Sapeva bene lei che l'eccitazione precedentemente
vissuta attraverso gli occhi faceva sì che le cose si concludessero
subito. Come in quel caso. Solo un ah liberatorio, sibilato mentre
scendeva dalla pietra e afferrava la pezza. Enzuccio fece due passi
avanti, quasi spinto da chi gli stava dietro, poi si fermò a guardare
la corta che nel frattempo si era abbassate la maglia e la gonna e
teneva ancora in mano la pezza con il braccio allungato per appenderla.
"Jamm' chi è primm'?" fece verso il gruppo e quelli
indicarono Enzuccio rimasto a mezza strada, a quasi due metri da quella
giovane donna belloccia, con gli occhi strani, come affetti da una lieve
cispa e con una voce molto fine che contrastava con il suo aspetto
robusto. Enzuccio non si muoveva continuava a guardare lei e poi la
pezza. "'A corta" dovette leggere nel suo sguardo ingenuo di
ragazzino, il disagio, diciamo lo schifo che la cosa gli aveva procurato
e subito gli fece con cattiveria: "Ma che si' ricchione? E vattenn'
che nun tengo tiempo 'a perdere!" Lo disse talmente inviperita e
minacciosa che Enzuccio non se la sentì di passarle vicino a pochi
centimetri. Allo stesso modo non se la sentiva di tornare indietro per
rifare i cinquanta metri dove una fila di altre persone intanto si era
formata, attendeva, ed era pronta a beffeggiarlo. Già quelli più
prossimi a lui ridevano alle spalle di "chill' 'u muccusiell".
Gli era sembrato ad un tratto che la corta gli si stesse avventando
contro, lì su quella specie di stretta passerella e così,
istintivamente, si lanciò nel mare sottostante da un'altezza di quasi
cinque metri: "a bacchett' 'i ghiaccio". Sentì infilarsi
nell'acqua calma e calda prima i piedi e poi tutto il resto del corpo
provando una sensazione strana, nuova. Non si era mai tuffato vestito!
Non aveva nemmeno pensato di turarsi le narici e l'acqua salata gli era
arrivata in gola. Sputarla fu la prima cosa che fece riemergendo, quasi
all'indirizzo della corta che nel frattempo egli vide dal basso
sporgersi dalla diga a guardarlo e che, equivocando il gesto, ancora più
arrabbiata, agitò minacciosa la pezza, cinguettò con voce querula un
volgare improperio al suo indirizzo e si ritirò poi seguita dai suoi
"ammiratori". Enzuccio nuotò sicuro allontanandosi verso la
scogliera che più avanti riprendeva. Diede una lieve gomitata a
Franchino intento ad osservare un bel cefalo "cerino" che
emergeva, dibattendosi, attaccato alla lenza di un vecchio pescatore.
Costui dal fisico minuto ed abbronzatissimo in bianca canottiera e
vecchio, ma pulitissimo calzone blu, se ne stava seduto su un "cascettino"
abbastanza grande e con una buona folla di curiosi intorno. Soddisfatto,
mentre staccava con grazia quell'ennesimo pesce dall'amo, si fece un
giro panoramico con lo sguardo, in maniera sorniona e con un sorriso
reso più morbido dalla mancanza di tutti i denti! Rispondeva così
all'unanime, silenziosa ammirazione.
Franchino 'a licella, meravigliato molto nel vederlo così inzuppato,
non si trattenne da un: "Ma ch' cazz' hai fatt'!? - Ch' è succies'?".
Enzuccio lo tirò in disparte vergognoso degli astanti che li guardavano
incuriositi. Si incamminarono quindi verso la spiaggetta all'interno del
porto, all'altezza delle coralline in disarmo, che ancora era illuminata
dall'ultimo sole. Durante il tragitto Enzuccio serio serio raccontò
l'accaduto al compagno che lo ascoltava pensoso e che alla fine sbottò:
"Vi' che puletess'! - 'I sord' che fine hanno fatto? - Vide 'i
ttiene ancora? - Se so' spugnate? Le due cinquanta lire di carta, una
sull'altra erano al loro posto se pure bagnatissime. Enzuccio le spiegò,
dopo averle delicatamente separate, e per asciugarle, assieme ai
vestiti, si pose in piedi su uno dei due scogli affioranti dalla rena,
tenendole nelle mani aperte. Vedendolo così con le banconote pendenti
dalle mani 'a licella, che non mancava di un certo spirito, gli fece
improvviso: "Par' nu sant'!". E inginocchiandosi a mani
giunte, quasi gridando: "San Ci' famm' 'a grazia!".
