IL CARATTERIALE
VESUVIANO MARIO
ESPOSITO,
DETTO IL CESOIA e
NOSTALGIE
Sono migliaia i personaggi che, in oltre trent'anni, sono passati per
la mia bottega di Via Purgatorio. Non basterebbe un sito per contenerli
tutti. Nelle loro parole, nei loro gesti c'è tutta la storia di Torre
del Greco, ed è tutta qui, nella mia mente. Prego il Signore di darmi
abbastanza vita ancora per avere il tempo di tramandare ai posteri
queste storie.
Lo stesso Mario Esposito, detto cesoia, mi ha dato conferma di quanto
appena esposto, durante un colloquio avuto con lui dopo la sua morte
(sic). Mario viene spesso nella mia bottega di Torre del Greco. Egli ama
la mia città perché v'e vissuto un politico onesto: Enrico de Nicola
(Dio mio, come cambiano i tempi!). In più il Robespierre usufruisce dei
benefici terapeutici che Torre gli elargisce. Sosta un po' nella mia
bottega, rinnovando l'attributo di chiodo al mio tagliacarte, quindi
prosegue per la Nazionale e giù sulla Litoranea, superba stazione
termale, secondo lui
«Quando mi immergo nelle acque inquinate, che dico, brodolose,
fecciose, pantanose e lutulenti, - mi disse Mario - io mi sento
rinascere. Che bisogno c'e di sottoporsi alla fangoterapia a Ischia. I
miei anticorpi sono i più virili del mondo, prima si pazzéano i
batteri, poi li fagocitano, perché i microbi, sappi, sono sempre
femmine, poiché se non stai attento ti fregano!».
Mario cesoia e uno di quei personaggi di cui e difficile stabilire
quando ironizzano e quando fanno sul serio. «Modestia a parte -
aggiunse - io sono il più grande tagliatore cartaceo del globo. Ai
tempi della Rivoluzione Francese avrei fatto affari d'oro. Oddio, non è
che adesso teste non ce ne sarebbero da tagliare... Durante le elezioni,
una volta, ho tagliato due miliardi e trecentomila tonnellate di carta;
eppure, mi devi credere, l'ultimo quintale mi fece il servizio... si,
quando andai all'altro mondo, ti ricordi?».
Mario cesoia, malgrado i suoi inesorabili anticorpi si ritiene un
autentico ospedale ambulante e, chiaramente, attribuisce la colpa ai
padroni, quelli vecchi, precisa, perché i nuovi, o sono buoni o lo
devono essere per forza.
Mario non si spiega come abbia fatto a prendere lo zucchero (diabete)
mentre nella vita gli hanno dato sempre veleno; tanto meno sa capire
come abbia preso l'acqua nella pancia (cirrosi epatica) se ha sempre
tracannato ettolitri di vino. Prodigi del vernacolo! La mattina di un
gelido e grigio febbraio Mario cesoia, morò, per dirla con
lui. Dopo 12 ore dall'accertato decesso fu scovato in cucina, dagli
addetti alle pompe funebri, mentre strombettava una fanfara sul bevante
di un fiasco di Barolo.
Dichiaro alla stampa: «La catalessi è un tranquillo sonno fetale.
Se volete sapere se esiste l'altro mondo mi date sei o settecento
milioni ed io vi accontento. So bene che non me li date perché non mi
credete, ma se io lo sapessi davvero? ... Il risveglio - concluse
con una smorfia di disgusto Mario, sotto la luce violenta del quarzo -
è deprimente. Questo ve lo dico gratis. Perché ti ritrovi in questa
schifezza di mondo e rivedi le stesse facce, la stessa gente che si
agita, irrompe, si precipita per arrivare dove? E già, voi siete
giornalisti, sono frasi fatte, eh? Ma io faccio il tipografo da
cinquant'anni e qualche cosina l'ho imparata. Ha detto una volta Giorgio
Bassani: "Per capire veramente come stanno le cose a questo mondo
bisognerebbe morire almeno una volta". - Mi strizzò l'occhio. -
Che facciamo ? Il certificato medico parla chiaro. Va be' facciamo
cinque milioni e l'affare è fatto! Cinque milioni li spendete in un
giorno, all'inferno, per un poco di ghiaccio fetente che vi puo passare
qualche diavolo corrotto».
Mario cesoia non ottenne i cinque milioni, ma ha lasciato il lavoro per
la nuova professione di assistito. Chi più di lui può dare i numeri,
si è chiesta la gente. Il più delle volte le prende, specie
quando fa perdere poste alte, ma quando l'azzecca lo piazzano su di una
sorta di stallo pontificale aleggiandolo con due flabelli.
L'ultima volta che l'ho visto gli ho chiesto: "A me lo puoi dire,
sarò una tomba, l'inferno esiste o no?". Mi fissa come per dire:
povero grullo: «E ti pare che se io fossi sicuro che l'inferno non
esiste sopportavo ancora quella strega di mia moglie e quell'arpia di
mia suocera? E da mo' che le avrei tagliate quelle teste, sai il taglio
che sogno tutte le notti, altro che risme. Le avrei bollite e le avrei
messe fuori il balcone appese con un limone in bocca. Le lingue le avrei
bruciate, cremate, perché quelle sarebbero capaci di vituperare pure
dopo morte».
