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Argomento presente: « IL VESUVIO E' UN DIAVOLO » | ||||||
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ID: 1700 Intervento
da:
Nicola Sannino
- Email:
sannicola2@yahoo.it
- Data:
martedì 26 aprile 2005 Ore: 22:17
Buona sera, a parte il bel messaggio di Francesco Raimondo che ho gustato con piacere, tutti i post di questa proposta di discussione, se non allarmistici sono almeno inquietanti. E' vero che la politica dello struzzo è inutile, ma non basta la rete con cento siti sul vesuvio che non fanno altro che spaventarci? Si è detto che si riportano questi testi per conoscere il parere della gente comune, ecco io sono un uomo comune, che posso dire al di fuori di quello che dicono gli scienziati. Fossero almeno daccordo tra diloro, uno si metterebbe l'anima in pace e via. Ma questi creano più ansia e preoccupazione che altro. Nicola |
ID: 1617 Intervento
da:
Mario Fusco
- Email:
fuscotono2@virgilio.it
- Data:
lunedì 18 aprile 2005 Ore: 02:08
Miei cari amici, il mio intervento in questo forum non è affatto polemico, è quasi una richiesta se non di aiuto, almeno di scambio di pareri. Io desidesro solo sapere cosa ne pensate. Le rassegne stampa a riguardo sono troppo catastrofiche o troppo superficiali. Il Dott. Raimondo la mette sul piano didattico con dissertazioni sull'etimologia dei nomi del vulcano non dico per ironizzare, ma sicuramente per esorcizzare la cosa, il sig. Abbagnano minimizza, altri tacciono. Intanto questi articoli compaiano numerosi sui maggiori giornali nazionale, nelle numerose rassegne stampa su Internet, ecc. Articolo di Franco Mancusi - "Il Mattino" - 28 gennaio Il Sunday Times: minacciata anche Pompei Nuovo allarme da Londra: uno studio del CNR di Napoli interpretato come segnale di "pericolo tsumani" per tutti i centri del golfo. I vulcanologi smentiscono Dall'estero nuove notizie allarmistiche sul Vesuvio. Ancora un falso scoop, basato su equivoche informazioni scientifiche. Pompei potrebbe essere distrutta per la seconda volta, da un gigantesco tsunami, però, cioè da un maremoto. Lo scrive il Sunday Times, che anticipa i risultati di uno studio che sarà pubblicato il mese prossimo sul "Journal of the Geological Society" di Londra. La curiosità consiste nel fatto che a sostenere la tesi del giornale inglese è un lavoro di Alfonsa Milia ricercatrice dell'Istituto per l'ambiente Marino Costiero del Cnr di Napoli, diretto dal professor Bruno D'Argenio. Lo studio rileva l'esistenza di due grossi corpi di frana, due "debris avalanches" formati da materiale caotico e disorganizzato, che si troverebbero nel mare antistante il Vesuvio e sarebbero l'effetto del collasso dei vulcano, provocato dalle eruzioni di 18mila e 3.400 anni fa. Dunque, non soltanto Pompei, ma l'intero arco costiero del golfo rischierebbe, con le isole, di essere travolto e devastato da una gigantesca onda anomala. Sin quì le tesi della ricercatrice napoletana del Cnr, impegnata nell'approfondimento dell'attività vulcanica vesuviana dalla storica eruzione di trentamila anni fa. Quanto meno azzardato il parallelo del giornale inglese con gli eventi dei nostri giorni, assurdo il richiamo ai rischi di un devastante maremoto. Inevitabili i commenti critici, in qualche caso molto duri, da parte di vulcanologi e rappresentanti delle istituzioni scientifiche. Franco Mancusi - "Il Mattino" - 28 gennaio -------------------------------------------------------------------- Articolo di Flavia Caroppo e Sabrina Mugnos - "L'Espresso" - 16 gennaio Operazione salvezza Nel caso il Vesuvio sbotti, il piano è pronto. L'area a rischio è di 1.400 chilometri, ed è prevista l'evacuazione di 600 mila persone. Ma c'è chi