effettivo presunto allarme di decadenza morale attribuito alla terra vesuviana, (che non ha niente a che fare con il soggiorno dannunziano nella nostra città), si può attingere da quell' "autentico museo Grevin in forma di reportage" come Montale definì i caustici folleggiamenti del romanzo macabro e grottesco del Malaparte più intenso. Torre del Greco è inserita ne "La pelle", compresa nel quadro della napoletanità degenerata per i disagi insostenibili, secondo lo scrittore, relativi al secondo conflitto mondiale. Una terra vesuviana sciamante di popolo famelico e disperato. L'episodio della "figliata", nella sua cruda, tralignante descrizione, viene ambientato a Torre del Greco quasi come un presagio degli eventi odierni (che comunque sono fenomeni degenerativi di aspetto planetario) senza, l'autore, tener conto dei nostri trascorsi di irreprensibile, dignitosa, esemplare condotta.
D'altronde bisogna tener presente che fenomeni degenerativi non vanno mai generalizzati, ma solo equamente attribuiti a quella minoranza balorda che proprio attraverso il desueto rumoroso fà notizia e scalpore. I problemi, dunque, della terra vesuviana a cavallo del secolo erano solo di natura politica ed economica. La gente si crogiolava nelle catartiche suggestioni religiose, vuoi frammiste a superstizione, e nutriva grandi speranze di rinnovamento, tenendo alto il concetto dell'onore e della dignità anche nella fame.
Anche i miei torresi contribuirono alla soluzione, mai avvenuta, della "questione meridionale" post-unitaria, aderendo numerosi, giocoforza, alla grande emigrazione , abbandonando campagne e congiunti per collocarsi nell'intenso flusso migratorio intercontinentale, ammassati in una caterva di carne umana sulle rotte oceaniche. Vi era tanta luce e tanta speranza non solo di un'affermazione economica e sociale dignitosa, ma di realizzare il fine che giustifica i mezzi: il rientro trionfante nella terra del cuore.
Molti rimpatriati che hanno ottenuto lo scopo credevano di "aver sbagliato paese" . Una volta impugnata una posizione economica quanto meno decorosa, volevano salvarsi dalla promisquità di quel crogiolo di razze rientrando nella consorteria patria. Non immaginavano di ritrovare una Torre del Greco americanizzata sotto l'aspetto edonistico, pragmatico, eslege, occidentalizzata nell'accezione meno poetica della parola.
Non hanno trovato più, è vero, una popolazione di perdenti, anelanti il riscatto dall'inedia e l'interiore desiderio di ascesa sociale, ma un popolo sottomesso ad un eccessivo affaticamento metabolico, succube di svariate dipendenze nocive se non letali, nell'assenza totale del nutrimento immateriale e trascendente che suggeriva la mirifica pace post-mortale, non solo, ma nemmeno le palliative credenze superstiziose e totemiche o semplicemente animistiche, quale sorta di panacea dell'insoluto esistenziale; mutamento epocale non più sostenuto, come da millenni di pratiche e miti, esorcizzanti ciò che non muterà mai nell'uomo: la sua sorte di mortale, non già come naturale epilogo biologico, ma come soglia di una dimensione che minaccia la probabile assenza salvifica. Ecco lo scotto killer della cultura sia di stampo religioso che laico!
Dall'infernizzazione del Nuovo Mondo (un tossicodipendente su 20) qualche torrese è rimpatriato riconoscendo appena i pochi residui degli elementari precetti di amore, d'ideali e di fede, ancora baluginanti nelle prische istituzioni millenarie di quell'Europa trecentesca che fu "un manto di chiese" da cui Torre non si sottrasse. Questo lavoro di priorità iconografica ed in più redatto col veicolo elettronico, allo scopo di combattere la pigrizia mentale per la lettura, si allinea, ma quasi si contrappone, all'avanguardia letteraria, spesso ermetica, e allo storicismo di ricerca più o meno evoluto del quale esprimo i miei apprezzamenti. Ma spesso lo strumento della scrittura è corrotto, giocoforza, da verbosità e virtuosismi a differenza delle immagini di cui è prioritario questo lavoro. Quindi totale intelligibilità perchè le emozioni sono comuni a tutti gli esseri cogitanti. Ricuso l'aureola messianica ma postulo l'espressione quando assume carattere di larga diffusione. Spero, a proposito, che questa iniziativa , di carattere antesignano, getti le basi per ulteriori lavori di cultura popolare, a costo di rispolverare aggettivi e interiezioni onde recuperare comunicativa e contatti umani, in una parola la napoletanità oramai pur'essa decaduta.

