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Argomento presente: « Filumena Marturano » | |||||
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ID: 1802 Intervento
da:
Luigi Mari
- Email:
info@torreomnia.com
- Data:
domenica 8 maggio 2005 Ore: 00:22
Buona notte a tutti, ORA DICO LA MIA Desidero trasmettere un profilo del Grande Eduardo un po’ fuori le righe, allineandomi allo spirito di questo forum. E’ una chiave di lettura nettamente personale. La conflittualità tra l'essere e l'apparire è stata la vera fortuna di Eduardo De Filippo. Da questa sorta di “predicare bene e razzolare male” non per ipocrisia, beninteso, ma grazie alla prerogativa e alla natura del commediante autentico, è sorto l’attore che è grande, appunto, quando l’apparire non somiglia all’essere. Un grande attore non piangerà mai davvero sulla scena, ad esempio. Se “buono” interpreta bene il “cattivo” e viceversa. Recitare se stessi lo sa fare chiunque. Negli anni 60 il grande Eduardo venne a Torre per assistere ad una rappresentazione di "Natale in casa Cupiello" messa in iscena da una Compagnia torrese, al Teatro Metropolitan, se non sbaglio: la “Loreto Starace”. Correggetemi. Schivo e riservato, in sala, assunse un atteggiamento freddo e distaccato che non lo dimenticherò mai, dove si leggeva chiara la disapprovazione non già solo per giustificabili errori dilettantistici ma come per una sorta di senso di profanazione da parte dei ragazzi. Eduardo non era fondamentalmente cattivo, ma tormentato, Il suo carattere spigoloso e complesso si impernia sulla consapevolezza di essere stato concepito da un rapporto "irregolare". Questo tormento si sprigiona in lui quando prende questa consapevolezza nell'età evolutiva sapendo di essere nato da Luisa De Filippo e Eduardo Scarpetta, mai sposati, con il quale iniziò a lavorare da piccolissimo, nel 1904, quando debuttò come giapponesino nella ‘Geisha’. Conosceva bene il dolore umano e aveva in se, tuttavia, una profonda umanità. Molti torresi professionisti hanno lavorato con Eduardo, attori, tecnici, elettricisti. Ho raccolto una serie nutrita di aneddoti. Ai suoi plateali gesti di generosità e di comprensione per i deboli a volte contrapponeva atteggiamenti molto rudi e poco socievoli. Mortificava gli attori in scena fermando la recitazione. Non veniva evitata qualche varbalità blasfema o qualche calcio. Mi fermo qui per non guastarne la memoria, in rispetto della sua persona umana, inoltre defunta, sottolineando, per contro, la sua indubbia genialità nata, appunto, da questo particolare “pathos creativo”, pur non avendo seguito studi regolari e non detenendo, infondo, una grande cultura, se non una forte erudizione settoriale. Uno dei pochi casi al mondo nel dare tanta importanza al suo personaggio da farsi chiamare solo col nome attribuendone antonomasia nel mondo intero ad un nome comune di persona. Tranne che per il Dott. D’Agostino che lo chiama carinamente, simpaticamente e sicilianamente: “Edoardo”. Quello, comunque, che risalta dall'opera complessiva del Nostro è una grande esempio di morale e di giustizia. Quasi un trionfo della logica comune più che del più caduco e fragile immaginario collettivo. Ma il concetto, un po' astratto, sarà più esplicito dalle parole di Eduardo stesso: >“Sono nato a Napoli il 24 maggio 1900, dall'unione del più grandi perché attore-autore-regista e capocomico napoletano di quell'epoca, Eduardo Scarpetta, con Luisa De Filippo, nubile. Mi ci volle del tempo per capire le circostanze della mia nascita perché a quei tempi i bambini non avevano 1a sveltezza e la strafottenza di quelli d'oggi e quando a undici anni seppi che ero "figlio di padre ignoto" per me fu un grosso choc. >La curiosità morbosa della gente intorno a me non mi aiutò certo a raggiungere un