Poesie
di
Salvatore Argenziano
Non è mia intenzione tessere una nuova apologia a Salvatore Argenziano;
ma sento l'obbligo, nella poliedricità del cultore che ben conosciamo,
di cogliere l'essenza di questo nuovo veicolo di drenaggio dei
sentimenti del Nostro, conosciuto come linguista, glottologo, insomma
prevalentemente studioso di vernacolo.
Solo apparentemente si colgono di primo acchito oggetti, strutture,
pietre, natura, in una parola la materia ambientale vesuviana
rappresentata dai suoi odori.
Poesia, dal greco "poieo", sta a significare il fare
artistico. Questo è un modo di esprimersi del poeta, che, lasciandosi
trasportare all'infinito dall'immaginazione e abbandonandosi all’incanto,
fa sì che la “verità” si manifesti.
Salvatore Argenziano, intanto, non ha saputo scindere contenuto ed
estetica e ha fatto di melodia fonica vernacolistica, senso olfattivo,
reminiscenze, precordi e rimembranze tutto uno.
Ma il poeta espone la sua di verità. E' la condivisione più ampia
possibile di queste vibrazioni dialettali che determina la valentìa
dell'autore e la fortuna dei composti semplici ed opali colme ostie del
pensiero.
Ogni poeta, ogni vero poeta, è un “puro ascoltatore” e quando il
suo essere “in ascolto” trova corrispondenza tra ciò che “urge”
e “sussurra” dentro di lui e ciò che chiede di essere detto, allora
si può dire che crea.
I versi di questa raccolta apparentemente espliciti sottintendono una
scenografia di vapori diafani quali solo la fantasia e l'onirico possono
trarre dall'olfatto.
Poesia da sentire, poesia da vedere. Ora poesia da fiutare per
rinverdire la memoria.
Quasi una finzione, un disinganno ingenuo perpetrato dal tempo a se
stesso prima che al lettore, che produce nel suo stato poetico
partenopeo sensazioni come il piacere, la felicità, estremamente non
già trasmissibili, ma inoculabili, come un antidoto contro le ansie
quotidiane.
Salvatore è entrato in questa ottica giocoforza. La lirica reale sta
nei muri, nella pece, nella salsedine, nei pollini; egli ne è la
custodia mnemonica, la memoria biologica.
Un poeta rumeno contemporaneo dice: “... una poesia non ha metafore,
tutta la poesia è, in se stessa, una metafora”. Argenziano sfata
questo assioma. I suoi versi sono musica e ritratto lineare, di
significato estremamente espliciti, ma di grande efficacia lirica.
Infatti la traduzione a fronte dei versi pur contenendo i significati
tattili e fotografici rivela la didattica della chiosa, cioè discorso,
o ragionamento, o comunicazione, in cui prevalgono elementi di ritmo,
cadenze, ripetizioni, immagini che alterano i significati immediati
delle parole e che gli conferiscono anche contenuti interiori; ma
scompare il contrappunto del variegato artistico, la pasta di miele
vesuviana sotto il palato dell'anima che solo l'infanzia perduta e la
lingua parlata materna trasmette nel lettore come afflato lirico. Egli
stesso recita:
Quando il ricordare è gradito
i sensi tutti fanno a gara
nell'esercizio della memoria.
Il più discreto è l'olfatto.
Chiudo gli occhi
ed aspiro profondamente
e ritorno dov'ero una volta.
Salvatore non ricerca né si sottopone al giogo dell'artificio, non
intende dire qualcosa di elevato e di nobile, di rassicurante o di
commovente o di rasserenante, di vivace, pungente, pur di fare
sensazione. Nemmeno cade nella trappole della nostalgia. Nessun effetto
coreografico che distrae. La funzione naturale dei suoi versi sono il
riposo, la dolcezza, l'amorevolezza, il trasognamento.
Pur operando secondo i canoni odierni sotto l'assenza di metrica, non
compie lo sforzo dei vistosi versi molto ritmati, molto connessi da
assonanze o da omofonie, con la prevalenza di una dimensione fonica o
ritmica da sensazione.
Salvatore vi contrappone una poesia senza rime, con ritmi meno
insistenti, con pause ritmiche meno folte, ma soprattutto senza pathos
creativo. Argenziano scrive:
Fa ampresso,
priésto.
Vintun'ora è già sunata;
sta pe fernì' a jurnata.
