VOCI DALLA GUERRA

Stralci dal libro di Lina De Luca  


Prefazione

   Non vige un assoluto accordo tra le fonti circa l'entità della V Armata statunitense, destinata al primo sbarco continentale al comando del gen. Mark Clark. Le stime oscillano infatti fra i 100 ed i 200.000 uomini che, al completo dei loro innumerevoli veicoli da trasporto e da combattimento, costituivano una immensa massa di soldati e mezzi che, per prima cosa, dovevano atterrare il più vicino possibile a Napoli, obiettivo strategico per antonomasia. Per rifornirli durante la risalita verso nord, infatti, il suo grande porto, quand'anche gravemente danneggiato, risultava indispensabile, ma l'ipotesi di prenderlo d'assalto con una grande operazione anfibia fu immediatamente scartata per le poderose difese che ancora lo proteggeva no. Si impose perciò una valida alternativa, in grado di consentire quella che per la sua grandiosità e violenza fu non a caso battezzata operazione Avalanche.
   Da Reggio a Napoli, tuttavia, il Tirreno non offriva all'epoca porti adeguati per una simile impresa e solo quello di Salerno sembrava ostentare le minime potenzialità irrinunciabili, purtroppo non disgiunte da vistosi rischi. Del resto la cittadina costituiva soltanto il baricentro del fronte di sbarco che si estendeva, sen
za soluzioni di continuità, dalla spiaggia di Paestum a quella di Vietri: in pratica lungo un arco di oltre una trentina di km. Le montagne e le irte colline che un po' dovunque lo sovrastano se rendono il litorale attraente sotto il profilo turistico sotto quello militare, invece, lo rendono estremamente pericoloso. Nessuno lo ignorava ma quelle connotazioni negative si reputarono ampiamente compensate dall'unica positiva, ovvero il rientrare nel raggio operativo degli aerei da caccia, il cui appoggio tattico costituiva ormai un imprescindibile apporto per qualsiasi azione in forze. Ai primi di settembre si passò alla fase attuativa e si volle far coincidere l'avvio dello sbarco con l'annuncio della dichiarazione dell'armistizio italiano. Scelta psicologicamente infelice, poiché lasciò credere che nessuna difesa si sarebbe ormai opposta alle fanterie sbarcate, per cui, come acutamente scrisse l'ammiraglio Samuel Morrison, dinanzi alle ammiccanti luci di Positano e delle lampare di Amalfi: "avremmo dovuto essere seduti sulla poppa di una barca a remi cantando O sole mio..."! Ed il risveglio da quella rassicurante illusione fu tremendo.
   I Tedeschi, infatti, non si erano fatti sorprendere dall'armistizio ed avendo già predisposto un dettagliato piano d’intervento, in codice Alarico, in poche ore si erano sostituiti agli Italiani nell'impedire qualsiasi operazione anfibia. L'esito fu che al posto delle demoralizzate e mal armate truppe nazionali i fanti della V armata avevano ad aspettarli agguerritissime divisioni germaniche e lo sbarco assunse subito i connotati di un massacro, che richiese diversi giorni di feroci combattimenti per uscire dalla spiaggia, preludio di una fanatica resistenza a oltranza. Scriveva infatti il gen. Vietinghoff, comandante della X Armata germanica preposta a contrastare l'avanzata alleata, che proprio l'aver tanto efficacemente resistito allo sbarco di Salerno dell'ordinato ripiegamento successivo: “avevano dimostrato che contro ogni aspettativa le truppe tedesche erano ancora in grado di opporre valida resistenza agli alleati...   Alla luce di questi avvenimenti il Comando Supremo Sud propose di sospendere le operazioni di ripiegamento verso nord... adottando una linea di combattimento dall'azione ritardatrice...". Per le popolazioni dei tanti abitati che da quel momento si vennero a trovare sulla direttrice dell'avanzata fu l'inizio del martirio, alla mercé del vecchio alleato disperato quanto feroce e senza alcun aiuto da parte del nuovo, diffidente quanto guardingo. Tra l'allontanarsi dei primi e lo stabilirsi dei secondi intercorsero perciò giornate di scontri e di bombardamenti senza quartiere e senza pietà, dove l'unico obiettivo dei residenti era tentare di sopravvivere alle bombe, ai rastrellamenti, alle granate e, soprattutto, alla fame. Che inizio ad attenuarsi dopo il 4 ottobre quando il porto di Napoli finalmente torno a funzionare, permettendo che dall'incessante afflusso dei rifornimenti un rivolo andasse a sfamare anche i civili. Ed è in questo scenario tragico e al contempo esaltante che si collocano le memorie così amorosamente raccolte e rievocate che si avvicendano in questo libro.
  I tanti episodi che singolarmente presi sono dei semplici ricordi di persone che hanno vissuto quelle terribile giornate, possono pertanto paragonarsi ai singoli mattoni di un grande edificio, un modesto apporto che unendosi pero ai tanti similari rende possibile la grande costruzione. La Storia, infatti, altro non è se non la media delle diverse narrazioni, delle diverse testimonianze e delle diverse fonti: una media che in quanto tale non è più vera degli episodi che la compongono ma solo la meno lontana da ciascuno. Una risultante che scaturisce dalle tante forze non necessariamente concordi ne di pari rilevanza, ma tutte delle indispensabili sfaccettature che permettono l'esatta visione di un particolare evento storico.