Scoppiarono a ridere.
Il sole era quasi del tutto calato, i panni stentavano ad asciugarsi e
così decisero di tornare a casa, percorrendo strade meno frequentate.
Si inerpicarono su per la salita del Barbacane facendo bene attenzione a
non fare con i piedi brutti e puzzolenti incontri! Indenni superarono la
vicina latrina pubblica proprio quando dalla tetra "bocca di
lupo" della soprastante cella del carcere municipale si levava il
canto a squarciagola di una canzone a dispetto. Era la magra
consolazione di qualche anima disperata ed ubriaca. Percorsero un
misterioso portico, scuro come la pece, e sbucarono sulla discesa di via
Comizi che, già illuminata, si andava animando nella sera festiva. Si
rituffarono ancora nelle mille stradine del centro storico ed uscirono
poi sotto la casa di Enzuccio.
Un piacevole odore di "castagne a vvrole" li accolse non
appena varcarono la soglia del portoncino unitamente a voci festose.
Entrambe provenivano dall'abitazione di Enzuccio, affollata di amici e
parenti attorno al tavolo posto al centro di un grande stanzone di
cinque per cinque e di sette metri e rotti di altezza misurati nel punto
più alto della gran volta a vela. A capo tavola il padre di Enzuccio,
Gennaro, felice veniva festeggiato dai commensali che intanto si
servivano con discrezione di zeppole, di castagne, di noci fresche, di
"nucelle americane", di ceci e fave cotte. Da una panciuta
"giarra" di vetro bianco bugnato ci si versava a turno il buon
vino rosso prodotto "ncopp' 'i ttre vie" e che 'u cumpariello
Ciccillo 'i ficchiniello aveva portato al festeggiato in due perettielli
da cinque litri: il rosso e il bianco caprettone, "tant' bbuono 'a
copp' 'u pesc'!" come diceva la mamma. E proprio la mamma accolse
il figlio e l'amico con un preoccupatissimo "Ma ch' è stato! Pecché
stai tutt' 'nfuso?" Entrambi la rassicurarono subito descrivendole
solo in parte la verità. Come avevano concordato per strada. Un piede
in fallo proprio sopra la spiaggia ed Enzuccio era scivolato sulla
chiana. Ma non si era fatto niente perché si era come sdraiato sopra un
soffice, lucido, tappeto di cozze ancora in fasce, il fortunato!
Entrò nello stanzino assieme alla mamma che lo rimise in sesto in pochi
minuti: pettinato e calzato. Dopo aver arraffato la propria parte di
noci, di castagne, di ceci e di fave riponendola nelle tasche come se
fosse tanta bellica munizione, se ne uscirono di nuovo, allegri per come
si era conclusa l'avventura. Quasi subito si incontrarono con tutta la
comitiva che, con Umberto 'u capuocchio in testa usciva vociante dal
teatrino dell'Opera dei Pupi di don Alfredo Buonandi in via A.Luisi.
Ognuno di loro ebbe chi una castagna, chi qualche fava, chi delle
noccioline e così, mangiando e sputando bucce tutt'intorno, ci si
raccontò l'avventura di Enzuccio. Questi poco convinto rideva assieme
agli altri. 'U capuocchio, ascoltata la storia, con aria divertita si
rivolse ad Enzuccio e, guardandolo fisso, gli fece: "Ma tu vuo' fa'
ancora, o no!?". Questi per tutta risposta fece il gesto come per
dire "E perché no?", suscitando l'approvazione dell'intero
gruppo. "E allora c'aspettamm'? - riprese risoluto - 'I soldi 'i
ttiene? Venite cu' mmico!". Se ne scese la comitiva ancora per via
Gradoni e Canali. Sbucarono "ncopp' 'i fierre", corso Cavour;
l'attraversarono imboccando Largo Bandito e sbucando infine "sott'
add' 'u Gavino".
Un venticello fresco, proveniente dall'alto aveva preso, intanto, a
soffiare lievemente verso il mare, comparso improvviso avanti a loro
dopo il ponte della ferrovia, e che, ormai quasi buio, era illuminato
qua e là da qualche rara "lampara".
