Clelia Sorrentino

La sezione Armatori torresi è stata tratta dall'opera "Armatori del 2000" Vesuviani oltre il Mediterraneo, una delle ultime fatiche letterarie della scrittrice, per sua gentile concessione. Chi volesse approfondire l'argomento, vastissimo, dettagliatamente descritto, si rivolga all'autrice.

            
I miracoli
nascono dal mare

Premessa del Sindaco

Questa ultima fatica narrativa di Clelia Sorrentino dedicata agli uomini di mare vesuviani e torresi in particolare mi richiama alla memoria la scommessa di Gioacchino Murat.
Siamo nell’anno di grazia 1810 e Murat, re di Napoli, riceve il rapporto annuale sull’economia del Regno. Bilanci e rendiconti non sono proprio la sua passione. Lo deprimono. Lui sogna grandi imprese e magari la conquista della Sicilia. Altro che note della lavandaia. Ma tra i doveri di un capo di Stato, sovrano per volontà di Dio e di un cognato imperatore, rientra anche quello di curare, nel bene come nel male le sorti dei suoi sudditi. E cosi dando un’occhiata distratta ai rendiconti che il Ministro Zurlo gli ha rifilato di buon mattino, il Re esamina lo stato del Regno.
All’improvviso lo sguardo del Re si illumina e 1’occhio corre su certi numeri. Sul suo volto si apre un sorriso, chiama il segretario particolare e ordina: "Salpiamo per Torre del Greco, andiamo a salutare i corallari! Perché?, accenna timidamente il segretario. Perché ho vinto una scommessa e voglio festeggiare".
"La scommessa di Murat", una storia la cui veridicità si fonda su una tradizione orale, e semplice. Riguarda, il corallo, il mare, le barche i cantieri; 1’abilità dei torresi di pescarlo con centonove barche e novecento uomini che avevano portato in porto quartordicimila rotoli di corallo. Una potenza economica in grado di colmare i buchi del bilancio statale con il solo incremento dell’intero settore che alimentava cantieristica, armamento e pesca. Un comparto da proteggere con defiscalizzazione e adeguata protezione.
Gioacchino Murat, aveva capito quale fosse il poderoso volano che i torresi avevano attivato. Un gigante dell’economia in grado di rianimare 1’intera economia del Regno.
Clelia Sorrentino riesce cosi a proporci, attraverso il sentire dei protagonisti uno spaccato importante di quella scommessa di Gioacchino Murat che costituisce una rivisitazione della storia della nostra città e dei vesuviani del mare, facendo emergere il lato forte di questa storia lunga di secoli. Storie diverse quelle raccontate ma tutte riconducibili ad un concetto, per alcuni forse desueto, ma quanto mai
attuale. Ciò che emerge con forza, dall’ascolto dei protagonisti di questo antico miracolo di queste nostre terre di mare, e la forza della famiglia.
L’impresa che nasce, che si tramanda, che cresce, che affronta la sfida del futuro con la forza di una salda tradizione.
Un testimone passato attraverso la capacita del nucleo familiare di essere sempre coeso, pur se diversificato, pronto ad aprirsi a nuovi orizzonti ma sempre poggiando e individuando nella famiglia la "testata d’angolo", in grado di sorreggere ogni temperie.
E la storia di uomini, della loro capacita di aprirsi e di anticipare nuovi orizzonti. Di credere nel futuro, avendo memoria del passato e pronti a confrontarsi con il presente.
E questo il fascino della narrazione che Clelia Sorrentino ci propone, facendo parlare i protagonisti di storie antiche che vengono da lontano e che vanno verso il futuro. E il racconto di una sfida di generazioni, e non tra generazioni. Sono sto- rie di uomini che sanno cosa sia il mare. Storie affascinanti quanto semplici, senza retorica come si addice a chi del mare ha fatto una ragione di vita. Sono racconti veri, di uomini che hanno bandito ogni improvvisazione e ogni sorta di dilettantismo, che hanno ed hanno avuto il gusto della sfida senza avventura, con la consapevolezza di riferimenti inespugnabili radicati nella certezza dell’unita familiare, certezza fondata sui valori, sui sentimenti e giammai sulla forza economica. Nulla di romantico, nulla di paternalistico. Nessuna storia di eroi, nessuna epopea, solo uno spaccato di come nascono i miracoli dal mare.

                                           Avv. Romeo Del Giudice
                                        
Sindaco di Torre del Greco

               

                        La scrittrice negli anni 80

 

 

   Mostra estemporanea di pittura organizzata dalla
   Pro-Loco di Torre del Greco - 19 novembre 2000
             La scrittrice porge una targa premio.

     
     La scrittrice-giornalista Clelia Sorrentino
                     all'inizio della carriera

Premessa dell'autrice
Mediterraneo senza confini

COME NEL ’900 
L’ARMAMENTO VESUVIANO
HA ALLARGATO CONFINI 
E MERCATI DEL "MARE NOSTRUM"

PARTONO I BASTIMENTI...

...Ppe’ terre assai luntane,/ cantan’ a buord’/ e so’ napulitan’, recita una nostalgica, antica canzone napoletana.