 Flavio Russo


 

(...) attraverso il racconto appassionato dei nonni, dei parenti e dei genitori.
   Questo modesto lavoro, lungi da qualsiasi inopportuna ambizione storiografica, nasce dal ricordo ed ha come obiettivo il ricordo, quello ancora palpitante di sentimenti ed emozioni, al contrario di quanto vorrebbe la storia nella sua pretesa di fredda e disincantata oggettività.
(Esiste, infatti, una storia minore, quella che Miguel de Unamuno chiama "intrahistoria", infrastoria. E' la storia della gente semplice, delle persone anonime che nelle vicende umane ricoprono ruoli secondari o furono addirittura sconosciuti comprimari. Senza di loro non si sarebbe fatta la storia, quella che si studia sui libri di scuola perche, se e vero che la storia la decidono i potenti, e anche vero che la fanno le popolazioni. )
   La Storia cerca reperti e collaziona documenti.
(La piccola storia, infrastoria, fa della tradizione orale il suo cardine, realizzando attraverso di essa un affresco composito in cui uomini e donne, nella loro concreta individualità, vanno a riempire gli spazi vuoti dei documenti, appannaggio della Storia e che l'infrastoria non disdegna ma ai quali correttamente rimanda, testimoniando, al contempo, l'inellabile necessità della sua presenza. )
    Perché questo lavoro?
  
(...)1 ottobre 1943: percorrendo Via Nazionale, gli Americani entrano in Torre del Greco.
Una popolazione stremata era corsa ad acclamare , come liberatore, quell'esercito che fino a pochi giorni prima le aveva procurato morte e distruzione. Tanto possono l'istinto di sopravvivenza e di conservazione!
Quei soldati sorridenti, che distribuivano cioccolata, caramelle, biscotti e "ciuingam", erano per i Torresi veramente dei liberatori il loro arrivo segnava la fine delle corse affannose verso i rifugi, dei bombardamenti e dei morti sotto le macerie; della fame e della lotta quotidiana per procurarsi carbone, steariche e persino l'acqua da bere...
Il loro arrivo voleva dire anche la fine del fascismo.(...)

(...)1 ottobre 1943 - 1 ottobre 2013: sono trascorsi 70 anni.
   Un tempo lungo per i più giovani, che poco o nulla sanno della guerra e per i quali la cronaca si e ormai trasformata in storia; un tempo ancora troppo breve per coloro che ebbero della guerra un'esperienza personale di cui conservano, pur se in la con gli anni, un ricordo indelebile; un tempo medio per coloro che nel 1943 erano bambinetti inconsapevoli o che nati poco dopo la guerra, di essa si sono fatta un'idea....(...)

(...)I Tedeschi, infatti, non si erano fatti sorprendere dall'armistizio ed avendo già predisposto un dettagliato piano di intervento, in codice Alarico, in poche ore si erano sostituiti agli Italiani nell'impedire qualsiasi operazione anfibia. L'esito fu che al posto delle demoralizzate e mal armate truppe nazionali i fanti della V armata avevano ad aspettarli agguerritissime divisioni germaniche e lo sbarco assunse subito i connotati di un massacro, che richiese diversi giorni di feroci combattimenti per uscire dalla spiaggia, preludio di una fanatica resistenza a oltranza. Scriveva infatti il gen Vietinghoff, comandante della X Armata germanica preposta a contrastare l'avanzata alleata, che proprio l'aver tanto efficaciamente resistito allo sbarco di Salerno D e l'ordinato ripiegamento successivo: ~'avevano dimostrato che contro ogni aspettativa le truppe tedesche erano ancora in grado di opporre valida resistenza agli alleati... Alla luce di questi avvenimenti il Comando Supremo Sud propose di sospendere le operazioni di ripiegamento verso nord... adottando una linea di combattimento dall'azione ritardatrice...". Per le popolazioni dei tanti abitati che da quel momento si vennero a trovare sulla direttrice dell'avanzata fu l'inizio del martirio, alla merce del vecchio alleato disperato quanto feroce e senza alcun aiuto da parte del nuovo, diffidente quanto guardingo. Tra l'allontanarsi dei primi e lo stabilirsi dei secondi intercorsero perciò giornate di scontri e di bombardamenti senza quartiere e senza pietà, dove l'unico obiettivo dei residenti era tentare di sopravvivere alle bombe, ai rastrellamenti, alle granate e, soprattutto, alla fame. Che inizio ad attenuarsi dopo il 4 ottobre quando il porto di Napoli finalmente torno a funzionare, permettendo che dall'incessante afflusso dei rifornimenti un rivolo andasse a sfamare anche i civili. Ed e in questo scenario tragico e al contempo esaltante che si collocano le memorie così amorosamente raccolte e rievocate che si avvicendano in questo libro.(...)