equilibrio emotivo e mentale. Così, se da una parte ero orgoglioso di mio padre, della cui compagnia ero entrato a far parte, sia pure saltuariamente, come comparsa e poi come attore, fin dall'età di quattro anni [...], d’altra parte la fitta rete di pettegolezzi, chiacchiere e malignità mi opprimeva dolorosamente. Mi sentivo respinto, oppure tollerato, e messo in ridicolo solo perché "diverso". Da molto tempo, ormai, ho capito che il talento si fa strada comunque e niente lo può fermare, ma è anche vero che esso cresce e si sviluppa più rigoglioso quando la persona che lo possiede viene considerata "diversa" dalla società. >Infatti, la persona finisce per desiderare di esserlo davvero, diversa, e le sue forze si moltiplicano, il suo pensiero è in continua ebollizione, il fisico non conosce più stanchezza pur di raggiungere la meta che s'è prefissata. Tutto questo però allora non lo sapevo e la mia "diversità" mi pesava a tal punto che finii per lasciare la casa materna e la scuola e me ne andai in giro per il mondo da solo, con pochissimi soldi in tasca ma col fermo proposito di trovare la mia strada. >Dovrei dire: di trovare la mia strada nella strada che avevo già scelto da sempre, il teatro, che è stato ed è tutto per me”. (Nota autobiografica risalente ai primi anni Settanta). Il merito di De Filippo, come autore, è quello di avere saputo elevare il teatro napoletano a un livello di dignità e di risonanza nazionale, anche al di fuori delle sue straordinarie capacità di interprete. Una mimica eccezionale, scoperta e sottolineata dai primi piani del cinema, prima, e dalla televisione, poi. Nonché di una fonìa vocale personalissima, accattivante. Eduardo ha saputo a un certo punto innestare, inoltre, la tradizione ottocentesca sulle istanze della poetica neorealista, sia per quanto riguarda l' uso del dialetto, sia per la vivace rappresentazione della vita popolare, con gli ambienti di una dolorosa miseria e i problemi di una precaria sopravvivenza. Forse senza volerlo l'imbroccò sull' “identificazione emotiva proletaria”, un immaginario collettivo planetario concorde, che fa perno sulle emozioni domestiche, per così dire: il successo è stato capillare e totale. L’influenza di Pirandello ha fatto il resto perché ha “culturalizzato” la sua opera rendendola appetibile pure per la critica europea fino a quella internazionale. Per concludere, mai nella letteratura, prima di Eduardo, era stato imbroccato un tema di carattere universale come quello di “Filumena”, tra l’antitesi emotiva figli-prostituzione, entrambi concetti antichi come il mondo, (quasi un dualismo), sempre trattati separatamente, ma questa volta uniti dal concetto planetario di amore, dando un senso umano e solidale a tutta la vicenda, temi assimilabili e condivisibili da buoni e cattivi insieme, appannaggio della vittoria della "logica comune", il più grande sinonimo della parola "giustizia". Luigi Mari |
ID: 1798 Intervento
da:
Gennaro Francione
- Email:
azuz@inwind.it
- Data:
sabato 7 maggio 2005 Ore: 19:56
Ciao Ciccio ti allego un mio articolo. Un articolo che feci con mia moglie in un raid giornalistico estivo un paio d'anni fa. Riguarda proprio Filumena Marturano che vorrei ribattezzare FILOMENA MARTORIANO o MORTORIANO... Ti/vi auguro una piacevole lettura Un abbraccio Gennaro @@@@@@@@@@@ FILUMENA BATTIMANO Di Agius & Francione Palcoscenikestate e il Teatro Centrale di Ostia hanno offerto al pubblico lidense il classico di Eduardo De Filippo Filumena Marturano, messo in scena dalla Compagnia L'ATELLANA diretta da AntonioDell'Aquila. Il testo, in tre atti , fu composto nel 1946 e rappresentato per la prima volta il 7 novembre dello stesso anno al Politeama di Napoli, accolto bene ma non con il solito entusiasmo. Dopo un mese di prove, venne rappresentata