Bastimento, era termine generico usato per denominare tanto il peschereccio che la spugnara, il veliero o la corallina.
Armatore, per denominare colui che fa le spese per armare i bastimenti da traffico e in genere li gestisce o li da in gestione per ricavarne un utile.
La cognizione esatta di quanti e quali fossero e di quanti bastimenti disponessero gli armatori vesuviani e torresi in particolare si perde nel buio del tempo prima di fine ’800, quando rimbalzarono nella cronaca per un fenomeno che fece epoca e usci dallo stretto ambito locale per propagandarsi nel mondo e di cui parleremo appresso.
Si da per certo comunque che Giuseppe Mazza, il più importante ed anche noto corallaro, possedesse un centinaio di coralline e che non fossero da meno Aniello Mazza, Vincenzo Romano, Stefano e Michele Di Rosa.
Il che dimostra quanto da quei tempi i torresi vagheggiassero che un’intera flotta di bastimenti partisse dalla loro città.
E’ anche accertato di quanto poi, mare e corallo, si intrecciassero di fatto e nell’immaginario collettivo, come traspare dai versi composti nel 1840 da Achille De Lauzieres e musicati da Francesco Florimo:
So’quattr’anne che partiste, /so’quattr’anne che 1’aspetto, me lassaste, me diciste:/ nfra se ’ mise torno cca ’./ E da tanno, co ’ chist ’uocchie/ io spercianno sto lo mare/ e addimanno ai marinare/ninno mio chi sa addo sta./ Me disciste chillo juorno/mvaco a pesca a li coralle/de coralle, quando torno/ t’aggia tutta com- miglia./Che sciucquaglie, e che mannizze;/che lazziette e che collane,/ vedarraie quante sovrane/che t’avranno a media./Ah pecché non si restato/Era ricca assai d’ammore,/ non c’e preta di valore/ che sto core po appassa. / Mo si tuorne, e ch ’io so morta,/fa ’na croce de coralle/ e ala fossa de la morta /chella croce aie da posa.
Nell’800, i corallari erano anche armatori e costruttori di propri bastimenti (nel caso coralline), e la marina di Torre del Greco era un alacre cantiere all’aperto ingombro di tronchi d’alberi e di uomini che li segavano per ridurli in fasciame.
Nella zona denominata La Scarpetta in Portosalvo si costruiva e si rifiniva febbrilmente persino negli androni dei palazzi quando non c’era spazio sufficiente all’aperto.
A poca distanza, la nave, appena pronta, veniva fatta scivolare a mare e il varo veniva benedetto nella chiesetta omonima di Portosalvo a via Calastro (vedi foto della Marina torrese).
I vari avvenivano preferibilmente di domenica perché la tradizione marittima e marinara era sentita visceralmente a Torre sicché la popolazione nei giorni festivi poteva accorrervi. La curiosità era grande e 1’affollamento oltre ogni limite.
Si pescava non solo corallo in Sicilia, fra Sciacca e Trapani.
In Sardegna e sulle coste nord-africane fervida era la pesca delle spugne, soprattutto a Sfax. Veniva attuata con particolari bastimenti chiamati spugnare, piuttosto tozzi e dalla carena piatta.
I cantieri torresi erano comunque rinomati per i normali pescherecci-moto- pesca e per grossi gozzi adibiti al pescaggio di ogni sorta di pesci di cui le coste mediterranee ed i loro anfratti abbondavano. Secondo lo storico torrese Raffaele Raimondo, gih nel 1639 era stato fonda- to da padroni di coralline il Monte dei Marinai, istituzione mutualistica laica, pur avendo sede nella chiesetta di S. Maria Costantinopoli.
Oltre un secolo dopo, la Bolla della Crociata procacciava fondi per la costru- zione di nuove navi (1778).
In tal guisa Ferdinando IV di Borbone si riprometteva di potenziare la Marina Vesuviana a causa delle assillanti incursioni dei pirati barbareschi che scorazzava- no nel Mediterraneo. Molte di queste navi, qualche anno dopo vendute all’estero, furono costruite nei cantieri di Castellammare di Stabia.
Nel 1780, avendo appurato la bonta dei banchi nord africani, un gruppetto di corallari golosi, approdarono e si rifugiarono temporaneamente usando come base 1’isolotto disabitato di Kalite per razziare i nuovi, floridi banchi scoperti.
Essi vivacchiarono in quella landa assolata un bel po’ lontano dalle famiglie e subendo moltissimi disagi.
Per quanto riguarda gli assedi corsari, pare che per combatterli alla pari, i tor- resi dovettero anch’essi tirar fuori i propri denti pirateschi, ma qui non si sa dove cominci la storia e dove finisca la leggenda (vedi Pirati e Corsari: L’avventura di Capitano Accardo di Catello Vanacore). Quel che e appurato tramite la lettura di un introvabile libriccino del Cap. Mario Taddei: Armatori, risalente alla prima meta del ’900 per Cavallotti Editore, e che * nuovi nomi di quel periodo continuano a vivere, come rievocazioni di quel- la che viene sommariamente considerata una marina partenopea. Della penisola sorrentina restano i nomi di Grandi Famiglie: Astarita, Cacace, Cafiero, Castellano, Ciampa, D’Esposito, Lauro, Longobardo, Maresca, PoIlio, Romano, Russo, Savarese, Starita, Trapani. A Torre del Greco: Albanese, Bottiglieri, CameIia, D’Amato, Del Gatto, lacomino, Lofaro, Loffredo, Palomba, Perna, Di Maio. Di Vietri sul mare: Francesco della Monica. Di Procida: D’Abundo, Mazzella, Attanasio.