(...)I tanti episodi che singolarmente presi sono dei semplici ricordi di persone che hanno vissuto quelle terribile giornate, possono pertanto paragonarsi ai singoli mattoni di un grande edificio, un modesto apporto che unendosi pero ai tanti similari rende possibile la grande costruzione. La Storia, infatti, altro non e se non la media delle diverse narrazioni, delle diverse testimonianze e delle diverse fonti: una media che in quanto tale non è più vera degli(...)

(...)Il ricordo si riappropria delle emozioni sospese, ritrova luoghi e persone, ripercorre il tempo dell'anima.La narrazione si sviluppa attraverso immagini dei lagranti oppure si sofferma in un'atmosfera di sgomento e di attesa. Pensieri e riflessioni sono motivati-e  senza eccessi e le memorie individuali . diventano memoria condivisa la nostra città che si racconta.  Momenti di vita scolastica nei periodo fascista: un tema di Maddalena.
Nell'anno scolastico 1937/1938 Maddalena era una alunna di quarta elementare e, come ii regime esigeva, era iscritta ad una delle organizzazioni giovanili fasciste con il numero di tessera 238210. Maddalena seguiva le lezioni con sufficiente profitto in quasi tutte le discipline, mostrando un miglior risultato in aritmetica e nei "lavori donneschi". Le materie di studio erano tante, dal canto alla lingua italiana, dall'aritmetica alle scienze, senza dimenticare la "cultura fascista" e, se in famiglia non vi era qualcuno che aveva studiato e poteva darti una mano, e non era la sorte di Maddalena, era difficile conseguire buoni risultati in tutte le discipline, perciò la scolara si accontentava delle sufficienze apparse in pagella nei due trimestri precedenti. Volle, però, dare il meglio che poteva quando la maestra assegnò alla classe un tema sulla visita del Fuhrer Adolf Hitler a Napoli, avvenuta il 5 maggio 1938. Maddalena, con linguaggio appropriato e forma grammaticale e sintattica corretta, senza errori di ortografia e nello stile retorico e propagandistico del linguaggio fascista, descrisse lo straordinario evento: le truppe predisposte.... attraverso il racconto appassionato dei nonni, dei parenti e dei genitori.
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(...) Questo modesto lavoro, lungi da qualsiasi inopportuna ambizione storiografica, nasce dal ricordo ed ha come obiettivo il ricordo, quello ancora palpitante di sentimenti ed emozioni, al contrario di quanto vorrebbe la storia nella sua pretesa di fredda e disincantata oggettività. Esiste, infatti, una storia minore, quella che Miguel de Unamuno chiama "intrahistoria", infrastoria. E la storia della gente semplice, delle persone anonime che nelle vicende umane ricoprono ruoli secondari o furono addirittura sconosciuti comprimari. Senza di loro non si sarebbe fatta la storia, quella che si studia sui libri di scuola perche, se e vero che la storia la decidono i potenti, e anche vero che la fanno le popolazioni.

(...)La Storia cerca reperti e collaziona documenti. La piccola storia, infrastoria, fa della tradizione orale il suo cardine, realizzando attraverso di essa un affresco composito in cui uomini e donne, nella loro concreta individualità, vanno a riempire gli spazi vuoti dei documenti, appannaggio della Storia e che l'infrastoria non disdegna ma ai quali correttamente rimanda, testimoniando, al contempo, l'inellabile necessita della sua presenza.
Agendina del Sig. Do~enico Forlano, testimone oculare episodi che la compongono ma solo la meno lontana da ciascuno. Una risultante che scaturisce dalle tante forze non necessariamente concordi ne di pari rilevanza, ma tutte delle inc3ispensabili sfaccettature che permettono l'esatta visione di un particolare evento storico. 
(...)

(...)1 ottobre 1943: percorrendo Via Nazionale, gli Americani entrano in Torre del GrecoUna popolazione stremata era corsa ad acclamare , come liberatore, quell'esercito che fino a pochi giorni prima le aveva procurato morte e distruzione. Tanto possono l'istinto di sopravvivenza e di conservazione!Quei soldati sorridenti, che distribuivano cioccolata, caramelle, biscotti e "ciuingam", erano per i Torresi veramente dei liberatori ii loro arrivo segnava la fine delle corse affannose verso i rifugi, dei bombardamenti e dei morti sotto le macerie; della fame e della lotta quotidiana per procurarsi carbone, steariche e persino l'acqua da bere...Il loro arrivo voleva dire anche la fine del fascismo.

