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Argomento presente: « Adolfo Narciso »
ID: 2400  Discussione: Adolfo Narciso

Autore: ciccio raimondo  - Email: ciccioraimondo@libero.it  - Scritto o aggiornato: domenica 14 agosto 2005 Ore: 17:08

Oggi agli amici del forum desidero proporre un racconto di Adolfo Narciso, autore napoletano che è poco conosciuto e che ha scritto nella prima metà del secolo scorso. Il racconto è ambientato a Torre del Greco e parla di un grande cantante Enrico Caruso. Credo che in alcuni passi l'autore senza enfasi alcuna descriva con entusiasmo quello che doveva essere l'ambiente torrese fisico e materiale.Non dico altro. Buona lettura.

Adolfo Narciso

ENRICO CARUSO e i vermicelli a vongole

Napoli 1935 XII E.F. Ed. Pironti
Alla mia più grande amica: La Speranza
Adolfo Narciso


Sulla banchina della “Nuova Immacolatella” v’era quel giorno un brulichio insolito. Barcaioli, scaricanti del porto, operai, venditori ambulanti, posteggiatori, marinai, borghesucci, provinciali ed altri.,..
Di tanto in tanto, qualcuno tra la folla, facendo solecchio con le mani, aguzzava lo sguardo, scrutando lontano… il mare increspato, scintillante in quell’ora di luce dai diversi colori solcato da barchette sulla cui antenna imperava la vela latina, pareva invitase il poeta a decantarne la betltà…
Voci di venditori, le guarrattelle, la sonnambula, ‘O cantastorie, facevano cornice in quell’angolo rimasto ancora napoletano. Primo attore il pizzaiolo, irrequieto e canoro, gorgheggiava:
‘A tengo chiena alice!…,
Più in là, quello delle zeppole canterellava:
‘A pasta cresciuta ‘e ‘o sciore!
Alle quali facevano coro: ‘E taralle c’’ammennole….nonché il venditore di polipi con le sue pentole dorate, pure lui cantore nella nostalgica esibizione:
‘Màgnate ‘a capa d’’o purpo ca miette juricio!!
Tutto un quadro di folklore, delizioso, originale: Di botto una voce echeggiò: ‘O vi’ lloco! Sta arrivanno!..
Gli sguardi di ognuno fissano un punto nero apparso all’orizzonte.
‘O vi’ lloco!! Fu gridato per la seconda volta. Il transatlantico America si avvicinava ingrandendosi a colpo d’occhio. La sua sagoma superba si delineava sempre più. Dai fumaioli sortivano boccate di fumo, che, lontano, sembravano lanciate da mastodontici trabucos… la folla si accalcò intorno alla banchina e qualche fazzoletto sventolò. Le voci dei venditori aumentarono di tonalità. Una donna vestita in gramaglie, stringendo una bimba tra le braccia, asciugandosi gli occhi mormorò: Chi tene ‘o coraggio e ‘ncio dicere!
A pochi passi, una giovanetta bionda, vestita a nuovo,batteva le mani pel contento di riabbracciare il fidanzato… Più lungi un vecchio, mal reggendosi su le gambe, quasi cieco, poggiato al suo bastone, ripeteva a mo’ di lamentevole ritornello: Totò, core e papà tuio da quant’anne nun te veco cchiù!
Il piroscafo attraccò le grida più svariate partirono dalla banchina.
Dal parapetto della nave si sporsero gli arrivati.
Essi, attoniti contemplavano l’incantato panorama della città. Il pizzaiolo fe’ riecheggiare la sua cantata pittorica, originale:
‘A tengo chiena alice!!
Dal bordo del bastimento una voce napoletana gridò: Pizzaiuo’, ’a tiene una cu ll’uoglio e alice?!
La gente si voltò… ed un grido eruppe dal petto di ognuno:
Errico Caruso! Viva Caruso!! Proprio lui! Il divo dall’ugola d’oro. Ritornava da New York dai trionfi autentici! Era il suo primo viaggio oltre oceano. In un attimo sulla banchina si agglomerò un numero imponente di ammiratori: gli applausi ed evviva non furono lesinati all’usignolo napoletano, che…nessun divo fino ad oggi ha supplito e …supplirà….
Caruso, sorridente, ringraziava sventolando il berretto. Non pochi americani gli facevano corona, deliziandosi alla scena che innanzi ad essi si svolgeva…. Caruso mangiò la pizza con le alici, lì in mezzo ai signori de’ dollari! Napoletano fino alla cima dei capelli… se ne infischiava di tutte le smidollate convenienze. E quando gli capitava trovarsi fra i suoi antichi amici…quelli dei tempi invernali… mostrava loro che le glorie, le ricchezze, gl’incensi di cui era stato fatto segno, non avevano per nulla cambiato i suoi primitivi sentimenti…di artista venuto dalla gavetta!
Una frotta di artisti giunse in quel momento a salutare il Divo. Vecchi amici delle diverse scene, ridotti a passeggiare in Galleria…Erico li accolse, abbracciandoli uno ‘per uno. Non pochi furono i beneficiati….
Quando scese dal piroscafo, la dimostrazione affettuosa ripigliò, nuovi abbracci, strette di mano e saluti, dissero ancora una volta al cantore celeberrimo: che il cuore di Napoli palpitava col suo.
Le carrozze con i cavalli bardati a festa erano lì ad aspettare.
Errico, la sposa e la sua bimba Gloria, alcuni americani ed uno stuolo di amici, vi montarono. I conducenti schioccarono le fruste ed i corsieri si mossero. Mèta del nuovo viaggio:il Santuario di Pompei. Il tenore mondiale era un devoto,fervente della Vergine miracolosa del tempio di don Bartolo.