I sopraffatti sostegni psichici, altrimenti detti: valori morali, ideali politici autentici, sentimenti religiosi, spirito di rinnovamento, ecc. non troveranno, dietro la stasi politica planetaria dovuta al deterrente atomico, solo la loro collocazione storica, come lettera morta; ma vanno riproposti attraverso documentazioni e testimonianze in un linguaggio il più possibile
essoterico, anzichè esoterico.
A costo di apparire un "bla, bla, bla" da pulpito rionale, ribadisco che le pressioni di una società edonistica e materialista, con la sua alienante coercizione consumistica non possono bastare a precludere alle coscienze il debito e insopprimibile sostegno spirituale, e mai obliare le suggestioni ed i trasognamenti di un passato romantico ed idealista contrapposto all'asetticità caratteriale e all'aridità spirituale dei giorni nostri.
Postuliamo una storia nuova, umana di Torre del Greco, finalmente desueta, al di là delle cristallizzate ed emulate ricerche storiografiche, benchè legittime, che è roba da ermeneutica. Noi vogliamo ricordare la Torre del Greco dei tempi migliori, quando ci si toccava, ci si baciava, forse meno di oggi, ma senza ipocrisia, preconcetti o riserve mentali. Dobbiamo scaricare non solo le tossine col sonno, ma le nostre tensioni emotive moderne in un drenaggio sperimentato in passato. Altrimenti praticheremo angherie sui deboli, sui bambini i quali sentono nel migliore dei casi il peso delle nostre carenze, dei nostri infermi bisogni di affetto, delle nostre dipendenze nevrotiche.
L'amore, come catarsi dello spirito, compresa già nella sfera sensitiva in fase pre-natale, esprimibile in seguito solo col contatto di una stretta di mano, tramite uno sfiorare di labbra, attraverso la dolcezza di uno sguardo, o addirittura col silenzio, viene macchinato e intricato con arzigogoli ed elucubrazioni spesso paranoicali, dietro etichette intellettuali ricche di "ismi", ben lungi dal concetto elementare di trasmissione e di irradiazione vicendevole di sentimenti ed emozioni. L'amore nudo e trasparente, semplice e irriducibile viene espresso (anche nel contesto culturale locale) dietro l'avviluppo nodoso di oltre centomila vocaboli, tra teologia, filosofia, psicologia, letteratura bene e, dulcis in fundo: informatica. Il figurativismo, il contenutismo, il realismo, ecc., come trasparenza espressiva , o meglio, comunicativa, vengono larvati dall'avanguardia, indubbiamente artisticamente valida, ma di intelligibilità zero, almeno per i più, sin dai tempi delle correnti ermetiche.
Il solo veicolo di intelligibilità totale, scevro da complesse ambiguità del reale rimane la fotografia pura, nella sua concretezza, oggettività e verosimiglianza, da cui non si esclude di attingere lirismo e senso artistico. La fotografia al naturale, nelle sue prerogative precipue di verismo e trasparenza, inalterazione, nell'assenza, appunto, di tecnicismi, elaborazioni o artifici di sorta, spontanea e bonaria come il sorriso di un infante, rappresenta, specie se il suo contenuto è ingenuo e candido, un atto di amore. Se poi si associa la componente nostalgica di tempi migliori andati e l'onirica suggestione delle reminiscenze infantili od adolescenziali, allora insorge l'autentica catarsi, lo scioglimento, cioè delle tensioni fisiche di stampo esistenziale, quasi una manovra sublimativa dell'atto visivo, che assorbe per intiero la sfera emotiva dell'osservante e via via fino all'orgasmo più intenso che drena attraverso le ghiandole lacrimali.
"Comme è bello chiagnere" conclude Eduardo la sua Filumena. C'è tutta la commedia in questa frase: il trionfo dell'amore come concetto di famiglia, cellula del tessuto sociale. Sgretolando questa cellula insorge la cancrena, significa lacerare la società.