(...)1 ottobre 1943 - 1 ottobre 2013: sono trascorsi 70 anni.
In tempo lungo per i più giovani, che poco 0 nulla sanno della guerra e per i quali la cronaca si e ormai trasformata in storia; un tempo ancora troppo breve per coloro che ebbero della guerra un'esperienza personale di cui conservano, pur se in la con gli anni, un ricordo indelebile; un tempo medio per coloro che nel 1943 erano bambinetti inconsapevoli o che, nati poco dopo la guerra, di essa si sono fatta un'ideasenza soluzioni di continuita, dalla spiaggia di Paestum a quella di Vietri: in pratica lungo un arco di oltre una trentina di km. Le montagne e le irte colline che un po' dovunque lo sovrastano se rendono il litorale attraente sotto il profilo turistico sotto quello militare, invece, lo rendono estremamente pericoloso. Nessuno lo ignorava ma quelle connotazioni negative si reputarono ampiamente compensate dall'unica positiva, ovvero il rientrare nel raggio operativo degli aerei da caccia, il cui appoggio tattico costituiva ormai un imprescindibile apporto per qualsiasi azione in forze. Ai primi di settembre si passo alla fase attuativa e si volle far coincidere l'awio deIlo sbarco con l'annuncio della dichiarazione dell'armistizio italiano. Scelta psicologicamente infeIice, poiche lascio credere che nessuna difesa si sarebbe ormai opposta alle fanterie sbarcate, per cui, come acutamente scrisse l'ammiraglio Samuel Morrison, dinanzi alle ammiccanti luci di Positano e delle lampare di Amalfi: "avremmo dovuto essere seduti sulla poppa di una barca a remi cantando O sole mio..."! Ed il risveglia da quella rassicurante illusione fu tremendo.

I  Tedeschi, infatti, non si erano fatti sorprendere dall'armistizio ed avendo già predisposto un dettagliato piano di intervento, in codice Alarico, in poche ore si erano sostituiti agli Italiani nell'impedire qualsiasi operazione anfibia. L'esito fu che al posto delle demoralizzate e mal armate truppe nazionali i fanti della V ~rmata avevano ad aspettarli agguerritissime divisioni germaniche e lo sbarco assunse subito i connotati di un massacro, che richiese diversi giorni di feroci combattimenti per uscire dalla spiaggia, preludio di una fanatica resistenza a oltranza. Scriveva infatti il gen Vietinghoff, comandante della X Armata germanica preposta a contrastare l'avanzata alleata, che proprio l'aver tanto efficacemente resistito allo sbarco di Sa^lern^D e l'ordinato ripiegamento successivo: ~'avevano dimostrato che contro ogni aspettativa le truppe tedesche erano ancora in grado di opporre valida resistenza agli alleati... Alla luce di questi avvenimenti il Comando Supremo Sud propose di sospendere le operazioni di ripiegamento verso nord... adottando una linea di combattimento dall'azione ritardatrice...". Per le popolazioni dei tanti abitati che da quel momento si vennero a trovare sulla direttrice dell'avanzata fu l'inizio del martirio, alla merce del vecchio alleato disperato quanto feroce e senza alcun aiuto da parte del nuovo, diffidente quanto guardingo. Tra l'allontanarsi dei primi e lo stabilirsi dei secondi intercorsero perciò giornate di scontri e di bombardamenti senza quartiere e senza pietà, dove l'unico obiettivo dei residenti era tentare di sopravvivere alle bombe, ai rastrellamenti, alle granate e, soprattutto, alla fame. Che inizio ad attenuarsi dopo il 4 ottobre quando il porto di Napoli finalmente torno a funzionare, permettendo che dall'incessante afflusso dei rifornimenti un rivolo andasse a sfamare anche i civili. Ed e in questo scenario tragico e al contempo esaltante che si collocano le memorie così amorosamente raccolte e rievocate che si avvicendano in questo libro.(...)

(...)I tanti episodi che singolarmente presi sono dei semplici ricordi di persone che hanno vissuto quelle terribile giornate, possono pertanto paragonarsi ai singoli mattoni di un grande edificio, un modesto apporto che unendosi pero ai tanti similari rende possibile la grande costruzione. La Storia, infatti, altro non e se non la media delle diverse narrazioni, delle diverse testimonianze e delle diverse fonti: una media che in quanto tale non e più vera lungo il percorso del corteo, le vie e i palazzi addobbati con stendardi e bandiere dai simboli fascisti e nazisti, le colonne di marmo di foggia moderna erette in Piazza del Plebiscito e in vari akri punti della città, le grandi navi all'ancora nel porto pronte per la parata navale, la folla sterminata accorsa a salutare Hitler che, accompagnato dal re Vittorio Emanuele III, sfilava in una macchina scoperta.
Nulla manco di descrivere la scolara di quarta elementare e a leggere i1 suo componimento avresti pensato al resoconto di un esperto cronista, se la grafia infantile ed insicura non avesse tradito il livello culturale del suo autore. Di sicuro Maddalena qualche aiuto se lo concesse, anzi, volendo forse solo prendere a prestito qualche frase da una pubblicazione che si vendette molto come ricordo della storica visita, nel desiderio di far bella figura con la maestra, copio senza freno. La sua maestra, pero, non si entusiasmo per quella improvvisa bravura e le concesse un insignificante "visto".
(...) 

