Letteratura torrese 3

    Torna al forum         

Seguono interi capitoli tratti dal libro "Da Magonza a Torre del Greco" 
di Luigi Mari 1980 - Editore di me stesso. Per...mia  gentile concessione...

IL PREZZO 
DEL PROGRESSO

Anche l'industria italiana e, per conseguenza, quella napoletana, tende ad escludere la dimensione umana dalla produttività. Per fortuna nel Napoletano è ancora possibile intravedere l'aspetto umano del lavoro, nei centri storici, dominati dagli agglomerati di bassi, dove gli ultimi artigiani svolgono il loro lavoro a misura d'uomo, perché ancora operano in un contesto proletario e piccolo borghese, che condiziona il modo di lavorare e di vendere secondo le vecchie tradizioni, dove si ricusa l'impatto appena decennale di certi repentini stravolgimenti tecnicistici e consumistici sotto casa propria.
Certi moduli edonistici tendono alla conversione, lentamente, come il tarlo fa col legno, o la goccia con la pietra, facendo leva sul martellamento pubblicitario legato al modello sociale planetario di benessere illusorio, attraverso espedienti come il risparmio ottenuto coi prodotti di serie, o l'adescamento dei supermercati, che eliminano perdite di tempo prezioso, utilizzato, poi, per i giorni di lotta, atta a procurarsi altro danaro, e ancora risparmiare al solo scopo di rispendere. Un circolo vizioso come la tossicodipendenza, ma legale ed istituzionalizzato da cui nessuno, non solo non può, ma non deve sottrarsi. Qualcuno dei tipografi che è riuscito a costruire il capannone, magari dietro un compromesso stipulato coi fiori all'occhiello, e finito magari ghettizzato in un lussuoso appartamento dei quartieri bene, europeizzato ed irrimediabilmente escluso dal calore della Napoli oleografica dove i sostegni psichici essenziali di solidarietà, di contatto umano, ancora si osservano nei mercatini rionali o quelli domenicali di Piazza Ferrovia, o di Poggioreale, nelle botteghe, nelle case giardino delle vecchie costruzioni spagnole
Le stesse officine industriali dei quotidiani della capitale del sud hanno definitivamente visto dissolto il calore umano che esalava, all'unisono, dai precordi dei giornalisti e tipografi e dai crogiuoli delle linotype. Era l'ardenza del piombo fuso ad accomunare autori e tipografi in una sola famiglia. Le notizie sprigionavano anch'esse la soavità di una metropoli ancora lontana dalla giungla urbana, animata dalle Piedigrotte, dalle serene periodiche domenicali e dallo strabenedetto pane e ppummarole, e dal derivato sacrale ragù, o dalla defilippiana ritualità di pasta e fagioli o caffè che scendeva.
Oggi pure i napoletani il caffè lo fanno salire per dimostrare che il mondo, nell'arco di pochi decenni è cambiato da così a così, grazie all'indomita, ma sgherra ascesa industriale. Nelle redazioni dei giornali, anch'esse linde ed asettiche come gli ospedali, il giornalista infreddolisce per l'assenza dei crogiuoli, per la nefandezza delle notizie, per il suo esclusivo rapporto di lavoro con ...il terminale. Chi ha le tempie canute ricorda che il tipografo delle botteghe, nel dopoguerra doveva accontentarsi delle bruschette o delle marenne a base di melanzane a funghetti e friarielli, mentre quello che faticava al giornale poteva permettersi la fetta di prosciutto.
Spesso i compositori o gli impaginatori dei giornali davano il loro diretto contributo ai pezzi di cronaca, perché facevano da tramite tra ambiente popolare e redazione, suggerendo, tra l'altro, espressioni gergali, peculiarità caratteriali e comportamentali del popolo, sconosciute alla classe alto borghese dei giornalisti agiati di allora. Chissà chi furono gli informatori della Serao, forse la masnada di camici neri rattoppati e bisunti che la circondava.
Quale tipografo artigiano negli anta può dimenticare le rasserenanti giornate di lavoro in queste officine grafiche. Lazzi, facezie, scherzi da prete e soprattutto spiccava quella sorta di paradossale religiosità nel turpiloquio, poetico, colorito, ilare, puerile ed innocente. Questi erano i soli delitti che si confessavano la domenica in chiesa. Ci si doveva pur farsi perdonare qualcosa, altrimenti i reverendi avrebbero rischiato la cassa integrazione.
1980  Luigi Mari