è molto scettico... La colonna di gas e vapore è alta decine di chilometri, carica di frammenti di cenere incandescente e blocchi di roccia. Spinta dai venti si trasforma presto in un'immensa pioggia di pomici e ceneri che oscura il cielo e copre il paesaggio di grigio. E subito la cenere diventa un incubo. Non solo uccide chi la respira, ma in pochi minuti è in grado di bloccare tutto: i motori delle automobili della gente in fuga, gli elicotteri con cui si soccorre chi è in trappola, i sistemi elettrici e meccanici, perfino i computer e i telefonini di chi chiede aiuto. L'acqua, inquinata dalla cenere, non è più potabile. Ma il peggio deve ancora a arrivare . Quando la spinta iniziale della colonna eruttiva non è più in grado di innalzare il materiale solido nell'atmosfera, questa collasserà al suolo scivolando lungo i fianchi della montagna come una valanga di cenere, frammenti di magma e gas incandescenti sospesa su un cuscino d'aria, a velocità anche superiori a 150 Km/h . E' il cosiddetto flusso piroclastico un vero soffio mortale che semina devastazione per decine di chilometri. E' lo scenario post-eruzione del Vesuvio . L'unica forma di difesa da un evento simile, concordano tutti i vulcanologi e sismologi, è l'evacuazione della popolazione all'area a rischio con un ampio anticipo. "Il Piano Vesuvio, presentato nel settembre 1995 dal sottosegretario alla Protezione civile Franco Barberi, parla chiaro: quando ci si accorge che il vulcano sta per svegliarsi, bisogna spostare 600 mila persone dalla Campania verso altre Regioni italiane ", dice Francesco Santoianni, direttore del'Ufficio di protezione civile di Torre del Greco e membro della commissione che dovrebbe redigere il nuovo piano d'emergenza. "Una commissione ancora fantama visto che da quando è stata nominata, nel 2001, non si è ancora insediata per problemi burocratici", spiega. Nell'attuale Piano Vesuvio l'arca a rischio copre una superficie di 1.400 chilometri quadrati ed è suddivisa in tre zone: rossa, gialla e blu. La zona rossa, vasta circa 200 chilometri quadrati (340 mila 277 abitanti, 97 mila 373 nuclei familiari), potrebbe essere interessata da flussi piroclastici, colate di fango e accumulo di depositi di ricaduta che la distruggerebbero in gran parte. Quest'area, quindi, vista la sua pericolosità, dovrebbe essere evacuata prima dell'inizio dell'eruzione in un tempo massimo di una settimana . L'esperto di protezione civile ha dubbi anche sulle scelte scientifiche alla base dei Piano Vesuvio. "Ogni piano di emergenza si basa su alcuni scenari. Nelle emergenze vulcaniche questa metodologia pone problemi, perché l'evoluzione dei fenomeno non può essere definita nei dettagli con largo anticipo. Perciò all'estero i piani di protezione civile per emergenze vulcaniche prevedono differenti scenari e opzioni di intervento", spiega Santoianni. "Per il Vesuvio e i Campi Flegrei il Piano invece prevede un solo scenario: quello catastrofico del dicembre 1631. Ma non è affatto detto che si ripeta quel tipo di eruzione, anzi la maggior parte dei vulcanologi la considera improbabile. E' stata scelta in quanto la peggiore dell'ultimo millennio e in base a questo criterio puramente soggettivo è diventata la E.M.A. (Eruzione Massima Attesa). E solo su questa si calibra il piano di emergenza. Ma se, nell'area vesuviana o in quella flegrea, si verificasse una crisi vulcanica di lunga durata e dall'evoluzione incerta, che si fa? Si deportano, per anni, in mezza Italia centinaia di migliaia di persone? Un'eruzione può assumere dinamiche catastrofiche che rendono indispensabile l'allontanamento della popolazione, ma basare solo su questo la pianificazione dell'emergenza rischia di causare disastri". Flavia Caroppo e Sabrina Mugnos - "L'Espresso" - 16 gennaio |