(...)Maddalena conservò a lungo il quaderno con quel suo componimento, ingenuamente fiera del suo tema, forse illudendosi ancora della grandezza dell'Italia di quand'ella era scolara, di una Italia fascista che in quella mattina di maggio era rappresentata da una bellissima e gloriosa città di Napoli. Non immaginava, allora, che per quella visita a Napoli il Prefetto si era dato un gran da fare per mesi per conferire decoro e solennità all'evento. Hitler durante il suo percorso ferroviario e stradale non doveva vedere nulla che non desse l'idea del prestigio della nazione. Per questo si attintarono edifici, si nascose il degrado di altri con "mascheramenti" di vario genere, si rimossero baracche e casupole
Il ricordo si riappropria delle emozioni sospese, ritrova luoghi e persone, ripercorre il tempo dell'anima.
I pensieri e riflessioni sono moderati e senza eccessi e le memorie individuali diventano memoria condivisa la nostra città che si racconta.    

(...) Momenti di vita scolastica nel periodo fascista un tema di Maddalena.
Nell'anno scolastico 1937/1938 Maddalena era una alunna di quarta elementare e, come il regime esigeva, era iscritta ad una delle organizzazioni giovanili fasciste con il numero di tessera 238210. Maddalena seguiva le lezioni con sufficiente profitto in quasi tutte le discipline, mostrando un miglior risultato in aritmetica e nei "lavori donneschi". Le materie di studio erano tante, dal canto alla lingua italiana, dall'aritmetica alle scienze, senza dimenticare la "cultura fascista" e, se in famiglia non vi era qualcuno che aveva studiato e poteva darti una mano, e non era la sorte di Maddalena, era difficile conseguire buoni risultati in tutte le discipline, perciò la scolara si accontentava delle sufficienze apparse in pagella nei due trimestri precedenti. Volle, però, dare il meglio che poteva quando la maestra assegno alla classe un tema sulla visita del Fuhrer Adolf Hitler a Napoli, avvenuta il 5 maggio 1938. Maddalena, con linguaggio appropriato e forma grammaticale e sintattica corretta, senza errori di ortografia e nello stile retorico e propagandistico del linguaggio fascista, descrisse lo straordinario evento attraverso il racconto appassionato dei nonni dei parenti e dei genitori.
(...)

za soluzioni di continuità, dalla spiaggia di Paestum a quella di Vietri: in pratica lungo un arco di oltre una trentina di km. Le montagne e le irte colline che un po' dovunque lo sovrastano se rendono il litorale attraente sotto il profilo turistico sotto quello militare, invece, lo rendono estremamente pericoloso. Nessuno lo ignorava ma quelle connotazioni negative si reputarono ampiamente compensate dall'unica positiva, ovvero il rientrare nel raggio operativo degli aerei da caccia, il cui appoggio tattico costituiva ormai un imprescindibile apporto per qualsiasi azione in forze. Ai primi di settembre si passo alla fase attuativa e si volle far coincidere l'avvio dello sbarco con l'annuncio della dichiarazione dell'armistizio italiano. Scelta psicologicamente infelice, poiché lascio credere che nessuna difesa si sarebbe ormai opposta alle fanterie sbarcate, per cui, come acutamente scrisse l'ammiraglio Samuel Morrison, dinanzi alle ammiccanti luci di Positano e delle lampare di Amalfi: "avremmo dovuto essere seduti sulla poppa di una barca a remi cantando O sole mio..."! Ed il risveglia da quella rassicurante illusione fu tremendo.

 

I Tedeschi, infatti, non si erano fatti sorprendere dall'armistizio ed avendo già predisposto un dettagliato piano di intervento, in codice Alarico, in poche ore si erano sostituiti agli Italiani nell'impedire qualsiasi operazione anfibia. L'esito fu che al posto

 

·(( 7 ')) delle demoralizzate e mal armate truppe nazionali i fanti della V armata avevano ad aspettarli agguerritissime divisioni germaniche e lo sbarco assunse subito i connotati di un massacro, che richiese diversi giorni di feroci combattimenti per uscire dalla spiaggia, preludio di una fanatica resistenza a oltranza. Scriveva infatti il gen Vietinghoff, comandante della X Armata germanica preposta a contrastare l'avanzata alleata, che proprio l'aver tanto efficacemente resistito allo sbarco di Salerno e l'ordinato ripiegamento successivo: "'avevano dimostrato che contro ogni aspettativa le truppe tedesche erano ancora in grado di opporre valida resistenza agli alleati... Alla luce di questi avvenimenti il Comando Supremo Sud propose di sospendere le operazioni di ripiegamento verso nord... adottando una linea di combattimento dall'azione ritardatrice...". Per le popolazioni dei tanti abitati che da quel momento si vennero a trovare sulla direttrice dell'avanzata fu l'inizio del martirio, alla merce del vecchio alleato disperato quanto feroce e senza alcun aiuto da parte del nuovo, diffidente quanto guardingo. Tra l'allontanarsi dei primi e lo stabilirsi dei secondi intercorsero perciò giornate di scontri e di bombardamenti senza quartiere e senza pietà, dove l'unico obiettivo dei residenti era tentare di sopravvivere alle bombe, ai rastrellamenti, alle granate e, soprattutto, alla fame. Che inizio ad attenuarsi dopo il 4 ottobre quando il porto di Napoli finalmente torno a funzionare, permettendo che dall'incessante afflusso dei rifornimenti un rivolo andasse a sfamare anche i civili. Ed e in questo scenario tragico e al contempo esaltante che si collocano le memorie così amorosamente raccolte e rievocate che si avvicendano in questo libro.(...) 