Un odore d’incenso, le note dell’organo e i ceri accesi sull’altare davano un aspetto di misticismo solenne. Errico s’inginocchiò e, chinato il capo, rimase assorto nella dolce preghiera….
Il sacerdote celebrò la messa..ad all’elevazione, quando i fedeli, genuflessi, battendosi il petto invocano il perdono, dagli occhi del Divo sgorgarono lacrime… Forse… in quell’istante sentì la sua prossima fine. E chissà non abbia chiesto alla Vergine la suprema grazia di spegnersi in Napoli… la sua città nativa…
Terminata la funzione il tempio si sfollò. Solo Errico sembrava non sapersi staccare dal sacro luogo. Alfine si scosse e rialzatosi si recò come altre volte in sagrestia a lasciare la sua generosa offerta per gli orfanelli.

***
A Torre del Greco si sostò alla Trattoria Mimì a mmare a Cupa Calastro… Il padrone nel rivedere Caruso gli corse incontro sberrettandosi:
Cummendatò, ben tornato! Viate chi vi vede…. E felice chi ti gode!! Interruppe il tenore con il suo solito buon umore. E battendogli la mano sulla spalla con famigliarità soggiunse: Vide chello che ‘a fa! Fatte onore! Non ti dico altro!….
L’oste s’inchinò e scomparve in cucina….
Uscirono tutti sulla terrazza. Il cielo vermiglio si rifletteva nel mare. Un leggiero venticello dal profumo di marina solleticava le nari ed il palato…
-Mimì, fa ampressa..cca ‘a truppa se revota!!!
Gridò il tenore al cantiniere che fe’ sentire la sua voce di rispettoso assenso…
Gli occhi del cantore si fissarono su di una madonnina di pietra situata sul frontespizio della chiesetta in riva al mare.
Quanto amore ispira nei cuori doloranti quel simbolo di cristianità disse sospirando ad uno dei commensali….
E’ la Madonna del Principio… Quella che guida e protegge i marinai nei giorni di tempesta! Errico la guardò con venerazione…
- Quanta fede religiosa v’è nel mio paese!… Qui tutto è poesia, gentilezza…umanità…Ah, se potessi…rimarrei per sempre in questa terra fatata!
-Chi ve lo vieta?! -domandò il suo vicino.
-L’arte! La così detta gloria! Nemica d’ogni felicità!….
L’oste fe’ capolino:
- Commendato’, nuie simme pronte!!
I vermicelli sono in tavola!…Seguono: i pollastri,’o fritto misto, ho preparato delle gustose ostriche ed il solito vino imbottigliato….
- Mimì tu si gruosse! Ma il vero responso te lo darò dopo i vermicelli…
I maccheroni fumigavano. Il profumo di vongole si spandeva per la sala. Un raggio di sole inondò di luce d’oro la pietanza napoletana… come a renderle omaggio pel trionfo meritato. I commensali sedettero. E per un momento nessuno parlò più. Unica voce il tintinnìo delle forchette arrotolanti nei piatti i pomidorati vermicelli.. L’oste accorse rimanendo in attesa. Il Divo aprì una valigetta e trattane una sua fotografia vi scrisse al margine:
A Mimì a mmare ‘o Rre d’’o vermiciello a vvongole!!
Errico Caruso
E consegnandogliela disse:
Ecco il responso!…
Un applauso coronò il verdetto assolutivo. Mimì commosso per tanto onore la baciò e balbettando balbettando ringraziamenti esclamò:
Commendato’ sta fotografia è ‘o cchiù grosso onore da vita mia!…
Il pranzo proseguì con successo. I pollastri, il fritto misto, le ostriche, la mozzarella, il vino, la zuppainglese, frytta, caffè, liquori, champagne aumentarono l’allegria e le lodipiù sperticate non furono lesinate al cuciniere.
Uno strimpellìo di strumenti a corda fe’ sussultare i banchettanti. I posteggiatori attendevano nella stanza attigua, erano giunti allora chiamati d’urgenza. Ma d’un tratto s’intesero dei rumori. I gavottisti sembrava questionassero. Errico si alzò chiamò il padrone per sapere.
- Commendato’, se stanno appiccecanno pe gelusia ‘e mestiere…
- Come sarebbe a dire?…
- So’ dduie gruppe ‘e punteggiature e ..vonno trasi’ tutte e dduie!…
- Falli entrare!
- Trasite!…
I primi a comparire furono un uomo alto dai capelli incanutiti, suonava la chitarra l’altro un vecchietto magro e piccolino assai innanzi negli anni suonava una specie di ottavino… i quali entrati fecero per inginocchiarsi esclamando:
- Commendato’ nuie ve sapimmo giuvinotto!! Avimmo girato insime con voi pe’ sserenate ‘e società. Ricordate il Caffè dei Mannesi all’angolo del Duomo?
Caruso li squadrò, quasi non credendo ai suoi occhi ed abbracciandoli gridò:
- Ciccio ‘e Giorgio e Cicciotto ‘o tintore!!
- Proprio noi!!…E ridotti in questo stato!!
Errico addolorato li fe’ sedere ordinando l’istesso da lui consumato….
Entrarono gli altri. Gli strumenti strimpellarono. Le canzoni di Napoli furono passate in rassegna. Caruso era triste. Quei due vecchi gli ricordavano tante cose…
La sua prima giovinezza, le ansie, la povertà, le ore allegre… i primi amori... i trionfi sui bagni alla Marinella, le serate allegre fra tarallucce e vino, con i caffè concerto e le cenolelle di quei dì….
Tutto passa!.. esclamò con dolore…A che valgono le ricchezze, le glorie, gli onori… Mi sentivo più felice nella mia oscurità!
Ciccio’e Giorgio e Cicciotto si alzarono. Il flauto trillò accompagnato dalla chitarra. Era un canto siciliano che Cicciotto ai suoi tempi entusiasmava. Caruso n’era innamorato; Cicciotto cantò e giunto al ritornelo:

