ID: 2245 Discussione: Il torrese Nicola Ruggiero
Autore:
Antonio Pavesi
-
Email:
atoniopavesi1@yahoo.it
-
Scritto o aggiornato:
venerdì 3 giugno 2005 Ore: 11:37
Buon giorno a tutti.
E' ora che qualcuno diffonda notizie su Nicola Ruggiero, questo tenace torrese che sta facendo parlare il mondo della cultura.
Ha sempre vissuto solo con lo stipendio della moglie, professoressa. Del suo lavoro di preside, ora in pensione, in casa non è mai arrivato nulla o quasi. Nicola Ruggiero, 80 anni, i soldi li ha spesi tutti per comprare libri, soprattutto su Giacomo Leopardi: ne ha collezionati seimila che rappresentano la più vasta raccolta sulla vita, le opere e il pensiero del poeta. Neppure alla biblioteca di Recanati sono stati capaci di tanto. Non solo. I seimila libri, comunque, non sono che una parte dei ventimila che Nicola Ruggiero ha finora raccolto, di cui altri cinquemila su Torquato Tasso.
I testi sono dappertutto nella sua casa di Torre del Greco: nello studio, nel salone, nelle camere da letto, nel corridoio, in cucina e nel bagno, sistemati su mensolette.
In casa Leopardi, pardon Ruggiero, vi sono pile di giornali, riviste e preziosi cimeli del poeta, a cominciare dalla maschera di gesso, eseguita qualche ora dopo la morte dell'autore dell'Infinito, e i famosi confetti cannellini che ne avrebbero causato la fine: ne mangiò così tanti che lui, malato di diabete, si sentì male e si spense a Napoli il 14 giugno del 1837, a 39 anni. Come è venuto in possesso dei confettini?
«Li ho avuti da una discendente del portiere del palazzo di via Giura a Capodimonte, dove Leopardì morì. Il poeta ne consumò tantissimi, forse un chilo. Quelli che avanzarono furono messi in un cassetto, in seguito presi e custoditi gelosamente dal guardaporte. Se li son tramandati per generazioni fino alla signora che me li ha consegnati.
L'ho conosciuta andando in pellegrinaggio nei luoghi dove visse Leopardi, cercando di parlare con persone che in qualche modo sapevano qualcosa sulla sua vita. Incontrai così la donna che, sicura che li avrei tenuti con grande cura e amore, me li diede nell’81, nel giorno dell'Annunziata. Una felicità immensa. Qualche confettino l'ho regalato al museo del confetto di Sulmona, gli altri li ho io». E la maschera funebre del poeta?
«L'ho ottenuta in dono nel ’75 da un pronipote di Antonio Ranieri. È un antiquario che lavora al Nord. Siamo diventati amici e mi ha consegnato questo cimelio a cui tengo più della mia stessa vita. C’è anche una copia in marmo, altrettanto bella e significativa». Perché ha cominciato ad interessarsi a Leopardi? «A trasmettermi la passione fu mio padre. Su un quaderno scriveva le poesie di Leopardi che io imparavo a memoria. Era un modo per farmi studiare a casa la letteratura, visto che non potevo frequentare la scuola».
Perché non poteva andare a scuola? «Papà, segretario comunale, era antifascista, amico di Giovanni Amendola. Fu perseguitato. Passammo anni neri, di fame. Poi riuscii ad entrare nell’Abbadia di Cava de’ Tirreni, dove feci il liceo. Mi sono laureato a Napoli nel ’46 con tesi su Leopardi». Sempre Leopardi? «Era il mio amore. Lo studiavo e collezionavo libri. Per il primo spesi quattro lire; per l’ultimo, in questi giorni, ci son voluti 40 euro. Studio ogni volume e scrivo una scheda di due pagine sul contenuto». Lei sembra aver scandagliato anche nel profondo dell’animo di Leopardi. Cosa ne pensa della presunta omosessualità del poeta? «Non ci credo. Anzi non è vero. Ce lo dice indirettamente lo stesso Antonio Ranieri, quando nel libro ”Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi” scrive senza tentennamenti e con chiarezza che: ”Giacomo ha consegnato intatto al sepolcro il fiore della sua castità».
(...)Il suo sogno? «Lo ripeto: solo quello di sistemare i miei libri in questa terra, dominata dal Vesuvio. Vorrei un luogo bello, denso di storia, dove esporre tutto e dove poter andare a piedi ogni mattina per fornire consigli a studiosi e studenti: a Torre del Greco vorrei realizzare la Recanati del Sud».
Antonio