IL SOGNO 
DEL GIORNALISMO

Le tipografie artigiane vesuviane che ancora realizzano nella maniera tradizionale le pubblicazioncelle locali pressate dalle ambizioni letterarie degli oscuri docenti di lettere, o dei cultori di sogni nel cassetto, o dei poeti del sabato sera di fama intercomunale, arrotondano il fatturato in un contesto lavorativo molto compromesso dall'offerta satura.
Ebbene, io appartengo alla categoria di questi sciagurati sognatori, conscio, però, del carmina non dant panem, non solo, ma pure del nemo propheta in patria, poiché queste sporadiche mie esperienze scrittorie desuetamente autofabbricate in tomi, sono destinate, volutamente a non valicare il circondario regionale.
Nota: Questo discorso era valido 20 anni fa quando è stato steso il capitolo. Oggi con la rete le cose sono cambiate (N.d.R)
Sono comunque solidale con tutti gli sventurati come me, e quasi mi rammarico del privilegio di poter prevalere, almeno quantitativamente, sugli altri, che la sorte non li ha voluti nemmeno bottegai tipografi. Comprendo, anche se non giustifico, coloro che non sanno valutare i propri limiti, e continuano imperterriti in questo cammino spinoso, attribuendo il loro insuccesso solo a fattori egemonici da circolo chiuso. Oggi, più che mai, in tutti i settori culturali, l'estetica prevale sul contenuto, questo tende a soffocare l'espressione popolare nell'arte scrittoria, ed è una discriminazione. Chiunque ha il diritto di esternare i propri sentimenti, anche al di fuori di virtuosismi dottrinari. L'importante è riconoscere la propria posizione e non ostinarsi ad apparire quello che si vorrebbe essere e non si è.
Non è la semplicità d'espressione che è nociva, quando c'è contenuto, ma l'elaborazione culturale della povertà estetica che alimenta il desiderio di abbarbicarsi verso i fastigi di castelli a cui non si e provveduto, negli anni, a mettere su con tenacia e abnegazione, dietro un allenamento estenuante, mattone su mattone.
1980 Luigi Mari