Luigi Mari
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La nutrice NOSTALGIE
Alla magia della stampa, sotto il Vesuvio, si associa quella
dell'espressione verbale colorita. Quelle locuzioni argute ed ilari degli
adolescenti post-bellici si diffondevano in ogni ambiente, dalla scuola
alla strada, ai sodalizi, alle botteghe. I miei ex apprendisti, durante le
visite odierne, mi rammentano queste gioiose mattizie adatte per
farla in barba alla monotonia d'una lunga giornata di lavoro.
Ammesso e non concesso che io ti dicessi di fare poco il berloffo, tu
che faresti? Oppure le caricate traduzioni letterarie di nutriti
epiteti in vernacolo, le quali suonano: Vai ad operare in ciò che sta
sotto il naso di colui che un giorno ti si spense, comunemente
conosciuta come: Va' fa' mmocca a chi t' è mmuorto. O, ancora: All'alma
di colui che a te percosse i funerei rintocchi dei sacri bronzi, che
sta per: All'anema 'e chi te sona 'a campana a mmuorto. Inoltre: Adesso
piroetto sulle tue guance una discreta dose di enzimi orali, cioe: Mo
te sputo 'nfaccia; e via dicendo...
Le contumelie moderate si limitano a l'Eva t'amo tanto, che faceva
inviperire le ragazze d'allora. Ché, dire, oggi, al coetaneo
sessantottino: Levate 'a mutanda, equivale al dammi un bacio d'una
volta. Noi anta ci scandalizziamo anche perché ignoriamo che i giovani si
sforzano a naturalizzare il linguaggio sessuale (il che non è
turpiloquio) allo scopo di esorcizzare l'ipocrisia bigotta del passato.
Infatti viene a cadere da noi la priorità della barzelletta col doppio
senso erotico.
E, fateci caso, alla fine si finisce ancora col parlare di morte e di
sesso, quando c'e di mezzo la vita. Molte di queste trovate attingono,
pero, da una tale letteratura popolare teatrale pre-alfabetismo, come la
maggioranza dei proverbi e delle locuzioni popolari partenopee. Le
diffusero personaggi come Pulcinella o Felice Sciosciammocca, i cui autori
attingevano a loro volta dal popolo.
Quando nella bottega annuncio qualche pubblicazioncella, la prima cosa che
mi chiede la gente è: Ma fa ridere?. Il bello e che essa ride pure quando
ho creduto di scrivere cose serie. Non sarà per partito preso? Forse
anche a Napoli, oggi, si insinua quel proverbio che recita: Quante
volte le bocche ridono ed i cuori non ne sanno nulla. Abbiamo finito
col dottrinalizzare pure le risate? Abbiamo fatto del proverbiale buon
umore napoletano un'altra elaborazione culturale? Se così fosse, poveri
noi!
On Lui' - dicono sovente gli ex apprendisti quando s'affacciano
all'uscio della mia bottega - all'alma di colui che a te percosse...
Ed io mi commuovo per stupidaggini del genere, perché tali non sono.
Esse sostituiscono i contatti umani d'un tempo, il senso dell'amicizia,
sempre più compromessi, per questo tronco la frase dicendo: Curre,
cammina, va a fa' 'o duvere tuoie. Ed egli docile come un cucciolo
riconoscente si avvicina soddisfatto alla napoletana.
Io noto la prima stempiatura, gli incipienti segni della sua dissolta
giovinezza. Penso a quando, paternamente, lo dileggiavo dicendo mesci il
caffè, ed egli, invece, puerile ed ignaro lo zuccherava.
Ah, scarzuppulillo, non più imberbe, col tuo pomo d'adamo che va
su e giù, con qualche dente in meno e la consorte incinta ogni nove mesi
perché non si decide a fare il maschio. Ricordo quando dicevi al cliente
moroso che cinchischiava nelle tasche inventando mille scuse: Ma dicite
ca nun tenita a «zuppa ». Rieccovi a fare 'o duvere vuoste,
come un tempo, con la napoletana, dove il caffè scende. Ridico
mesci, e voi, meno candidi, lo versate, dietro un adulto sorriso sornione.
E' accaduto, l'ultima volta, appena un mese or sono. Un ex scarzuppulillo
centellinò con me quel nettare dell'amicizia e si dileguò per l'ingresso
borbottando di avere una fretta del diavolo.
Un attimo dopo ricomparve: «On Lui' - sbottò - me scurdavo 'na
cosa importante ». Pausa. «Dai, parla», ruppi. E lui «Ammesso
e non concesso che io ti dicessi di fare poco il berloffo, tu che faresti
?». Fu molto più d'un abbraccio. Grazie, ragazzi, grazie perché mi
fate, talvolta, riassaporare la giovinezza. Grazie per aver tollerato i
miei sbalzi d'umore dovuti alle vostre inottemperanze, per aver saputo
sorridere a qualche mia verbale escandenscenza: 'Ata fa' 'e mmane comm'
e piede!
Luigi Mari |