Domenico Rea sostene che il più grande romanzo storico moderno di Striano: "Il resto di niente" rivela tremendamente da dove affondano le origini del caratteriale vesuviano cromosomicamente conservato sino ad oggi, sino a farci considerare ancora oggi una razza.
Appena duecento anni fa il popolo vesuviano esultava a Piazza Mercato a Napoli alle impiccagioni ed alle decapitazioni, come i romani nel Colosseo.
Oggi il popolo esulta allo stadio, ma sempre allo stadio ci si uccede, talvolta. Si uccide per camorra, si uccide metaforicamente l'anima del prossimo con l'invidia e le relative vendette, con l'arrivismo, col protagonismo e la sedicenza, e si ha uno spietato bisogno di prevalere, di prevaricase, di suscitare invida, condannati alla differenza di classe e di economia sullo stesso pianerottolo, a prescindere dalla cultura didattica o quella popolare delle tradizioni.
Certo, questo tipo di malessere alligna in tutto il mondo, ma forse il malessere vesuviano, nel substrato, dapprima lenito dalla cosiddetta napoletanità pre-postbellica oggi degenerata dall'apertura generale alla corruzione, viene da una precarietà antica; repressione, quindi rassegnazione mai esplosa e rimossa nel subconscio, dovuta alle lunghe, svariate dominazioni repressive dell'ultima metà del secondo millennio. (Luigi Mari)