ID: 1613 Intervento
da:
ciccio raimondo
- Email:
ciccioraimondo@libero.it
- Data:
sabato 16 aprile 2005 Ore: 19:57
Il Vesuvio e il suo rischio. Il Vesuvio e il suo rischio. All’amico Mario Fusco che ci ha indicato l’articolo del giornalista del Corriere della Sera, Gian Antonio Stella, un saluto ed un ringraziamento per aver proposto l’ennesimo “problema Vesuvio”. In effetti esso è quasi eterno come il vecchio Bebio (versione greca e contratta del nome latino Vesuvio). Nella lingua greca antichissima esisteva una lettera chiamata digamma, vale a dire due gamma. Il gamma corrisponde alla nostra G. Esso graficamente era simile alla nostra F effe. e foneticamente aveva un suono simile alla odierna B spagnola: es. la parola caballo che si pronuncia cavaglio. Quella v non è proprio v ma c’è, come in filigrana, anche la lettera b. Questo famoso digamma esisteva anche nella parola che tutti noi abbiamo nel cuore e cioè ……tutti direbbero… Mamma. E quasi, quasi ci siamo perché la parola è ITALIA. Infatti anticamente essa era (F) ITALIA dove quella che sembra una F è il famoso digamma che sta al posto della V di vita lettera che non esisteva nell’alfabeto, non antichissimo, ma antico dei greci. VITALIA era infatti la terra dei vitelli: il latino Vitulus. L’antico digamma aveva l’abitudine di cadere ed infatti cadde e non lo si vide più graficamente ma foneticamente dovette vivere a lungo. Giacché ci troviamo diremo che la nostra patria ha avuto parecchi nomi. Oltre ad ITALIA gli antichi l’ hanno chiamata: ESPERIA, ancora il digamma che cade. Infatti Fesperia, ovvero Vesperia, da vespero o meglio tramonto, quindi terra dove tramonta il sole e cioè ovest rispetto all’Ellade di Omero. Fu chiamata pure ENOTRIA ed ancora quel povero digamma che cade Tutti sanno, specie in questi ultimi tempi, quanto si stia facendo per la produzione vinicola in Italia. ENOTRIA, dunque, era ed è la terra del vino. Chiamavano gli antichi la nostra patria anche ERIDANIA, dove lo zucchero centra solo di stramacchio. Eridano fu, infatti, l’ antico nome del PO: fiume che nasce dal Monviso e sfocia a delta nel mare Adriatico dopo aver irrorato con i suoi affluenti la pianura padana. Questa è la patria degli odierni padani, fratelli d’Italia, che tanto, ma tanto bene ci vogliono. Essi lo dimostrano con generosità quando esprimono concetti economici mutuati dal loro atavico attaccamento al lavoro diversamente dai meridionali che furono e sono poltroni, mangiatori di maccheroni, cantastorie, suonatori di mandolini, e nipoti di quegli antichi Ausoni, abitatori del basso Lazio, odierna Ciociaria, e, quindi, pecorari con le cioce e suonatori ancora una volta di zampogne pifferi e ciaramelle. Da costoro poi traeva ancora un altro nome la nostra bella Italia e cioè AUSONIA. E con questo nome chiudo l’argomento patriottico e mi ricollego al Vesuvio. Mi scuserete per questa lunga digressione, ma ogni tanto io mi ricordo di essere stato un insegnante e quando mi si offre l’occasione mi infilo in questa veste e cerco di interpretare il ruolo. Ogni tanto fare una ripassatina non fa male anche se espressa in una forma che ricorda tanto la settimana enigmistica. Strano ma vero. Non tutti sanno che… Il Vesuvio, dunque, paragonato al Diavolo ed anche qui ci siamo andati vicino. Quando nel 79 d.C. alla fine di quell’estate avvenne la famosa eruzione qualcuno, anzi moltissimi testimoni pensarono alla Fine del Mondo e affermavano convinti che Alcioneo, uno dei più formidabili Giganti che avevano assalito Giove, vedi: Gigantomachia, si fosse liberato ed assieme ai compagni fuoriuscisse dalle profondità della terra, dove Giove