(...) Voile, però, dare il meglio che poteva quando la maestra assegnò alla classe un tema sulla visita del Fuhrer Adolf Hitler a Napoli, avvenuta il 5 maggio 1938. Maddalena, con linguaggio appropriato e forma grammaticale e sintattica corretta, senza errori di ortografia e nello stile retorico e propagandistico del linguaggio fascista, descrisse lo straordinario evento: le truppe predisposte lungo si eressero colonne di finto marmo, si vietarono persino i traslochi nei primi otto giorni di quel maggio del 1938 per non offrire lo spettacolo poco accattivante di carretti che trasportavano mobilio per le vie della città. Per garantire la sicurezza degli illustri ospiti ed invitati si istituirono posti di blocco per controllare i civili senza invito che si avvicinavano ai luoghi della manifestazione e si intensificarono i controlli su ambienti e personaggi sospetti per prevenire attentati. Quel giorno tutto andò a meraviglia, con gran soddisfazione di Mussolini che accolse Hitler ed il re sulla corazzata Cavour per assistere alla rivista navale, poi seguì l'adunata oceanica a Piazza del Plebiscito, la cena al Palazzo Reale, la serata al San Carlo con la rappresentazione di Madama Butterfly ed infine il ritorno a Roma.(...) 

(...)La parata navale fu un vero spettacolo di potenza e disciplina della Regia Marina Italiana: caccia, torpediniere, incrociatori, corazzate, i MAS, i famosi motoscafi siluranti, e sommergibili in formazione affollavano le acque del golfo. L'esercitazione e le simulazioni di attacco furono eseguite con perfezione teutonica ed impressionarono molto favorevolmente gli ospiti tedeschi non meno degli altri invitati sistemati sul Rex e sul Saturnia. Uno dei momenti più spettacolari e scenografici si ebbe allorquando gli 85 sommergibili, incolonnati in più file, si immersero tutti insieme e tutti insieme riemersero poco dopo con una salva di undici colpi sparati simultaneamente, mantenendo la stessa distanza tra essi: una vera sincronia. Solo un paio di anni più tardi Maddalena e altri Italiani avrebbero capito che l'impero che il "loro" duce aveva dato alla nazione era finto come il finto marmo delle colonne erette a Napoli per gli occhi di Hitler. (...)

(...)In prima elementare si cominciava con le aste, i numeri, le lettere dell'alfabeto e pagine di bella scrittura, sillabari e pallottolieri. Si usavano penne con pennini sostituibili e calamai di vetro e.... che guaio se cadeva il calamaio!
Durante le feste fasciste i ragazzi indossavano la divisa, facevano le sfilate, si sentivano soldatini, inneggiavano al Duce e portavano con orgoglio il fez, cappellino nero con nappa, e il fucile di latta. "Libro e moschetto, fascista perfetto."
 I sabato partecipavano alle competizioni sportive perche valeva il principio "Mens sana in corpore sano". I vincitori delle gare ricevevano in premio medaglie con il " fascio littorio".
Le categorie dei ragazzi erano: Figli e Figlie della lupa dalla nascita agli 8 anni; Balilla, maschietti dai 9 ai 10 anni; Balilla moschettieri dagli 11 ai 13; Avanguardisti dai 14 ai 18; Fasci giovanili di combattimento dai 18 ai 21 anni. Le categorie femminili si articolavano in Piccole Italiane dai 9 ai 13 anni; Giovani Italiane dai 14 ai 17; Giovani Fasciste dai 18 ai 21 anni.
(...)

(...)Le feste d~1 fascio erano frequenti e bene organizzate. Sfilavano con passo militare i gerarchi fascisti e~ rappresentant; dei diversi . .
Ero una "piccola italiana" orgogliosa del mio ruolo cd anch'io sfilavo con le mie coetanee, tutte compunte, serie e ordinate. Per l'occasione ml preparavo con cura: gonna nera a pieghe, camicia bianca di cotone con lo stemma fascista e mantella nera. Marciavamo al ritmo degli inni militari e, quando si intonava "Giovinezza giovinezza, primavera di bellezza, il fascismo e la salvezza della nostra società", ci associavamo con voci alte e intonate.
Alla sfilata partecipavano i contadini nel loro ruolo di sostenitori della patria, benemeriti in un regime autarchico. Indossavano gli abiti da lavoro lavati e stirati per l'occasione e le donne portavano con orgoglio sulle spalle un fazzoletto di cotone con papaveri e spighe di grano.
Il giallo del grano e il rosso dei papaveri erano una esplosione di colori in mezzo al nero di pantaloni, gonne, camicie, fez e mantelle.