Ora l'ippogrifo mi disarciona, facendomi divergere per un attimo dalle digressioni, come dire, retoricamente assiomatiche, a forti tinte. Ma non mi curo di trasgredire di tanto in tanto il proponimento iniziale di non calcare la mano con fioriture e schiccherature letterarie. Chi ama scrivere spesso butta giù musica non testo. Mi viene così; sono uno zibaldonico autore che cede alla foggia dialettica un attimo dopo aver postulato un linguaggio elementare. Non mi preoccupo perchè l'intensità espressiva delle immagini di Torre antica farà giustizia sulle mie ciarle.

E' chiaro che bisogna essere intesi pure da quelli che sono avvezzi ad ascoltare prediche da pulpiti tutt'altro che terra terra (così viene vista la cultura popolare), da coloro che detengono il potere dei mass-media, anche di livello interregionale, così avvezzi a giacere sotto la gabbana politica che fa da tetto a regole dogmatiche corporative, consorziali e settarie, derivanti da secoli di pedanterie per assenza di riforme, a causa di un ostinato sostegno di tanti capiscuola, affermati spesso per assenza di uomini più validi:
"fatti il nome e piscia a letto, diranno che hai sudato".
Ma a prescindere dalla mia condizione di appartenenza a questo contesto epocale di per sé precario, incoerente e contraddittorio, lo dimostra il fatto che nessuno ammette di sbagliare o di avere torto (vedi gli incidenti d'auto, i commenti dei politici sull'esito delle consultazioni elettorali, le diatribe sul calcio, ecc.), dirò che se si coglie tono polemico o sentore di dissidenza in queste osservazioni, (che comunque non vadano viste sotto il tono scolastico), esse sono rivolte prima a me stesso, non dissimile da tutti gli apostoli che impugnano una penna, inevitabilmente panegiristi e sermonisti, destinati quasi sempre, poi, a razzolare male, giocoforza. 

Il capolavoro di questo CD, comunque, è l'iconografia relativa alle foto antiche di Torre del Greco, intanto per la inconfutabile testimonianza di un paradiso perduto, ma soprattutto perché una volta tanto il pubblico, che da secoli stagna nella ricettività artistica, ne è l'autore. Le foto furono scattate nell'arco di un cinquantennio nella quasi totalità da dilettanti torresi anonimi. Infatti queste poche righe hanno lo scopo di sottolineare il valore di queste immagini, una sorta di falsariga a favore della pregnanza contenutistica delle riproduzioni in formato elettronico, delle quali qualche pigro potrebbe non chiosare nulla, corrotto e distratto dalle fiammanti cromotipie dei rotocalchi e dalle vertiginose elaborazioni teleiconografiche dal ritmo serrato. Alcuni potrebbero non cogliere il traslato poetico vivo e vibrante di trasparenza espressiva del figurativismo totale delle foto d'epoca, nell'assenza di allegoria o effetti speciali.
I pigri, che affollano la schiera degli italiani che vanta una delle più basse percentuali di lettori dell'occidente, potrebbero non osservare neppure il parametro proposto con il confronto delle foto odierne, che testimoniano l'avvenuto trasmutamento urbanistico di Torre del Greco, sotto la luce di quel fenomeno, come dire, di transustanzione tra agglomerato caotico e comportamento stereotipo del moderno popolo vesuviano, compromesso nell'etica e nelle tradizioni, innalzato ai fastigi della effimera attualità edonistica e consumistica, nella totale idolatria del potere economico, là, in un contesto urbano che vanta da secoli il primato artistico e produttivo di quel frascame carminio che supera il valore dell'oro, che dà prestigio a tutta la città, in questa ridente periferia partenopea dove si registra un reddito, sperequato, s'intende, superiore alla media nazionale.
Ma, per dirla con Giuseppe Marotta, dov'è "l'oro di Torre"?, l'altro oro. Se osservate bene le foto antiche, dopo un po' incominciano a baluginare, non sono i riflessi del monitor, vi assicuro, è l'altro oro che si sprigiona dalle vecchie case giardino, dalle strade affollate senza mezzi meccanici, dove l'unico inquinamento era solo l'alito umano. Basta cliccare le foto moderne (a contronto) per gelare. Salta all'occhio il mutamento non solo architettonico, ma del concetto meridionalistico del sociale, nelle migliori accezioni di estroversia spontanea, di prodigalità, di generosità, di altruismo, di solidarietà. Certo, il malvagio è sempre esistito; ma erano problemi individuali, ora lo sono di massa. Il popolo era buono ed ingenuo, per questo si lasciava facilmente trascinare da certi adescanti oratorie di regime. Indubbiamente vi era malessere economico, carenze assistenziali in materia di sanità, ma quel po' che si aveva bastava, oggi si ha molto e non basta mai. "I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli adulti il nulla nel tutto!" diceva Leopardi.