stesso con l’aiuto del suo figliuolo semidio, Ercole, figlio della bella Alcmena, lo aveva imprigionato e pieno di rabbia stesse di nuovo dando la scalata al cielo. Precedentemente il povero Padre degli dei aveva dovuto combattere contro un altro figlio di Gea il famoso Tifone o Tifeo alla fine di questa epica battaglia fu scagliata contro il povero Tifone nientemeno che l’intera isola di Sicilia e proprio sul capo del gigante graverebbe l’Etna o Mongibello e da qui i vari scuotimenti dell’isola e le frequenti eruzioni del vulcano. Gli antichi quando non riuscivano a decifrare razionalmente la Natura si rifugiavano nel sicuro spazio del mito e in qualche modo si facevano una ragione di ciò che non riuscivano a comprendere. Diavolo il Vesuvio? Noi moderni, noi pieni di scienza e di tecnica possiamo affermare una simile stronzata? Certamente l’ultima eruzione del 1944 ha trasformato completamente la fisionomia del Vulcano con lo sprofondamento del conetto eruttivo e con l’ostruzione del condotto principale insomma s’è appilato tutto. E ora tutti si chiedono e preconizzano la prossima eruzione sul come e sul quando e meno male che non si interrogano anche sul perché. Io invece alcuni perché li vorrei porre in argomento sperando in qualche onesta risposta. Perché noi torresi, assieme ad altri Lestrigoni, antichi abitatori cannibali di queste zone insomma i nostri antichi progenitori, proprio dopo quella pure ultima spaventosa eruzione abbiamo, armi e bagagli alla mano, preso a costruire abitazioni dove un tempo vi erano solo sperduti cellai e miseri ma onesti pagliai? Perché l’acquedotto Vesuviano si è allungato fin sopra le ultime falde del nostro vulcano? Perché anche l’ENEL ha fornito corrente monobasica, trifasica, quadrifasica fin lassù? Perché la TELECOM ex SIP ha infisso i suoi pali a destra e a manca fin lassù? Perché la NAPOLETANA GAS ha allungato i suoi tubi fin lassù? Perché infine uomini politici e operatori della giustizia non hanno fatto niente per impedire che si arrivasse al punto in cui ora ci troviamo e ci facciamo tante belle domande a cui poi non sappiamo rispondere? Sul quando e sul come avverrà la prossima eruzione non credo che vi sia alcuno scienziato in grado di dire con certezza niente di niente. Al momento tutti possono dire con qualche precisione sulle eruzioni del passato ma su quelle del futuro siamo nelle mani di Dio. E’ come si volesse prevedere l’azione di una persona imprevedibile e pericolosa. Il pericolo c’è e c’era pure cinquant’anni fa, ma si è voluto fare, costruire, migliorare, arricchirsi, godere dell’aria salubre della zona pedemontana, credendo di stare sul Faito o a Massalubrense o alle pendici del Monte Solaro. Alla luce di quanto detto possiamo con serenità affermare che il Vesuvio è il Diavolo? A me non pare, anzi se il diavolo ha le corna qui di corna….beh lasciamo stare se no…..chissà dove si andrebbe a finire. Ma a parte gli scherzi, che scherzi poi non sono, è mio parere che se di diavolo vogliamo parlare ci dobbiamo riferire in questo caso all’unico e solo diavolo che affligge l’umanità da sempre: il danaro. Si badi bene che ho detto in questo caso. Infatti mi si potrebbe facilmente dare del matto se volessi generalizzare. Il danaro è una cosa ed in sé le cose non hanno nulla di bene e nulla di male .L’uso che si fa delle cose le connota e dà ad esse un valore morale sia in positivo che in negativo. In questo caso dunque ci si è fatti portare dalla mano e a poco a poco, come avviene per le famose malattie mortali, di cui ci si accorge del pericolo solo quando ci sei entrato con i piedi dentro, l’intera comunità ha aperto gli occhi, si è accorta del pericolo ed ora chiede a destra e a manca cosa fare, come fare senza saper dare risposte certe al suo incerto futuro. E risposte non credo che se ne possano dare in questo senso. Ma ora io mi fermo dando la parola ad altri che vorranno interloquire e apportare ulteriore contributo al nostro discorso. Francesco Raimondo |