TOTONNO
PALLAPPESE

Introdurrò l'episodio di Totonno pallappese con un argomento che solo apparentemente sembra in antitesi, ma che è diverso solo per stile e forma. Tratterò nientemeno che "un concetto dell'amore".
Anche questa volta non desidero postulare nulla a nessuno. Si tratta sempre di osservazioni del tutto soggettive e non sottintendono nessuna intenzione di tono scolastico. Vi è un abisso tra la natura dell'amore e l'idea culturale dell'amore poliedricamente elaborata, a mio modesto avviso, naturalmente. L'amore, purgato di volta in volta dalle mode letterarie della storia lo conosciamo tutti.
La psicologia moderna un bel mattino ha deciso di spogliare l'umano da molte croste culturali lasciandolo nudo nel suo stato primitivo di istintualità. L'animale uomo è un istinto di conservazione personificato, modificato dalla cultura. Alcuni sono concordi nel supporre che tutte le invenzioni culturali sono delle difese dall'angoscia, connaturata negli animali ragionevoli, coscienti del loro destino di finibilità, non solo, ma di probabile assenza salvifica post-mortale
 Ma al di là delle affermate teorie speculative o psico-scientifiche, il timore, o più semplicemente il senso di finire, è presente in ogni forma cerebrale. L'animale, a mezza strada tra l'uomo e la pianta, vessato o recluso presenta gli stessi sintomi angosciosi dell'uomo ragionevole, che sfociano, a lungo andare, nel disequilibrio. L'appassimento delle piante è un chiaro esempio di deperimento fisiologico. Esse, istintualmente, (anche se la terminologia è impropria) nei loro limiti compiono ogni sforzo per riprendere vita e, nel caso di intervento dell'uomo o della natura, ce la mettono tutta per risorgere.
Io suppongo che una forma iniziale di difesa, più comprensibile come senso di conservazione, sia presente già nello stadio fecondo pre-fetale. La prima reazione ovulo-cellulare e quindi la difesa dall'estinzione, che si accentua mano mano con lo sforzo neo-fetale contro la probabile minaccia abortiva. La lotta con la finibilità, quindi, non è subito istintuale-cerebrale pre-post-natale, ma è gia presente con la formazione delle prime cellule; diviene istintuale durante la stadio fetale avanzato, e si consolida in quello neo-natale, onde perpetuarsi nell'esistenza. Ma l'uomo, per sua sfortuna, è dotato di ragione ed ha inventato la cultura che complica per subito esorcizzare questi timori associati. Quindi alla difesa istintuale si aggiunge l'elaborazione culturale dell'idea di morte, caratterizzata dal timore di una probabile assenza salvifica. (Vedi: Scimmietta ti amo di Luigi De Marchi).
La confusione umana è concentrata nel sincretismo Dio-Amore e Dio-Punitore. In realtà l'amore non è il bene che dualizza il male, quindi Dio-demonio, ma amore come esorcismo della paura, non solo di finire, ma di rivivere, dopo, nella sofferenza. Diremo, allora: Dio = idea della vita, demonio = idea della morte. A prescindere dalle teorie teofilosofiche millenarie, l'idea di Dio come garanzia di continuità è indispensabile agli animali dotati di ragione, sebbene la dottrinarizzazione di certi elementari concetti abbia generato maggiore confusione. Senza nulla togliere ai Padri della Chiesa ed ai teologi, e con tutto il rispetto per i credenti di ogni Confessione, i quali trovano serenità e sollievo, bisogna ammettere che Diderot non aveva tutti i torti quando disse che le religioni annunciate in passato da ignoranti facevano milioni di credenti, predicate poi da dotti fanno solo degli increduli.
A prescindere dai quindici miliardi di anni luce che ci separano dall'ultima galassia sentita dalla terra (la Luna e a un secondo luce, quindi una delle riflessioni che conducono a Dio), la Religione e una grande realtà per tollerare l'orrore della morte, tranne due elementi comuni a molte Confessioni, che alimentano l'angoscia umana : l'idea dell'inferno e l'elaborazione culturale della sessualità ad esso relativa. Metabolismo sessuale legiferato, quindi compromesso nella sua biologica istintualità che, se non censurato o modificato nella sua appetibilità, sarebbe tanto più naturale e moderato, ed uno dei più idonei toccasana spontanei per scongiurare l'angoscia istintivo-culturale di finibilità, in ragione di fantasie erotiche, pulsioni pluridirezionali, fino all'omosessualità, senza contare le pulsioni incestuose coatte, manifeste o inconsce; reati sufficienti per annullare la garanzia salvifica al di là da venire
L'eterosessualità, intanto, non condizionata dall'idea di peccato, che richiama subito l'inferno è e la più idonea equilibratrice della vita cellulare-psico-metabolica, connessa all'idea di Dio-amore, così, invece, irrazionalmente elaborata culturalmente, non altro che da fantasiosi bisogni di espiazione terrena. Il suicida, molto spesso, ammazza sé stesso per non morire! ... Egli annega negli angosciosi sensi di colpa inconsci, cioe sempre indefiniti, quindi, nell'immotivazione, attribuita spesso ad ingerenze demoniache, vorrebbe uccidere un male senza volto, che in buona percentuale si rivela come consapevolezza celata in cantina, dell'elaborazione culturale: morte-inferno-sofferenza eterna, pregna di terrore, fulcro inconscio di tutti gli stati depressivi più a meno gravi. Nell'impotenza ansiosa il suicida ripiega, in alternativa, con il possibile annientamento della debole carcassa cerebrale, portatrice da anni, con alti e bassi l'angoscia oramai incancrenita, tanto più coatta ed ossessiva perché inesplicabile in superficie, dietro l'esclusione di ogni possibilità di risoluzione.
Il tema, sovente reiterato dell'insoluto esistenziale, non altro l'angoscia umana che ha origine direttamente dalla consapevolezza di finibiltà e probabile assenza salvifica, in base alle elaborazioni culturali di millenni, fu magistralmente generato dallo psicoterapeuta Luigi De Marchi, nel suo Scimmietta ti amo. 