(...) Torre del Greco - Voci dalla Guerra (1940 - 1943)
Verso i paesi di montagna in cerca di viveri   Un venerdì di febbraio del '43 le. mie zie, Maria ed Elena, assieme ad altre signore, dopo vari tentennamenti e indecisioni partirono per Pot~n~a portando con se cotone, stoffe, biancheria ed altri prodotti utili per avere in cambio prodotti alimentari. Ma, quando il treno giunse al posto di blocco di Battipaglia, le zie e tutti i passeggeri dovettero scendere, riuscirono a prendere un altro treno e, dopo aver viaggiato tutta la notte, arrivarono a Potenza. Qui trovarono la neve. Benché stanche e morte di freddo, proseguirono il viaggio finche giunsero a Ferrandina, dove furono ospitate da due vecchietti che vivevano in una casa-stalla: una stanza con letto, qualche vecchio mobile, un camino acceso e, oltre una porta, la stalla con un asino, una capra ed alcune galline.

La vecchierella preparò per loro pasta fatta da lei, verdure dell'orto e pane casereccio. Per le mie zie questo fu il pranzo più buono del mondo. Poterono anche dormire accanto al camino e fecero un profondo e caldo sonno. La mattina, in cambio di lana, cotone e stoffe, ebbero legumi, miele e farina. Si poteva tornare a casa.
Da Ferrandina con un carretto arrivarono alla stazione di un altro paesino. Ma in quegli anni viaggiare era difficile e spesso sui treni viaggiavano solo i soldati. Impaurite e scoraggiate, le zie, nella piccola e fredda sala d'attesa, pregavano. Il capostazione, intenerito, le fece salire su un vagone merci e cose, sempre con il rosario tra le mani, giunsero a Potenza, presero un altro treno e finalmente arrivarono a Torre.Il viaggio era durato tre giorni durante i quali avevano dormito poco, avevano sentito tanto freddo ed avevano mangiato un solo piatto caldo: la pasta con verdure della indimenticabile vecchietta di Ferrandina. Anna Maria Incaldi