ID: 1611 Intervento
da:
Antonio Abbagnano
- Email:
usn123@fastwebnet.it
- Data:
venerdì 15 aprile 2005 Ore: 23:47
Egregio sig. Fusco, ovviamente io non posso assicurarle che il Vesuvio non sia più letale ma allora mi assicuri lei, se ne ha le facoltà, quando il Vesuvio sarà letale e in che misura. Non sembri polemica la risposta, visto la delicatezza dell’argomento sarebbe fuori luogo, ma converrà che bisogna pur vivere e programmare la vita. Lei stesso dice che nessuno prevede infarti e iatture simili, però tutti vivono ed operano come se dovessero campare in eterno e nei ritrovati della medicina cercano di prevenire quei malanni. Chi vive dove viviamo noi, oltre a controllare il colesterolo, ha un impegno in più che è quello di informarsi sulle novità della scienza vulcanologica. Certamente però non si può morire prima del tempo con la paura dell’eruzione né tantomeno sradicarsi e lasciar marcire tutto quello che i nostri progenitori hanno creato, nonostante le quasi biennali e reali eruzioni del settecento e ottocento. Le autorità preposte monitorizzino il territorio e adempino a tutto, ma nel frattempo noi non possiamo permetterci il lusso di essere pessimisti o ottimisti nè considerare il Vesuvio “un diavolo”. Grazie. |
ID: 1610 Intervento
da:
Mario Fusco
- Email:
fuscotono2@virgilio.it
- Data:
venerdì 15 aprile 2005 Ore: 22:41
Gentile sig. Abbagnano, se la mettiamo sul piano del disallarme, sono d’accordo, è inutile chiamare S. Paolo prima di vedere la serpe, ma se vogliamo guardare in faccia la realtà allora non dimentichiamo che 700 mila persone vivono sotto il cratere di uno dei vulcani attivi più tremendi del mondo. Che poi il Vesuvio erutti domattina o fra un secolo questodi preciso lo sa solo Nostro Signore; e né gli studiosi ottimisti, né quelli pessimisti possono mettere la mano sul fuoco circa le loro "supoposizioni" perché sia pro che contro sono solo tali. Nessuno prevede un infarto, un aneurisma o un ictus, pur facendo cento esami al mese. Non sono un allarmista, vorrei tanto che la “Geophisycal Research Letters” abbia ragione, anzi farei carte false perché fosse così. Come mai, però, i vulcanologi, gli speleologi e quant’altro vivono fuori cintura vesuviana? Vuole conoscere qualche altro studio? L’accontento, ma mi convinca, per favore, se ne ha la facoltà, mi assicuri che il Vesuvio non sarà mai più letale. ”I PERICOLI DEL VESUVIO” (dalla rivista Panorama del 23 Novembre 2004) Un fiume di lava. Scorre a 8 mila metri di profondità e attraversa tutto il golfo di Napoli: lo ha scoperto un gruppo di studiosi italiani e francesi con una ricerca appena pubblicata dalla rivista Science. Un fiume di lava al quale corrispondono ben due piani di emergenza, uno per la zona del Vesuvio e l'altro per l'area flegrea. Ridicoli: redatti dall'Agenzia nazionale della Protezione civile guidata, fino a qualche mese fa, da Franco Barberi, i due progetti hanno in comune la pianificazione di una fuga impossibile in caso di eruzione. Se l'allarme vulcanico dovesse scattare nei Campi Flegrei, per esempio, la popolazione dovrebbe scappare in giro per l'Italia. Gli abitanti del quartiere Fuorigrotta nel Lazio e in Toscana; quelli di Pianura in Emilia; i residenti a Pozzuoli e a Bacoli, rispettivamente in Abruzzo e nelle Marche; i cittadini di Soccavo in Sicilia e quelli di Bagnoli in Basilicata. Un vero carosello. Senza alcuna indicazione né sui mezzi né sulle strade da seguire per