Tipografo sventurato
Quella bella, cara, trita retorica
Il vesuviano si europeizzava fino ad ieri, oggi entra nella
globalizzazione, nel commercio elettronico, si consolida la proverbiale
scaltrezza, si rafforza la tipica sua conciliazione del diavolo e acqua
santa. Solo i puri ne pagano le pene o le penne come più vi piace.
Le tradizioni quindi le radici vanno a farsi benedire? Sono pochi, anche a
Torre, i nascituri a cui non viene imposto un nome esotico. Soccombono i
cosiddetti onesti.
Giovanni Paperino, come tutti gli adulti bambini era, tutto sommato, un
candido ossessionato. Il conflitto si consolidò quando, preso dal bisogno
della fuga, dovette lottare intensamente contro la rinuncia affettiva dei
suoi figliuoli. Una coppietta di pargoletti tenerissimi, si confidava, due
batuffoli di cotone idrofilo, l'uno rosa, l'altro celeste, sebbene,
secondo la moglie, lui avesse contribuito al loro concepimento solo
attraverso un meschino, scellerato semino.
La fetta di potere ottenuta dalla moglie di Paperino era insufficiente
secondo il parametro vigente, a stento riusciva a snobbare i condomini.
Sebbene fosse detentore di una posizione economica superiore alla media
nazionale, l'uomo si sentiva meschino, inottemperante, un poveraccio da
questua. Schiacciato dalle pressioni domestiche il tapino decise di
recarsi a visitare la famosa rassegna grafica del capoluogo lombardo onde
acquistare macchine rapidografiche, turbografiche e, come si suol dire:
chi più ne ha più ne metta.
Il poveretto, stressato, esaurito, avvertì un malessere nell'aereo, ma
invece di prendere la direzione della toilette aprì per errore un
portello dell'abitacolo pressurizzato e precipitò.
Non ebbe paura perché non dirupava, ma veleggiava, ora cabrava, ora
picchiava, su, giù, a destra e a manca. Per la prima volta nella sua vita
provò l'ebbrezza della libertà. Ad occhi aperti agitava le braccia come
un volatile. Il suo cuore era inerte, non discerneva più la gioia e il
dolore, il riso e il pianto. |
La capera sostituita oggi dai coiffeur
Una dimensione senza principio né fine. Poi il vento lo spinse sempre più
oltre, raggiunse la velocità della luce e confermò la teoria di Einstein,
il tempo si arrestò quando sentì il suolo dolcemente sotto la regione
plantare.
Dischiuse le palpebre e non gliene importò un frego di essersi trovato in
un retorico immenso prato, illuminato da un rancido tepido sole onde poter
mirare, stagliato sull'orizzonte infuocato, la diafana creatura dei suoi
sogni. Giovanni era precipitato in un altro mondo alternativo; in questo
singolare paradiso sentì scrollarsi di dosso la vecchiezza di millenni di
cultura inferma che gli aveva iniettato sotto l'epidermide la paura di
vivere e di morire.
Quel mondo gli ricordava il candore dell'infanzia, la fiducia e la sicurezza
disgregata dal presente. Scoprì l'epilogo della teoria spazio-tempo, non
già l'eternità, ma la vita a ritroso. A mano a mano che gli anni andavano,
Paperino e la sua meravigliosa compagna ringiovanivano sempre più fino a
divenire due pargoletti paffuti, due batuffoli di cotone idrofilo, l'uno
rosa, l'altro celeste, per poi addormentarsi dolcemente in una culla di
giunco, irradiati dai loro candidi sorrisi, nella consapevolezza soave di un
posto assicurato nel, cosiddetto (per la quarta volta) retorico limbo.
Luigi Mari |