Da questo saggio sono stato sensibilmente illuminato e spinto a formulare qui alcune riflessioni, che partono dall'assunto del suo geniale saggio.Le difese, (anche sotto le freudiane sublimazioni: artistiche, politiche, religiose, professionali, ecc.) sono molto spesso contrastanti, e vanno dall'annichilimento mistico alla violenza criminale, quando le si sostituiscono all'unico antidoto diretto alla paura esistenziale, cioè l'amore, (specie concretizzato nei contatti fisici, continuità della difesa uterina) inteso come l'opposto dell'angoscia, quando è esente dall'idea di peccato. Dio è anche l'organismo che vive e bisogna sempre favorirlo nei legittimi appetiti, foss'anche nell'atarassia epicurea. La morte - diceva intanto il filosofo - non è nulla per noi, perché quando noi siamo essa non c'è, e quando c'è noi non siamo più.
Sicuramente Epicuro non si poneva il problema dell'al di là. Dunque amore non come opposto dell'odio, ma come inverso della paura. Più è attenuato questo timore, più l'uomo è capace di amare. L'amore come salute mentale, che stabilisce il giusto compromesso con l'infernizzazione della vita. L'idea di Dio anche in questa dimensione è utilissima per vivere in modo più sereno possibile, senza per nulla escludere la dimensione transumana.
L'amore come inverso della paura è essenzialmente quello per antonomasia, cioè l'eterosessualità. La proverbiale sicurezza del ventre materno avvezza specie l'animale uomo a scongiurare il timore di finibilità nelle parti lubriche di questo grembo, che conservano tutte le caratteristiche delle mucose erogene freudiane. Da questo tipo di benessere-scongiuro si dipanano poi tutte le peculiarità della sfera affettiva, tenerezza, attrazione, affetto, compassione e pietà, quest'ultime proiettive e, talvolta, come la carità, prevedono un tornaconto salvifico. L'amore nudo, naturale, legittimo, fuori d'ogni elaborazione culturale, compresa quella che leggete..., perché s'e asservita alla corruzione dottrinaria per stare coi tempi, per esprimere concetti di un naturalismo pre-culturale