la grande fuga. Quanto ai più fortunati, «i capi famiglia che dispongono di un recapito alternativo presso amici e parenti», il piano prevede una trappola ad hoc. Non potranno muoversi prima di «aver comunicato al sindaco il loro luogo di destinazione». Immaginate lo scenario: in piena eruzione, migliaia di persone si mettono in fila, presso gli uffici comunali, per annunciare la loro meta. Il piano per la zona vesuviana è ancora meno verosimile. I 50 mila residenti del comune di Torre del Greco, in caso di eruzione, dovrebbero fuggire in Sicilia con i traghetti ancorati nel porto locale. Dove i fondali non vengono dragati da 12 anni e spesso si arenano perfino piccole imbarcazioni. Per altre 100 mila persone si prevede la fuga in autostrada, con uno scenografico abbattimento dei guard-rail della Napoli-Salerno. E ancora, una serie di strade indicate per l'evacuazione sono talmente strette da non consentire neanche il passaggio di una bicicletta. Figuriamoci la fuga in macchina di migliaia di cittadini terrorizzati da un'eruzione. La cosa più paradossale è, infine, la promozione del doppio piano e dei suoi autori. Barberi, rimosso dal governo nazionale, è stato reclutato da Antonio Bassolino, tra le proteste di Rifondazione, come superconsulente della Regione Campania. E, dopo la sua nomina, puntuale, è arrivato l'annuncio da parte del governatore. Bassolino, infatti, ha presentato un progetto per la sistemazione, nel quartiere napoletano di Secondigliano, del futuro Centro nazionale della Protezione civile. Peccato che a Roma nessuno pensi di trasferire l'attuale Centro polifunzionale di Protezione civile di Castelnuovo di Porto. Per quanto riguarda il rischio Vesuvio, invece, il 29 settembre scorso centinaia di studenti sono stati caricati su un autobus e su alcuni aliscafi per Pozzuoli: una destinazione neanche prevista dal piano. «Tutto si è risolto con un'allegra gita scolastica» hanno titolato i giornali locali, commentando l'esercitazione. E il sindaco di Torre del Greco ha scritto alla Protezione civile per sapere «dove mettere» gli 80 mila opuscoli che contengono i dettagli della fuga dalla lava. Ingombrano i magazzini dell'amministrazione e non servono a nulla. (dalla rivista Panorama del 23 Novembre 2004) Mario Fusco |
ID: 1609 Intervento
da:
Antonio Abbagnano
- Email:
usn123@fastwebnet.it
- Data:
venerdì 15 aprile 2005 Ore: 22:13
Egregio Sig. Fusco, sono d’accordo con lei quando dice che la disinformazione oltre ad essere inutile è anche dannosa e leggendo l’articolo che lei riporta del Corriere della Sera me ne convinco ancora di più. Dovrebbe solo chiarirmi perché dovremmo credere al Corriere della Sera e non dare alcun credito a quanto scritto sul Venerdì della Repubblica del primo aprile 2005, che mi sembra goda di altrettanta attendibilità. L’autrice dell’articolo Alice Andreoli cita la rivista internazionale di geofisica, la Geophysical Research Letters, intervista il conosciutissimo Giuseppe Luongo e si avvale delle ricerche dell’ing. Borgia dell’Edra, European Development and Research Agency, nonché degli ultimi rilevamenti satellitari effettuati dall’Osservatorio vesuviano dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) e resi noti dall’ing. Giovanni Ricciardi. Dovremmo dunque smettere di essere ottimisti e pessimisticamente aspettare che “il diavolo” Vesuvio continui a distruggerci come ha fatto per millenni oppure razionalmente valutare le informazioni che la scienza ci mette a disposizione ? Il resto dell’articolo da lei citato è pienamente condiviso, ma forse parla di reati che vanno perseguiti a prescindere. Non crede? Distinti saluti. Antonio Abbagnano |
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