PINOCCHIO:
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SCUGNIZZO
NAPOLETANO
di Francesca Mari
Pinocchio, il burattino di legno più famoso del mondo, si veste da scugnizzo e
parla napoletano. Ancora una variante dello strafamoso libro di Collodi,"
Le avventure di Pinocchio", che in poco più di cento anni ha fatto il
giro del mondo, si è prestato a molteplici interpretazioni, variazioni,
rappresentazioni fino a diventare un mito nell’immaginario collettivo. La
nuova interpretazione nasce proprio in casa nostra, dalla penna geniale di una
poetessa napoletana, Adriana Fiore, che ha voluto proporre una "riscrittura"
dell’opera collodiana, tradotta in vernacolo napoletano.
Il libro "O cunto ‘e Pinocchio" è stato presentato giovedì scorso
presso la Libreria Alfabeta, per iniziativa dell’Università Popolare di
Torre del Greco, dalla stessa autrice e da alcuni personaggi influenti del
mondo culturale torrese, come il Prof. Armando Maglione e il Poeta Giovanni
Damiano.
Una traduzione integrale, in prosa e versi, con l’uso di endecasillabi, che
ricalca l’intramontabile lirica di Salvatore Di Giacomo, offre al capolavoro
di Collodi un colore intenso ed uno slancio di passionalità e folclore, tipici
della tradizione partenopea. Il burattino incosciente, bugiardo, "combinaguai"
che compie il suo viaggio di formazione, fino a diventare un bambino bravo,
rimane lo stesso anche nell’opera della Fiore: le vicende sono le stesse e i
personaggi pure, ma ciò che dà un tono diverso al racconto è l’uso del
dialetto napoletano che enfatizza le caratteristiche già proprie del
personaggio originale. O’ Pupo (Pinocchio) è uno scugnizzo napoletano, e il
fatto che le sue vicende siano ambientate proprio a Napoli, il suo linguaggio,
le espressioni in vernacolo antico, gli conferiscono un aspetto più brillante,
quasi più divertente. Anche gli altri personaggi, in veste partenopea,
sembrano eccedere nei loro pregi e difetti: mastu Peppe (Geppetto) sembra
ancora più apprensivo, a’ rilla saputella (il Grillo parlante) più saggia,
a vorpa zoppa e a jatta cecata (il Gatto e la Volpe) ancora più maliziosi e
millantatori e a’ Fatella (la Fata Turchina) ancora più materna, secondo una
formula tipica del temperamento dei napoletani.
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Ad incrementare la spiccata napoletanità dello
scritto è l’introduzione di una canzone classica partenopea, " Te
voglio ‘bbene assaje" di R. Sacco, interpretata dal coro che
accompagna i bambini a "o paese de’ pazzielle, che Collodi, a suo
tempo, ha inserito nel racconto, tradotta in italiano, e che ora
riacquista la sua forma originaria.
"L’idea di tradurre il capolavoro di Collodi in dialetto
napoletano- spiega l’autrice- nasce dalla convinzione che il simpatico
burattino di legno abbia tutte le caratteristiche di uno scugnizzo
napoletano. Un birichino sveglio, simpatico, trasgressore delle leggi ma
che poi paga in prima persona tutti gli errori commessi da se stesso e dai
personaggi in cui si imbatte. La napoletanità di Pinocchio consiste nella
sua lotta per la sopravvivenza, negli errori commessi a causa delle
cattive compagnie e della sua testardaggine, e la redenzione finale che
tocca a chi riesce a capire che bisogna rispettare l’ordine sociale. Tra
l’altro, il mio è anche un messaggio di pace, rispetto alla violenza
dei nostri tempi, che incita a ritornare bambini, a fantasticare un po’
di più".
"O cunto 'e Pinocchio", quindi, ha anche un intento pedagogico,
rivolto particolarmente al popolo napoletano, un po’ come il messaggio
che il Collodi rivolgeva, a suo tempo, all’Italia intera:
" Il libro della Fiore- dice il prof. A. Maglione- non ha lo scopo di
diffondere la conoscenza dell’opera di Collodi, che non ha bisogno di
presentazioni, ma offre una nuova chiave di lettura piuttosto originale.
Se negli anni 80 dell’800, Collodi offriva all’Italia post-unitaria,
in fase di crescita ed alla ricerca di identità, un racconto che, in
chiave fantastica, rappresentasse la situazione contemporanea, con il
geniale espediente di un burattino che sbaglia e poi alla fine si redime e
trova il suo equilibrio, così la Fiore vede in quel burattino un po’ le
caratteristiche del popolo napoletano, che in parte è ancora in cerca
della sua identità."
Un intento pedagogico ma anche linguistico poiché l’uso del dialetto
antico e di termini, ormai, inusuali, incita anche a non perdere la
cultura della lingua napoletana:
"La traduzione di Pinocchio- dice il Poeta Giovanni Damiano- è stata
sicuramente un’impresa ardua, a causa della difficoltà di formulare un
linguaggio ormai poco usato nel parlato comune. Ma ciò che fa onore all’autrice
è di aver prodotto un vero gioiello che entrerà nelle case senza
difficoltà, per la semplicità dell’ormai nota storia, e in più
contribuirà a mantenere intatta la preziosità del dialetto napoletano,
quello dei grandi poeti dell’800, quello che ormai è una vera e propria
lingua, da conservare e salvaguardare." |