(...)Torre del Greco - Voci dalla Guerra (1940 ~ 1943)
 Pane e cipolla
Un'amica di mia zia all'epoca della guerra era una ragazza, ma, essendo morta la mamma, si comportava da adulta nel governo della casa e dei fratelli più piccoli.
Una sera dormivano tutti. Lei si era trattenuta a riordinare la cucina. A cena aveva mangiato poco per dare priorità al padre ed ai fratelli. Cercò "integratori alimentari". Nella credenza trovo un pezzo di pane nero e una bella cipolla. Si sentì confortata: la cipollina a fettine piccole piccole, un po' d'olio, sale quanto basta ed era pronta una bella cenetta.
Si sedette nella tacita sera e mangiò senza fretta.
Il sonno fu profondo e ristoratore. Anna Maria
La casa di mia zia aveva un bel terrazzo che dava sul giardino interno, retrostante il palazzo. Terrazzi e giardini che si trovavano, ed ancor oggi si trovano, negli stabili antichi del nostro centro storico. Questi terrazzi, pur aperti e luminosi, erano ubicati in modo da consentire una certa privacy cosicché su di essi si faceva il bucato, si stendeva, ci si sedeva a conversare con gli amici.... Mia zia era solita, quando faceva caldo, sedersi all'aperto con un colapasta sulle ginocchia a mondare la verdura. Sul terrazzo sporgeva di poco il terrazzo del piano di sopra, così accadeva talvolta che, mentre accudiva alle sue incombenze, potesse contemporaneamente chiacchierare con la vicina. Un giorno mia zia stava sbucciando delle belle fave fresche, prelibatezza in un periodo di grande penuria di viveri e grande fame. La vicina del piano di sopra si affaccio e comincio a chiacchierare, poi ad un certo punto domando a mia zia cosa ne facesse dei baccelli.^iMia zia, meravigliata, rispose che li buttava. La vicina di rimando: "Ti dispiacerebbe darli a me? In campagna sto allevando delle gallinelle. Possono essere un buon cibo per loro!" Cos~ mia zia acconsent~ a darle le bucce... Fu poi la volta dei piselli... quella degli "spollichini"... Mia zia dava volentieri alla vicina cio che altrimenti avrebbe buttato, sperando, in cuor suo, che in quel tempo di miseria la stessa, prima o poi, avrebbe ricambiato la cortesia con qualche uovo.
Quando l'appetito si trasforma in fame, il cibo diviene quasi un'idea fissa... E' la legge della sopravvivenza, lo spirito di conservazione. Ed il cibo era allora spesso argomento di conversazione: i pranzi che si facevano prima della guerra, quelli che si sarebbero fatti dopo, come render appetibili gli spartani ingredienti di cui si disponeva per allestire il desinare e la cena. Fu cosi che mia zia scopri che le bucce delle fave, pazientemente private della loro lanugine interna e lessate, potevano essere mangiate come verdura. La medesima cosa si poteva fare con i baccelli dei piselli ed altra ancora. Allora comprese a cosa mirava la richiesta della vicina e cos~, quando questa le chiese nuovamente gli scarti, rispose: "Mi dispiace, non posso più darteli perche anch'io sto allevando delle gallinelle!" Si guardarono tristemente negli occhi. "A buon intenditor, poche parole!"
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(...)La sera dell'otto settembre 1943 mio padre si trovava con la sua nave nel porto di La Spezia. Era in servizio sulla nave ospedale Aquileia. Non so che grado avesse il congedo illimitato, a fine conflitto, gli riconobbe il grado di Maresciallo Maggiore.So che faceva parte del personale di macchina e che prima che iniziasse la guerra, da civile, stava cominciando la sua carriera di ufficiale di macchina a bordo delle navi del Lloyd Triestino, società alla quale apparteneva l'Aquileia prima di essere requisita e militarizzata. La notizia dell'armistizio ed il proclama del Generale Badoglio colsero tutti di sorpresa. Il momento era grave, soprattutto per coloro, che, militari, si trovavano nel nord Italia. Senza ordini, direttive, notizie chiare, il comandante dovette assumersi delle responsabilità pesantissime e, in un'Italia che da anni non sapeva più cosa fosse la democrazia, cerco di agire nella maniera più democratica possibile. Dopo una breve riflessione con i più alti in grado, riunì tutto l'equipaggio, illustro la situazione, per quel che sapeva, e chiese ad ognuno di esprimere il proprio parere sul da farsi: consegnarsi ai Tedeschi   questi erano gli ordini o smettere la divisa e fuggire, cercando di raggiungere i propri paesi e le proprie famiglie.
Apparve subito chiaro che non c'era alternativa. Quasi tutti optarono per la fuga da attuarsi immediatamente. Si reperirono abiti civili raffazzonati e talvolta improbabili; il comandante divise equamente fra tutti il denaro della cassa di bordo; i commilitoni si abbracciarono e "ognuno per se e Dio per tutti" ciascuno, quella notte stessa, si mise in cammino.
Il viaggio di mio padre da Genova a Pozzuoli, dove risiedeva la sua famiglia col padre anziano ed una sorella sposata con bambini, durò più di 15 giorni. I mezzi di trasporto pubblici erano scarsi e mal funzionanti... ed anche pericolosi. I tedeschi rastrellavano gli Italiani traditori. Meglio servirsi di mezzi di fortuna privati, dal camion alla carretta, al carro trainato dai buoi... per non parlare del cavallo di S. Francesco: andare a piedi era lento e faticoso, ma alla fine si dimostrava il sistema più sicuro.
Anni dopo, Comencini nel film "Tutti a casa" raccontò l'avventura di tanti Italiani, che dopo aver onestamente servito la patria, improvvisamente, la sera dell'otto settembre '43, non seppero più cosa fare. Più volte, negli anni, rividi quel film assieme a mio padre... Lui guardava e commentava: "Era proprio così!" Ma il sorriso, che si dipingeva sulle sue labbra, rimase sempre tirato ed amaro.
Viaggiando più di notte che di giorno, diffidando di tutti, anche di quelli che volevano porgere aiuto, come Dio volle, mio padre arrivo a Pozzuoli, ma trovo la sua casa sbarrata e il palazzo disabitato. Il colonnello tedesco Walter Scholl, il 23 settembre, aveva dato l'ordine agli abitanti della fascia costiera nella casa li mio nonno si trovava al lungomare di sgombrare in poche ore la zona. Non c'era nessuno e nessuno sapeva dargli notizie dei suoi parenti. Così pensò di trovare rifugio presso la sua fidanzata, mia madre, a Torre del Greco. Anche in via S. Noto 35 non trovò nessuno. Mia madre con mia zia e diversi altri parenti erano andati sfollati in una piccola proprietà di campagna nei pressi del colle di S. Alfonso. Tutti ebbero un trasalimento gioioso nel vederlo apparire, ma anche mio padre trasali alla vista di mia madre e non solo per amore: la fame e gli stenti avevano fatto dimagrire mia madre in maniera spaventosa, rendendola quasi irriconoscibile. Tutti, però, si sentivano animati da una forza nuova: era ancora questione di poco. Stavano arrivando gli Americani!
Tanto mia madre che mio padre amavano narrare e cosi i dettagliati racconti di guerra non mancarono in casa mia... anzi si andarono arricchendo di particolari man mano che io crescevo e potevo meglio comprendere. Mio padre parlava con orgoglio del suo servizio a bordo dell'Aquileia: anche se imbarcato su una nave ospedale, lui la guerra l'aveva veramente combattuta!
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(...) Raccontava di aver conosciuto nel 1940 la contessa Edda Ciano, figlia del Duce, che si era imbarcata come crocerossina, durante una missione in Albania. "Persona semplice e cordiale, gran lavoratrice", diceva. "Pranzava alla mensa ufficiali ed io ho avuto modo di parlarle più volte!"

Il 3 dicembre 1941, pur se correttamente illuminata e con i segni di riconoscimento ben visibili, l'Aquileia fu attaccata da aereosiluranti inglesi. Con pronta manovra fu evitato un siluro che transito a pochi metri dalla prua. Il 3 settembre del '43 fu mitragliata nei pressi di Marsa Matruh, ultimo approdo prima del fronte di El Alamein. L' "incidente" si ripeteva altre 2 volte. Questi fatti accadevano perchè si distinguevano allora due tipi di navi