Come in tutta l'area cisalpina e transappenninica si è verificato come è noto, sin dall'epoca post-bellica della ricostruzione, un considerevole incremento di agglomerato intorno ai centri storici, a danno, chiaramente, delle già neglette superfici verdi. Questi modesti spazi di verzura urbana furono soppressi per erigere falansteri talvolta dall'aspetto marziale e dagli interni angusti ed opprimenti, ricchissimi di comfort, ma in nessun angolo si coglie calore umano. Al cospetto di alcune foto della raccolta ci sembrerà di inspirare la fragranza di quintessenze orientali, per dirla in chiave retorica, dove compare qua e là un ciuffo d'erba, qualche viale alberato, un brolo nei dedali, un verziere sullo sfondo di un androne.
Le strade palcoscenico si tramutano oggi in giungla urbana; gli interni, sottomessi alle coercitive leggi di mercato; l'abbigliamento soggiogato dalle convenzioni di un mercato pilotato da diaboliche strategie di marketing. Tutto martellato dalla grancassa propagandistica che suggerisce modelli sociali costruiti sull'effimero, sul caduco, sull'inutile. E tutti ad eseguire i comandi come un esercito di spersonalizzati, resi infermi da bisogni oggettuali-alimentari che tali non sono se non per una sola ed insana dipendenza psicologica. Torre del Greco, come tutte le città moderne, affoga nel concetto di benessere, concretizzato pure da pressioni snobistiche, da smanie di sopraffazione. La serie di foto moderne in questo lavoro rappresenta una sorta di plastica facciale della città. Le vecchie foto sono una testimonianza inconfutabile rispetto alla rappresentazione alfabetica di uno scrittore che, se pur in buona fede, soggiace sotto lo spirito campanilistico, alterando certi aspetti, purgandone altri fino a mascherare certe lordure.
Ma non basta; i contrasti interdomestici tra due generazioni conviventi, dovuti ad un mutamento troppo rapido di ideologie e un crescendo di sovvertimenti politico-sociali hanno causato persino nelle nostre famiglie di stampo patriarcale vere e proprie idiosincrasie nei rapporti di gomito. A queste crisi ha contribuito non poco un certo lassismo dei genitori, l'ingerenza protettiva materna che offusca la figura del padre dietro ciechi desideri di riscatto di stampo femminista.
Pure nella nostra Torre del Greco le associazioni , i dopolavoro, i sodalizi si assottigliano; le chiese appaiono deserte, tranne nel caso dello sfoggio domenicale o del tradizionale rituale delle feste comandate. Solo le banche registrano quotidianamente, per una ragione o per l'altra, una torma di presenze. Con l'ordine pubblico in crisi i torresi si trincerano, dopo il coprifuoco vespertino, nei manieri blindati domestici, col solo trastullo alienante della TV o di Internet.
Ma dove sono finite le filastrocche risuonanti lungo le contrade barrocciabili, dove qualche nonno, assiso su una pietra miliare farfugliava al nipote: "Cicci bacco 'ncopp''a votta, chi 'o tira e chi 'o votta, chi 'o votta 'nda cantina, Cicci bacco beve 'o vino", e la nonna, appollaiata sul davanzale, tra vasetti di garofani e rose, di rimando: "ce steva 'na vota 'nu monaco devoto, dint''a 'na cella teneva 'e ssasiccelle, iette 'na gatta e se ne magnaie quatte, venette 'o priore e cu 'nu turceturo c''e ffacette caca' a una a una". Banalità? Ma hanno sapore di mamma.
Reiteriamo ciò che si è già detto all'inizio di questo manuale. Dov'è finito il vociare logorroico, nelle due piazzette torresi, delle sode e belle massaie, ignare dell'ossessione di scippi od estorsioni; e il gesticolare delle ragazze, chissà perchè, sempre copiose di forme, nel mercanteggiare quelle derrate che alimentavano in modo genuino la loro opulenza fuori dal bisogno di cibarie sintetiche o composti di laboratorio da assumere per via parenterale.
