TORRE DEL GRECO
EUROPEIZZATA?
Gli anta: gli ultimi romantici!
Cade sotto il Vesuvio, la realizzazione individuale nel lavoro a misura
d'uomo, sia pur svolto sempre in condizioni precarie ed aleatorie, il
famoso vivere alla giornata, ma con la viva speranza di un domani
migliore. Il deterrente atomico stagna la stasi politica internazionale.
Le speranze di rinnovamento, le ambizioni, le lotte sociali sono smorzate
sul nascere. Le arti applicate, linfa della vecchia Napoli, vanno
lentamente e pietosamente estinguendosi, tanto da non farcene neppure
accorgere, e con esse le tradizionali botteghe, immediatamente dopo la
loro massima esplosione numerica che la storia campana ricordi. Si
estinguono dietro le pressioni fiscali, sindacali e multinazionali, cieche
davanti alle condizioni sfavorevoli di un'area geografica. Le evoluzioni
fiscali e sindacali sono giuste e sacrosante, applicate ai settori giusti.
Le botteguccie dell'angolo, neglette e tapine, che in passato assorbivano
una grossa fetta di adolescenti post-scolare, dovrebbero essere sottoposte
a delle leggi speciali che vanno al di là dello sfruttamento minorile e
del lavoro nero, certo degenerante e abominevole in una società moderna.
Con la tradizione artigiana in crisi, in passato così connessa e
amalgamata nel costume del popolo partenopeo, insieme all'acutizzarsi
della crisi esistenziale individuale dell'uomo, si dissolvono tutte quelle
forme comportamentali di socievolezza, solidarietà, altruismo, in una
frase, quelle di un popolo d'amore, per dirla con Luciano De Crescenzo.
Napoli perde il candore di una volta. Il cittadino vesuviano diventa
adulto, perde l'immaturità e la salutare incoscienza del passato che lo
faceva guappo d'onore o santo. Si avvicina alla teoria dello struzzo,
assume sembianze megametropolitane, si allontana dall'idea di Dio dentro
l'uomo, della sua enorme potenzialità d'amore.
Non disdegna i tabernacoli solo perché apotropaici e, per la prima volta
nella storia, resta obnubilato innanzi alla sua stessa paura. Sente
l'angoscia del suo nuovo ruolo di pedina venduta al progresso che offre
solo ideali effimeri e precari. Non spera più nella libertà, che esclude
il bisogno di comandare e di obbedire. Dimentica di lasciare in pace se
stesso, che è l'unica maniera per lasciare in pace gli altri.
Oblia il sesso come puro atto d'amore, pur se lo ripete dieci, cento,
mille volte, nella sua foga passionale di meridionale virile. Egli inizia
a mitizzare i plutocrati ed i tesaurizzatori e come loro incomincia a
nutrire qualche sospetto sulla propria atavica virilità, dietro il
cogitare freddo dei dottrinarismi divulgati.
Nelle vecchie botteghe tipografiche cupe e fuligginose, spopolate e
decadute, io vedo la napoletanità e la vecchia Citta-regno che muoiono
nella loro oleografia più autentica e palpitante in quel sincretismo di
povertà e gioia di vivere. L'adolescenza, nella terra vesuviana d'oggi,
prostrata anch'essa sotto gli ideali effimeri dello sport mitizzato e
della musica importata, certa di genere paranoicale, quale coerente
colonna sonora delle nevrosi, e trasformata nei romantici congeniali
turbamenti post-puberali, dietro una precoce problematica esistenziale.
Dov'è finita la confusione faccendiera urbana della mia Torre del Greco,
distrutta dal Vesuvio e ricostruita diecine di volte, attingibile dalla
letteratura d'arte e d'informazione post-bellica? E prima di proseguire in
questo stralcio di sapore retorico rispondo alle smorfie rinitiche di
qualche progressista. Qui non se ne fa una questione di componenti
nostalgiche esasperate o di pessimismo progressista a copertura di carenze
psichiche personali. Mettere sul tappeto i malesseri di un'epoca vuol dire
tentare di rimuoverli. Se avessero ascoltato Leopardi nel secolo scorso,
invece di rivalutare la sua filosofia solo oggi, forse molti mali si
sarebbero prevenuti.
La vita è bella in se stessa, ma la teoria dello struzzo guasta questa
realtà. Già la cultura ci ha insegnato: dipartire per morire, amplesso
per coito, così non abbiamo mai guardato con chiarezza in faccia la morte
e il sesso, e li sentiremo sempre misteriosi. Viviamo in una società
senza dubbio più comoda, rispetto al passato, meno cruenta e, tirando le
somme, politicamente tollerabile in confronto alle angherie politiche
della storia, ma la nevrosi di massa planetaria odierna, dovuta a svariati
fattori di evoluzione o involuzione, va risolta né con le rivoluzioni né
con la violenza, ma con la riflessione.
Perché non ci troviamo, come al solito, di fronte ad una crisi politica
quanto a cospetto dell'esasperarsi dell'antico insoluto esistenziale
dell'uomo, sostenuto in passato da molti sostegni psichici a misura di
razionalità umana. Spero tuttavia, malgrado 1'apparente caotica babele
dei giorni nostri, che molte persone si sentano fuori da questa orbita, e
che sappiano indicarci, nel futuro atomico, uno sbocco plausibile.
In aggiunta dirò, a qualche barbassoro-culturalista, che ho superato la
fase relativa al famoso aneddoto freudiano: Quanta fatica letteraria fa
costui per coprire i problemi personali.