al teatro Eliseo e fu il trionfo. Con questa commedia il grande autore napoletano ha creato uno dei ritratti femminili più celebri del teatro di tutti i tempi, quella Filumena, ex prostituta, che riesce a farsi sposare, dopo tanti anni di convivenza, da Domenico Soriano fingendosi in punto di morte. L'uomo arrabbiato non vuole riconoscere la validità del matrimonio al che Filumena, giocando l’ultima disperata carta di cuori, gli rivela di avere tre figli. Uno di essi è nato da lui ma non dirà mai quale dei tre, perché i "figli so figli". Alla fine il marito li accetterà tutti e tre, riuscendo così a raccogliere il messaggio d’amore totale di Filumena. Un personaggio quella della Marturano rivoluzionario per il tempo in quanto smascheratore di una società patriarcale, riuscendo solo la trasgressione del meretricio a ribaltare il ruolo alias irrefragabile di buona donna di casa e di servaggio della donna meridionale. La compagnia teatrale "L'Atellana" è un gruppo che nasce come emanazione dell'Associazione Culturale "Campani nel Lazio" e per questo, cosa rara a Roma, risulta composta da quasi tutti elementi capaci di parlare il napoletano. E’ stata una serata davvero bella quella offertaci ad Ostia dalla compagnia in una gradevole serata di fine agosto, con una prestazione superlativa che ha accalorato il vasto pubblico presente in sala, levatosi alla fine più volte a battere le mani ai limiti della standing ovation. Tutti bravi gli attori; su tutti Antonio Dell’Aquila nei panni del capofamiglia Domenico Soriano, e Filumena, l’eccellente Adriana Torricella. Noi stessi, spietati narratori dello spettacolo canicolare, siamo rimasti decisamente colpiti. Nei nostri raid giornalistici lungo l’estate romana abbiamo visto compagnie di professionisti superabboracciate, spocchiose e insulse, plaudendo invece ora alla compattezza di questo teatro di appassionati composto davvero a regola d’arte. Mentre la distinzione si scolora tra teatro professionistico e amatoriale, ribaltandosi qui a favore di quest’ultimi, ancora più veemente si fa la critica già svolta in altri pezzi sulla scelta dei testi da parte di tutte le compagnie. Esiste una nuova fervida generazione di autori teatrali, anche in slang napoletano, che attende di essere messa in scena. Lotta questa generazione una guerra senza esclusione di colpi contro le Grandi Mummie, i Shakespeare, i Pirandello, gli Eduardo De Filippo… Perché non dare spazio ai nuovi autori? Se le megaproduzioni fanno orecchie da mercante di Venezia, noi ci auguriamo che almeno il teatro amatoriale esca allo scoperto ed entri nel nuovo discorso. Capiamo la difficoltà produttiva di compagnie all’esordio, ma un gruppo affiatato come quello dell’Atellana, che ha un suo pubblico, può permettersi di fare teatro di cuore vibrante, portando in scena nuovi autori, gente creativa finalmente vivente. Il teatro è prima di tutto coraggio. Coraggio non solo nella messinscena ma in primis nella scelta dei testi che può essere alimentato da una semplice constatazione: se oggi ammiriamo i Shakespeare, i Pirandello, gli Eduardo De Filippo è perché nei vecchi tempi ci fu qualcuno che ebbe il coraggio di metterli in scena. Avete visto che la stessa Filumena al tempo in cui venne rappresentata non fu proprio un successo, anche se lo era nella mente e nell’anima del suo autori e di quanti confidarono in lui che lo fosse. Dunque registi, attori, scenografi del cuore, soprattutto voi del teatro amatoriale che fate ancora arte col cuore, tendete la mano agli autori in carne ed ossa. Date spazio al vero teatro che è antiarte(www.antiarte.studiocelentano.it), morte dell’accademia, esistenza pulsante e contemporaneità. Se vedete per strada le Grandi Mummie… uccidetele! |
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