Ed ora tutti i romantici mi seguano perchè sciorinerò fazzoletti di retorica; con buona pace di Benedetto Croce, dirò che la Torre del Greco oleografica del secolo passato è andata per sempre. Sono andati per sempre i baci delle fanciulle, che svaporavano la fragranza della clorofilla. Erano i tempi dei baci ad occhi chusi (oggi si dice come stupidi), per lasciare involare l'immaginazione: due colombi cabravano sui crinali dei monti, indi veleggiavano indomiti, poi andavano a posarsi leggeri sui prati intrisi di guazza primaverile nelle ville vesuviane alle falde del Vesuvio, onde poter compiere, nei campi elisi, un atto d' amore, giammai contaminati da glaciali introspezioni post-freudiane, frigidizzanti e svirilizzanti.
Ahimé, oggi i tepidi soli primaverili diventano dardi infuocati dal "buco termico"; il contatto epidermico sulle rocce vesuviane sparse nella città non risente più dell'antico, soave tepore. Il cavalleresco, l'eroico, il romantico del corteggiamento si tramuta in foggia di stampo psicanalitico. Le fresche, candide fantasie adolescenziali si contorcono, prendono forma dottrinale, da barbassoro. Si è estinto per sempre il vociare melico degli ambulanti: "'O conciatiane, 'o conciambrelle"; "'E ttenevo 'a rete 'o pagliaro 'e ppullanghelle arrustute, spighe d'oro"; "'E nnanasse, 'e nnanasse, cu 'a figlia faccio ammore e cu 'a mamma me spasso" (bisogna ammettere che le corna, come la prostituzione, sono da secoli irriducibili). "Fa cavure a mmare, ih c'alice, teng'argiento 'nda spasella"; Fattillo c''o limone 'o pesce"; "So' chine 'e fuoco 'e mellune. Teneno 'o ffuoco d''o Vesuvio. S'è appicciato 'o ciuccio cu ttutt'a carretta".
Oggi le voci sono sommesse, gridano le armi, la violenza fisica e morale, la sopraffazione e la prevaricazione. Le coscienze sono smarrite e disorientate. Ciò che si vede e si sente per la strada spesso non è gradevole. Talvolta saltano fuori argomenti pregni di lordura e di squallore che riescono ad abbruttire il paesaggio più bello. Si consolida il malessere nella diffidenza, nel timore e, quel che è peggio nell'indifferenza.

Ogni pietra di fondamenta della società che ci circonda viene posata nelle nostre mura domestiche, la comunità esterna è quella che noi forgiamo attraverso l'educazione dei nostri figli. I nostri politici, i pastori di anime, i balordi, santi e criminali li produciamo con i nostri organi genitali, li allattiamo con le nostre tette, li plasmiamo con la nostra o senza la nostra armonia familiare, li facciamo o non li facciamo identificare con le nostre buone e non buone figure di padri o di madri. E' facile diventare padri o madri, dice una massima
, fare i genitori, questo è veramente difficile.
La raccolta di foto antiche, (perchè quelle moderne sono state scattate dal sottoscritto solo per il confronto) vuol'essere un messaggio d'amore nell'accezione, sì, più rancida e retorica della parola; se volete a livello della musica dei "nuovi melodici napoletani" che l'intellighentia disdegna, ma che io apprezzo al pari di quella dei Beatles, anche perchè non si può ignorare chi riesce a suscitare emozioni così profonde in milioni di persone. Sebbene le canzoni d'amore esaltino molto più la passione che l'amore.
Fotografie come messaggio d'amore. Ma cos'è l'amore? Certo vi sono molti aspetti di esso. Ma esiste davvero l'amore "dare", l'amore "conoscenza"? Senza amore non si può vivere semplicemente perché, ad esempio, non si può vivere senza mangiare. L'amore è proprio una dipendenza? Chi ama è infermo? L'amore implica quasi sempre l'aggettivo "mio". Mio Dio, mia moglie, mamma mia, Madonna mia; io amo mia moglie, i miei figli, la mia città. L'amore prevede sempre un tornaconto, denuncia un bisogno, una privazione, è il migliore anestetico dell'angoscia di esseri fragili e mortali. Per questo motivo è sempre necessario amare ed essere amati così, per dirla in modo pratico, la partita è pari.