Dove sono le strade palcoscenico, l'umorismo delle logorroiche meliche
voci popolari? Ben venga la retorica oleografica, rivogliamo i tepidi
soli, gli eterni tepori di primavera.
Rivogliamo gli usci con le fornaci fumanti al posto dei cancelli
automatici con videocitofono; le capere in luogo dei giornali di
pettegolezzo; le tinozze o le braci con le rigogliose spighe bionde al
posto dei pub con gli hamburger e i crauti. Agogniamo la sinuosità delle
forme del più salubre eterno femminino e non le mascoline silhouette
delle manequin. |
I Cantastorie dell'inizio secolo XX
Ben ritornino le camicette di seta sui seni floridi. Vadano a farsi
benedire gli stilisti miliardari moderni con le loro felpe sintetiche
firmate, le borse policrome ad armacollo ed i pantaloni casual unisex
variopinti e guallarosi.
Forse, però, i progressisti l'avranno vinta. La mia cittadina alle falde
del Vesuvio, amena e ridente, come leggo da secoli sui libri di storia
locale, non ridarà mai più alle fanciulle quelle labbra carnose sulla
bocca larga e voluttuosa senza il belletto, il roseo naturale alle guance
prive di fard, lo splendore ai denti d'avorio tersi con bicarbonato, gli
occhi luminosi privi di mascara. Alcuni dedali sono stati risanati nella
mia Torre del Greco. Falansteri di cemento armato fagocitarono le
romantiche magioni-giardino delle costruzioni spagnole.
Mai più vedrò fanciulle alle finestre dagli infissi detti pezzi d'opera,
da lavare e lucidare nelle prossimità pasquali. Occhi dolcissimi e
sereni, mimetizzati tra vasetti di garofani e rose, le nostre rose, i
garofani di Torre del Greco, rossi come il fuoco del Vesuvio.
Immagini a mezza strada tra il mistico mariano e la passionalità
shakesperiana. La mente richiamava epos trovadorici e cavallereschi che
accendevano il meridionale ardore. Haimé, la letteratura moderna
analitica ed introspettiva aveva a mano a mano i consensi popolari ed
interessava pure gli editori campani. La retorica alla gogna. Pure i
giovani dei dedali erano suggestionati dai dialoghi interiori di Joyce e
di Svevo o dallo sconvolgente pensiero di Nietzsche. Ancora Fromm e Jung e
tutti i neofreudiani, Il giovane meridionale si accorge di aver addentato
la mela. Determina che l'attrazione intensa per la fanciulla del cuore e
solo una condizione mentale, un'elaborazione culturale dell'idea
dell'amore. E sospetta, con amarezza, che quella folle passione che
intende placare, non è, in fondo, amore per lei, ma per se stesso,
attraverso lo specchio di lei.
La vecchia Napoli dei guantai, dei ciabattini, dei dolcieri, degli
ambulanti, dei tipografi del piombo fuso tramonta inesorabilmente.
Spulciamo le note caratteriali dei miei torresi e dei cittadini di molti
centri vesuviani economicamente affermati, nonché di quella Napoli
commerciale che ha origine dai mercanteggiamenti lazzaronici e via via coi
traffici angloamericani fino alla moderna borghesia del business
partenopeo vigente. Ho l'impressione che noi vesuviani, sin d'allora,
anche per un'atavica scarsa dimestichezza con la grammatica, abbiamo
appreso trasversalmente quella ideologia frammista di venerazione deistica
ed eterno femminino; forse il concetto rientra emendato nel nostro ordine
di idee; soggiaciamo a mezza strada tra la passionalità deisticoverginale
e quella femminomatriarcale. La donna, nel napoletano, è da temere, da
venerare e da punire. I ruoli sono: vergineo da bimba (guai ai pedofili
nelle carceri napoletane); oggettuale-sessuale da giovane, dietro la
copertura sentimentale; possessivo-assolutistico da sposa; diabolico da
suocera. Il ruolo di madre, invece, conserva la sacralità deistica. Ma
l'essenza sta nel ruolo, e non nel soggetto, perché la stessa donna che
sostiene i ruoli di madre e di suocera contemporaneamente viene osservata
da due ottiche contrapposte come il dualismo bene-male. In pratica tutto
il meridione è sottoposto a questi canoni istintuali, ma più a sud si
va, più è intenso e connaturato il sentimento di essenza
deistico-verginale della donna, che prevale sugli altri ruoli.
Gli scriptorum e le tipografie hanno in fondo diffuso queste concezioni
istintuali ferrate pure da speculazioni di tono scolastico relative alle
prime iniziative culturali del secondo medioevo. Insomma, amanuensi e
prototipografi non hanno fatto altro che parlare prevalentemente di Dio e
della donna, dopo gli epos eroici. E malgrado gli sforzi ostinati per
distinguere un popolo dall'altro, grazie alla stampa, la diffusione delle
culture, che in fondo si combinano tra loro, come oggi le religioni,
suggeriscono: Tutto il mondo è paese.
L'uomo fa tanta fatica per creare dei sostegni ideologici contro il
mistero della vita e della morte e poi ne diventa dissenziente, come
nell'area geografica del Nord Europa, dove i puntelli psichici delle
culture millenarie di stampo religioso sono crollati. E' proprio là che
si riscontra una delle più alte percentuali di suicidi di tutto il globo
terracqueo. Si e sordi all'idea che per debellare ideologie culturali
durate millenni non bastano un centinaio d'anni, ma periodi altrettanto
lunghi. L'uomo vive mediamente l'arco di sessant'anni, ma sufficienti per
incamerare (ed esserne condizionato) ideologie e credenze millenarie non
rimuovibili a livello
inconscio.
Luigi Mari
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