TOTONNO PALLAPPESE

Dopo tanto filosofare fa duopo, come diceva Totò, un po' d'evasione. Credo che nessuno si scandalizzi con la storia di Totonne pallappese, perché una cosa e la villania da portuale e un'altra l'umorismo erotico, anche se licenzioso. E poi, come posso ovviare al dato di fatto che tutti i colleghi tipografi della cintura vesuviana siano in un modo o nell'altro avviluppati nella problematica psico-sessuale. La storia di questo tipografo vesuviano, la cui virilità, appunto ignea, si rivelava insufficiente, e patetica ed ilare nel contempo.
Un giorno, nella mia bottega di Via Purgatorio dichiarò pubblicamente che la sua coglia fungeva da guanciale, oramai, alla sua mentula logorata ed in avanzato stato di atrofia, e gli epididimi completamente aridi come le dune del Sahara. Non sarebbe il caso di ironizzare, dileggiando un momentino il povero Totonno, ma il sesso e il peto sono i temi centrali dell'umorismo vesuviano, quindi prendiamo la cosa sotto l'aspetto del beneficio sociale di carattere evasivo a base di flatulenza e sessuomania.
Veniamo al sodo, anche se non sarebbe proprio il caso di usare questa frase fatta, perché Totonno pallappese era allo strenuo poiché veniva insidiato dalla consorte ventiquattrore su ventiquattro, non escluso le feste comandate, anzi. Lo possedeva sempre e dovunque, molto spesso nella sua bottega, ad est del Vesuvio, contro le pianocilindriche, sulle pedane impilate, là dove definire ninfomania, quella della donna, equivarrebbe ad aggettivare piccolo l'Universo.
L'ossessa, e non sono iperbolico, si rivelava un'autentica megagalassia erotica in espansione. E poiché non rientrava nel suo ordine di idee la trasgressione monogamica, essendo stata educata dalle teste di pezza, pretendeva il legittimo dovere coniugale solo dal malcapitato, minacciando, spesso, la richiesta d'intervento della Sacra Rota.
Quando, hailui, mi vidi apparire sull'uscio della mia tipografia Totonno, pallido, emaciato, bacucco che più non si può, venticinque chilogrammi abito e scarpe compresi, prognosticai la, quando prima, raccolta dei suoi resti dal suolo, col cucchiaino, per dirla in gergo. Gli dissi che, purtroppo, era condannato a soccombere sotto un assioma legislativo.
Nessuna normativa sociale planetaria si oppone all'ottemperanza del dovere coniugale del maschio, da secoli detentore di priorità erotica attiva, anche se in misura da sanatorio. Doveva agire d'astuzia. Una volta falliti anche i tentativi, suggeritile, della pratica onanistica o del bambolo gonfiabile, doveva inevitabilmente ripiegare con un cavillo da paglietta, diventare, ad esempio, pazzo, a cui tutto e tollerato. «Con I'aiuto di Santa Veronica, protettrice anche dei tipografi, caro Totonno, dovrai divenire pazzo, e risolvi, tutto ti sarà consentito e tua moglie si guarderà bene dall'usarti violenza». «Io sono l'unico uomo al mondo - rispose Totonno con un fil di voce - che non saprei simulare mai la pazzia, con tutta la debolezza che mi ritrovo addosso mi scapperebbe a ridere... No, non e cosa».
«Non devi simulare la pazzia, Totonno caro, devi diventare pazzo sul serio. Lo so che non è facile, ma a parte il fatto che sei sulla strada, basta una spinta e ti verremo a trovare a Capodichino o ad Aversa».
Totonno pallappese al solo udire la parola spinta si afflosciò su di una sedia dietro il banchetto d'accettazione della mia bottega di Via Purgatorio:
«Solo una spinta ci vuole e poi esco dalla porta coi piedi avanti... No... io non discerno piu, scambio i testicoli di ciuccio per lampadine elettriche e prendo le sputazze per monete d'argento. Sono un uomo finito, ormai. Mi sono rassegnato, mi piange il cuore, però, pensando ai ventidue figli miei, potenziali orfanelli».
Io postulavo la mia tesi e gli suggerii di coricarsi per qualche giorno, onde guadagnare la giusta energia per mettere in atto l'espediente, ma alla parola letto reagì con un mancamento. «Allora fai una cosa - insistevo - va' in riva al mare e, ravvivato dalla brezza, mettiti a pensare all'Universo. Quante sono le galassie, Totonno? - L'uomo, o ciò che rimaneva d'esso, scosse la testa. - Sono migliaia - ripresi - se non milioni, o miliardi, chi sa. A che distanza da noi sta l'ultima galassia sperimentata dall'uomo? - Totonno pallappese aveva dei lampi di luce negli occhi, poi delle contrazioni maxillo facciali, quindi i primi sintomi frenopatici. - Milardi di anni luce - aggiunsi. - Toto' la chiave per diventare pazzo a breve termine e questa. Abbandonati a queste elucubrazioni, intensamente: cosa c'è oltre l'Universo, ammesso che abbia una fine, e oltre l'oltre cosa c'è, Toto', e oltre l'oltre dell'oltre cosa ci sarà mai? ».
Questo episodio rivela un inedito. Nessuno sa che la barzelletta del pazzo e della mazza di scopa, fu ispirata dal caso di Totonno pallappese, che da quando, quel giorno, l'accompagnai al pronto soccorso, non s'è piu ripreso. Ma non mi sento colpevole per avergli insegnato il modo per imparare a volare, non già per tener fede al luogo comune che la pazzia è più vicina alla verità, o per avallare la tesi di Michel Foucault: Mai la psicologia potra dire sulla follia la verità, perché è la follia che detiene la verità sulla psicologia, ma perché è meglio, tutto sommato, un pazzo vivo che un iper-eterosessuale morto.
Avrei voluto dire, pero, a Totonno, ma non feci in tempo, che avrebbe dovuto spogliare il suo stato dall'elaborazione culturale dell'idea di pazzia, che alimenta la stessa proprio con il timore diabolico esorcizzante che la gente mostra nei confronti di essa e che si riallaccia sempre al thanatos freudiano, quindi all'angoscia primaria dell'uomo. Avrei voluto dirgli, antifreudianamente, che attraverso la libertà della follia, senza, però, l'angoscia culturale ad essa connessa, aveva adoperato la fuga dal sesso e non la sublimazione, per scongiurare l'angoscia della morte. Avrei ancora voluto dirgli che anche la solitudine, l'emarginazione, scevre da qualsivoglia elaborazione culturale angosciante, sono tollerabili, anche se mai consigliabili, perché eludono il concetto del sociale, quindi dell'amore come inverso della paura.
Forse aveva ragione il filosofo quando diceva: Nulla accade a un uomo che la natura (e non la cultura) non l'abbia fatto capace di sopportare.
Appena Totonno pallappese cominciò la spola tra le case di cura, secondo la legge 180, la moglie prese i voti, ritornando alle origini di quelle che erano state le cause dei suoi disturbi sessuali. Ma se i familiari non avessero guardato con sospetto e timore Totonno, egli non avrebbe preferito il covo uterino dell'ospedale per una famiglia di spaventati, perché ancora immersi nell'ignoranza culturale medioevale.
Totonno, per dieci anni, ha puntato un asse di scopa verso la Via Lattea all'alba e al vespero. Non ho mai capito se la sua fosse pazzia autentica o scaltrezza napoletana. Quando alla fine gli tolsi la scopa di mano per imitarlo, come tutti sapete mi rispose: «Sono anni che non vedo niente io, lui se ne viene fresco fresco e vuole vedere».                                  Luigi Mari