La carità cristiana è spesso la maggiore espressione del bisogno d'amore perché essa esorcizza la madre delle paure esistenziali: il timore dell'assenza salvifica post mortale. Le culture planetarie hanno solo saputo costruire una larga messe di azioni reattivo-difensive atte a scongiurare questa minaccia radicale. Le ideologie politiche e religiose si sono scatenate nei secoli per esorcizzare questa angoscia, apparentemente immotivata, della nostra finibilità, camuffandola con azioni delle più disparate e contrapposte: ascetismo o dissolutezza, eroismo o annichilimento, aggressività o passività, piacere della povertà (sic) o cupidigia per la ricchezza (è il caso che più riguarda molti di torresi), tutti atteggiamenti sadici o espiatori che rivelano il substrato psicologico relativo alla impotenza dell'uomo rispetto al suo destino letale, non solo, ma di probabile assenza salvifica.
Purtuttavia, a prescindere da questa analisi non è possibile vivere senza amare, ed il popolo torrese, in passato è vissuto d'amore, malgrado le vicissitudini non sempre floride. Non ha mai alzato le mani davanti alle minacce delle forze della natura o agli oppressori dei secoli andati. Non ha mai reclinato il capo davanti agli eventi esiziali dello "sterminator vesevo" , ha sempre oppugnato le ingerenze e le prevaricazioni feudali riscattando dai baroni i propri diritti economici e morali di popolo d'amore, per dirla con De Crescenzo. Per amore e gioia di vivere (contrapposizione appunto al senso di finibilità) ha ricostruito numerose volte la città devastata dal Vulcano, con uno spirito paziente, ma rigoglioso e volitivo. Oggi però, si trova a cospetto di malesseri non più a misura d'uomo, ma "ipertrofici" dove le neoplasie dell'ingordigia di potere radica in maniera capillare le sue metastasi non già ai vertici, ma lungo tutte le fasce sociali, fino al sottoproletariato. Si tratta proprio del tipo di esorcismo che si contrappone all'amore.
Il concetto dell'amore assoluto e puro si riduce in una sola parola: Dio. Non ho detto cristianità, buddismo, islamismo, ecc. queste sono dottrine, veicoli per condurre a Dio che prevedono Dio-amore=immortalità. Demonio-male=assenza salvifica, quindi è un amore che deriva dal timore di soffrire.
In ultima analisi, però, i torresi ricusano questo incancrenimento anche se se ne vedono inondati. Coloro che hanno le tempie canute rimpiangono la città delle vecchie foto, con l'amara consapevolezza che la città è andata, per sempre.
Torre del Greco ha subito più dal progresso che dalle numerose eruzioni. Ma al di là delle digressioni di stampo filosofico vediamo l'amore sotto l'aspetto letterario classico, sotto il lucore romantico, come vuole la tradizione di superfice: "Quando non si ama troppo non si ama abbastanza" diceva Roger de Bussy-Robutin.E Sant'Agostino di rimando "Ama e fa ciò che vuoi". Hemingway, invece, sosteneva: "Se hai amato una donna o un paese sei fortunato, dopo, se muori, non ha importanza". E Victor Hugo: "Amare è la metà di credere". E a chi blatera di non poter amare perché non corrisposto Thomas Mann recita: "La felicità non sta nell'essere amati, ciò è solo vanità e disgusto, La felicità è amare". Infondo se l'amore fosse davvero un riflesso dell'amor proprio che importanza ha se il fine giustifica i mezzi?.
Risparmiatevi le smorfie rinitiche dinnanzi alla retorica, specie a margine di un testo che a tratti subisce sofisticate tessiture. Insomma saggiamo un po' di passato, vediamo se le cose migliorano.

Basta con l'analisi scelta, benvengano dialetti, solecismi, anacoluti, evviva Gadda e Pasolini. Necessitano le nostre origini. Rinominiamo i nostri figli. Basta con i Patty, Genny, Paul ed Omar. E scusate pure me che ho finito per dottrinalizzare l'ammore" , diceva bene Jaques Dyssord, a proposito: "In amore si incomincia con la retorica e si finisce con la filosofia" . Dottrinalizzare l'amore, comunque è sempre meglio che commercializzarlo con le varie feste della mamma, del papà, S. Valentino e come si suol dire, chi più ne ha più ne metta. Ora concludiamo questo testo, come è di mia abitudine, ibrido e frammentario con una bella immagine di Luciano De Crescenzo
: Gli uomini sono angeli con una sola ala, non possono volare che abbracciati". 
Da "Torre antica come messaggio d'Amore" 1980          (Luigi Mari)