Se confrontiamo il Nostro con una delle poesie più famose del mondo di
Quasimodo:
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
Notiamo la magistrale naturalezza espressiva di |
Argenziano, con buona
pace di Quasimodo, che, pur non cadendo nelle metafore esistenziali e psicologiche
del grande poeta scomparso nel '68, non impone un significato metaforico
chiaro, indicativo, ma vago, evanescente, al punto da miscelare
sentimento ed esteriorità senza l'artificio del mestierante, senza
nulla togliere al grande autore di "Ed è subito sera".
Dipende dal lettore e dal suo stato d'animo, dalla sua cultura
interpretare i versi come: "un giorno che è trascorso e la
serenità del riposo notturno" oppure come "Il "giorno
della vita" che si avvia alla cosiddetta "discesa della
china" dell'esistenza.
Mentre il significato di Quasimodo è inequivocabile, pur se
magistralmente imbroccato ed universalmente riconosciuto, quello di
Argenziano non ostenta tormento e culturalismo, ma comunque l'autore si
rivela valido portatore di un suo particolare modo di intendere la vita
e la realtà vesuviana nel tiepido crepuscolo dei ricordi, con un suo
personale punto di vista, non trascurando l'ispirazione, che nel suo
vernacolo corallino, si manifesta ora come domanda ora come risposta, è
anche, provocazione d’amore, perché richiama il poeta fuori da se
stesso.
Il temperamento di Argenziano si rivela in questi versi. La sua poesia
non vuole comandare, non vuole persuadere, non vuole indurre, non vuole
dimostrare. Certamente la poesia finisce con l'imporsi, anche se
subisce, come qualsiasi monologare, ma riesce ad imporsi questa volta
solo con l'autorità dell'istituzione letteraria che essa evoca o
rivive, quella umanistica e romantica da cui Argenziano imbeve per
formazione culturale degli anni 50, con l'adempimento di un rituale, di un cerimoniale
che inevitabilmente si associa ad una scuola, pur senza volerlo.
'Naddora i maletiempo. Mo
m'arravoglia. Pare tanno.
Salata comm'a chianto
e nneglia sbentuliata
a rusca 'i mare nfracica
vasuli niri e petturate
e 'nfosa spercia i panni.
E qui la materia e l'olfatto sono solo un pretesto per
definire con parole i moti dell'animo.
Molti sanno che Goethe vecchio affermava:
"Quando si hanno delle cose da dire si dicono in prosa; è quando
non si ha nulla da dire che si scrivono poesie".
Detto da uno che ha scritto migliaia di poesie la cosa sembra
incomprensibile, o quanto meno autolesionistica. Invece proprio con
l'assenza di scolastica nei versi di Salvatore abbiamo una chiave per
interpretare la locuzione di Goethe.
La poesia non necessariamente deve "dire", ma soprattutto
anche solo trasmettere sensazioni, sentimenti, umori, ricordi,
nostalgie, in ultima analisi: amore.
In altre parole si può dire che anche la poesia più apparentemente
privata, autobiografica, chiama in vita una parte della coscienza
collettiva, soprattutto nell'estroversione partenopea connaturata, e
allude al valore non individuale del linguaggio, produce un senso
comune, almeno per quelli coinvolti in tale etnia, in tale campanile,
nella fattispecie vesuviani.
Argenziano propende per i componimenti di facile comprensione, limpidi,
cristallini. non solo perché la poesia, per tornare ad essere fruita ed
apprezzata dal lettore medio, deve essere, appunto, chiara, di facile
approccio, comprensibile.
Pensiamo alla povertà dei mezzi, in fondo, di cui si serve la poesia:
carta e penna sono sufficienti per realizzare un ipotetico capolavoro.
Il nostro poeta è celato
nella sua immagine puerile sulla copertina de " 'a Lenga turrese"
coi suoi boccoli d'oro, il suo candore da comunicando. Sin d'allora Egli
sa, per sua fortuna, che la poesia è una carezza, un bacio, uno
sguardo, una tenerezza!, E' poesia un fiore, una goccia di rugiada,
l'arcobaleno. E' poesia l'amore, quand'esso frantuma l'incomprensione, o
peggio l'invidia, l'odio ed il rancore che ottenebrano la razza umana.
Umori, suoni, contatti, visioni, eventi, raccolti nel PROFUMO
dell'infanzia lontana, che ha scavalcato il destino nel suo torto di
farci crescere e finire.
Luigi Mari
Salvatore Argenziano pargolo
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