Umberto a modo suo aveva nel
frattempo descritto ad
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Enzuccio la donna che avrebbe incontrato di lì a
poco ricevendone il solito consenso di quelli che già "c'erano
stati", e che ne dicevano un sacco di bene. "Ato che Peppenella
'a corta! Chella 'nzvosa!". Il prezzo era un poco più alto, ma ci
avrebbe pensato 'u capuocchio a prestargli l'eccedenza. "Mo vide che
bella patana!".
Lì, nell'agglomerato delle antiche costruzioni che da un lato
affacciavano direttamente sul mare e dall'altro sul largo e dritto Corso
Garibaldi, nei pressi di uno dei tanti "magazzeni" da sempre
adibiti al riparo delle barche, delle reti, insomma della varia
attrezzeria marinara, ve ne era uno più defilato, usato come abitazione.
Si fermarono quindi in una specie di cortile assai largo e profondo ove
troneggiava da un lato l'ossatura di una barca in costruzione lunga sette
o otto metri e tutt'intorno tavole di pino per terra o appoggiate in
orizzontale ai muri a stagionare assieme a tronchi di gelso, di quercia,
di noce. In un angolo neri bidoni bucherellati. Un grosso e lungo tronco
di pino, più discosto, giaceva su alti e massicci cavalletti dove
aspettava l'opera dei segatori. La comitiva si aggirava tra questi oggetti
quasi in una sorta di oscurità.
Dal vicino corso giungeva, infatti, una luce già smorzata che illuminava
la scena di sbieco facendo risaltare le ombre delle tavole alle pareti, lo
scheletro della barca, i bidoni coi buchi. Del mare pure così vicino, non
si sentiva più la presenza, mentre nei nasi i ragazzi sentivano un forte
odore di segatura, di bitume e di legno bruciato. Si stava tutti a
guardare le due grosse ante semiaperte del "magazzeno"
abitazione di Nannina 'a rossa e dalla quale si proiettava all'esterno una
debole striscia di luce, quando, "Giggino 'u fil' 'i fierro"
diede in un grido smorzato: "Maronna!!" Una grossa zoccola, come
un'ombra nera gli era passata sui piedi schizzando improvvisa da sotto a
un tavolone di pino su cui stava per sedersi.
Il trambusto che seguì fu chetato dalla comparsa sulla porta, ora aperta
a metà, di un vecchio in bianca camicia a maniche corte, sbottonata, ed
in pantaloni chiari molto larghi. Teneva una sigaretta accesa tra le dita,
come fosse la bacchetta di musica, ed essa fendeva l'aria scura seguendo e
segnando il ritmo delle sue parole. "Ohe! che sta succerenn' ccà
ffor'?!!" - "'A fernit' 'i fa' 'sta 'mbricciat' ?!!" -
"E jamm'!". Umberto subito gli si avvicinò e a voce bassa tentò
di spiegare: "No, don Anto', nuie, simme venut' pe'… po' 'a
zoccola…" - "Qua' zoccola?!" ribattè l'anziano che si
stava quasi incazzando. "Ma no, 'a figlia vosta, Nannina, ce
sta?". Il vecchio dovette finalmente riconoscerlo come uno dei nuovi
giovani clienti e si rabbonì subito, chiedendo quanti erano a voler
entrare. "Capuocchio", riprendendo tono, rivolto ai suoi fece
segno di allontanarsi, poi gli presentò Enzuccio: "Chist' 'u giovine
è amico mio e vuless'…" e senza finire la frase gli pose nella
mano, che aveva gettato il mozzicone, le banconote necessarie. I tre
entrarono e si socchiuse la porta.
Il vecchio andò a sedersi su una seggiola bassa, dai piedi segati, posta
accosto ad un grosso telone grigioverde di quelli usati per coprire i
cassoni dei camion. Esso scorreva lungo una cima tesa all'altezza delle
riseghe dei due spessi muri laterali su cui insisteva una lunga, alta,
larga ed imbiancata volta a botte, delimitando in questo modo due
ambienti: la sala d'attesa e la camera. Enzuccio, rimanendo accanto a
capuocchio, che lo rassicurava con la sua presenza, sembrava in attesa di
qualcosa quando il vecchio con aria indifferente gli fece: "E vuo'
trasì? Uno sguardo interrogativo all'amico e poi, facendosi coraggio, si
spinse oltre il sipario. Il cuore gli batteva forte ora, e chissà perché,
gli venne di pensare alla mamma che poco prima fiduciosa e premurosa lo
aveva rimesso a nuovo. Ma fu un momento breve come un lampo. Era lì e
doveva e voleva affrontare la prova.