TOTONNO PEZZE 'NCULO E VICIENZO PIERE PE' TTERRA

Tutti sanno che i soprannomi riflettono la personalità, il mestiere, la condizione di un individuo, quindi potete gia farvi un'idea della morale della favola. I due tipografi in questione erano ubicati sulla stessa strada l'uno di fronte all'altro. La spietata lotta commerciale durava da ben cinque lustri. Non si contavano le aggressioni fisiche, le rappresaglie, i boicottaggi. Sulle due fazioni nacque un vero mercato nero, giochi d'azzardo, ecc. Si scommetteva su chi rompeva prima la testa all'altro, sul numero dei clienti che entravano in ciascuna bottega nell'arco della giornata e via discorrendo.
Scrivani e assistiti lavoravano a tutto spiano, tra cabala e smorfia. Insomma nacque un'attività economica che arrotondava i magri stipendi del vicinato. Intanto i due durante le tregue lavoravano come turchi, poiché a mano a mano che i costi si riducevano, la clientela diveniva sempre più nutrita. Quando le prestazioni raggiunsero il costo zero Totonne pezze 'nculo e Vicienzo piere pe' tterra dilapidarono tutte le loro risorse e mandarono le famiglie sul lastrico.
Quella strada morì nel senso commerciale. I bancarellari tentarono nuovi siti. Gli scommettitori ripiegarono con il toto nero. In tutto il quartiere aleggiava un'aria di detrimento. I due ambulavano nel quartiere, boccheggianti per l'inedia, dimessi e malnutriti, il viso grinzoso ed emaciato. Un giorno si incontrarono. Non si azzuffarono, non avevano altra forza che quella della disperazione. Non si sa bene se si abbracciarono nel tentativo di non buscarle, come fanno i pugili, o se si caddero addosso per il deperimento. Fatto sta che decisero all'unisono di fare appello al buon cuore dei passanti.
Col viso smunto, non rasato, rattoppati e semiscalzi, puntualmente, ogni mattina occupavano le postazioni dei sagrati di due chiese, guarda caso, prospicienti l'una l'altra. Trascorsero alcuni mesi e, se pur non navigavano nell'oro, li si vedeva più nutriti, rasati, con banchetto con urna per ricevere l'obolo senza la mano tesa, il telone controvento, la ceneriera, il mazzo di carte, il minibar nel banchetto, ed i ringraziamenti formulati in locuzioni rivolte ai defunti, stampati in cartoncino formato visita per le 500 lire, in pergamena per le 1000, in papiro originale dell'antica Cina, made a Forcella, per le 10.000.
Ma un giorno l'uno notava maggiore affluenza sull'altro sagrato e decise di scemare le tariffe. Dichiarare la guerra ad una grande potenza era meno grave. Aggressioni. Parolacce. Boicottaggi. Teste rotte. E ancora: bancarelle. Assistiti. Scommesse. Insomma un altro quartiere di Napoli si risollevò dalla secolare indigenza. Totonne pezze 'ncule e Vicienzo piere pe' tterra questa volta finirono in mutande, alla lettera. Distrutti dalla fame, annichilati nel disonore perirono e furono inumati, destino infame, l'uno dirimpetto all'altro in un povero viale del camposanto, a pochi passi da un cenotafio e un famedio. Ma accadde... (Intelligenti phauca)
.
1980  Luigi Mari