L'atmosfera era nuova, strana,
misteriosa. Una fioca lampadina a forfè rischiarava malamente quella
specie di camera dalle pareti lontane e dall'alto soffitto in penombra. Vi
si addentrò cercando di mostrarsi naturale, ma i suoi movimenti
rimanevano lenti ed impacciati. Si girò poi verso destra e, meglio
illuminata dalla luce della lampada, posta come abat-jour su una vecchia
"colonnetta", vide lei, Nannina 'a rossa, sdraiata come una maya
sopra un alto lettino quasi accostato al pesante telone. O meglio ne vide
prima le piante dei piedi, in primo piano, pulite, piccole. Poi, come in
uno scorcio del Mantegna, le gambe, le ginocchia, le grosse cosce, il pube
ramato e più su il ventre largo, di un rosa pallido con il suo ombelico
ben accentuato, rotondo, dall'orlo dolcemente bombato. Al loro posto due
grossi seni, tondi, tondi, come due cupole i cui lucernari erano i
capezzoli ocra chiara. Le braccia rotonde armoniosamente finivano con mani
piccole e piene. Vide poi la faccia di Nannina che lo guardava calma come
se stesse studiandolo. Aveva una folta capigliatura di ricci rossi che ne
incorniciavano la testa rotonda e regolare. Il viso era largo, il naso
leggermente rincagnato, con le narici aperte, le labbra, senza rossetto,
erano pronunciate, volitive. Enzuccio nel guardare quelle opulenti nudità
sentì un impulso all'eccitazione, ma non era come prima che era stato
pronto fino all'ultimo e poi…! Ora sembrava tutto fermo. I due grandi
occhi verdi di Nannina intanto continuavano a guardare quel ragazzo, poco
più che bambino, che era in piedi davanti a lei e non faceva altro che
guardarla con le pupille dilatate e non solo per la poca luce. Enzuccio,
quasi ipnotizzato da quegli occhi bellissimi e indifferenti li vide ad un
tratto come illuminarsi, ridenti. Nannina ponendosi a sedere sull'orlo del
lettino con movimento graziosamente femminile, quasi con civetteria gli si
rivolse e, con voce amica, disse: "E' 'a primma vota, eh?".
Enzuccio non rispose ne si e ne no. Sarebbe stato inutile.
Nel mentre gli faceva la domanda 'a rossa stando così seduta lo aveva
tratto a sé con le rosee cosce divaricate facendovelo entrare. Gli disse
di sfilarsi la camicia e mentre lui lo faceva gli slacciò la cintura e
gli calò i calzoni con naturalezza. Gli prese dalle mani la camicia e la
ripose su un angolo del lettino. Durante queste operazioni Enzuccio
sentiva il calore del corpo della ancor giovane donna, ne sentiva l'odore,
lo toccava con le ginocchia scoperte tra il liscio delle sue cosce
tornite. Era rimasto in piedi a torso nudo, in mutandina a pantaloncino e
con i pantaloni abbassati sulle scarpe. Se avesse voluto fuggire non
poteva farlo! "Pur' 'u cazone" fece di nuovo 'a rossa con calma
sdraiandosi mollemente sul letto. Enzuccio con il calzone, istintivamente
questa volta si era tolte anche la "mutanda" diventata nel
frattempo un poco più stretta. Coraggioso quasi saltò sul letto con le
scarpe. Ma Nannina che se ne era accorta, paziente, lo lasciò fare
aiutandolo solo un poco, sorridendo, con una mano a trovare la strada. Lo
tenne abbracciato a lei per breve ché con pochi ed impacciati movimenti
Enzuccio di volata fece tutto il suo cammino!
Ancora come stordito dalla corsa, infine, vergognoso, fece per alzarsi di
scatto ma Nannina glielo impedì con un affettuoso "Chiano! Nisciun'
ce corre appriess'". Lo aiutò quindi a scendere dal lettino con
calma e con calma rivestirsi, mentre lei con discrezione spariva dietro ad
un separè. Ricomparve ancora nuda, con in mano una bianca tovaglia.
Enzuccio le si avvicinò senza parlare e lei sempre sorridendo gli disse:
"E mo' te ne vuo' i'?" Fu accolto all'uscita dal magazzino dai
suoi compagni con un allegro vocìo che si andò spegnendo a mano a mano
che tutta la comitiva se ne saliva per i gradoni male illuminati. Una
lieve pioggerella intanto cominciava a cadere.
FINE
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