St’uocchi beddi
Sta vucca di rose
Sti tuoi vizzi…
sti duci parole
M’incantinasti Beddicchia stu core
E l’appartenza ingannari mi fa…


Enrico, che, con la testa tra le mani era rimastio pensoso... al finale si scosse; corse incontro ai due amici e abbracciandoli nuovamente domandò loro tante cose…
Le ore erano trascorse. Ciccio’e Giorgio non volle andar via senza aver cantato egli pure la sua caratteristica cavatina:

Lo guarracino
Ed impadronitosi della chitarra di Cicciotto principiò

Lu guarracino che ghieva p’ ’o mare
ieva truvanno ‘e se nzura’!
se facette nu bellu vestito
de scarde de pesce pulito pulito!
Ecc.Ecc.

Al finale gli applausi non si contarono. Errico Caruso, commosso si congratulò e stringendo nelle loro mani due biglietti da cento li congedò con la promessa di rivederli a Santa Lucia.

***
Quando Caruso si spense, ero a in roma e …per di più impossibilitato a potermi muovere! Ricordai e piansi più che il celebrato artista, l’amico lontano de miei giorni più belli…
Ritornato in Napoli n’erano trascorsi degli anni.
In una sera d’agosto, una comitiva di amici mi condusse a Torre del Greco alla Trattoria di Principio. La comitiva la capitanava il conte Giuseppe Matarazzo di Licosa. Il mecenate aveva invitato un numero di poeti, pittori giornalisti perché rendessero con la loro presenza più solenne la sorpresa che egli faceva al suo amico , il valoroso pittore Nicolas De Corsi ch’era lì a villeggiare.. Il pranzo ordinato per le otto di sera mancavano due ore ancora ne approfittai per recarmi alla Trattoria di Mimì a mare poco lungi. Rividi il padrone e riparlammo di Caruso. La sua fotografia campeggiava nel centro del salone. Rilessi la dedica:

"A Mimì a mmare ‘o Rre d’o vermiciello a vvongole
Errico Caruso"

- Lo rivedeste ancora? Domandai ansioso.
- L’ultima volta quando recò il cero alla Madonna di Pompei e fece il voto!
- E poi…
- E poi…si spense la più bella voce!!
Il cantiniere non trovò la forza di proseguire…Mi strinse la mano e si allontanò.
Mi riaffacciai alla terrazza: la Madonna del Principio era lì…come l’aveva vista Errico…in quel pomeriggio di Luglio.
Un nodo mi strinse la gola. In quell’istante mi sentii meno di un granello di sabbia dinanzi all’eternità! E pensai:
Il cantore sublime dorme in questa istessa ora il suo ultimo sonno lì sulla ridente collina di Poggioreale… minuscole parentesi: la gloria. I battimani,le ambizioni..i sorrisi della folla.. tutto si infrange e precipita nel nulla…

Mimì a mmare ‘o Rre d’’o vermiciello a vvongole se ne andò pure lui. I giornali napoletani ne descrissero il lato caratteristico nonché gli episodi principali svoltisi sotto il suo imperio in quel salone prospiciente alla marina, la più poetica del mondo… Non pochi rimpiansero la dipartita del popolano…che tanta storia e segreti portò con lui (sic)nella tomba.
L’ultima volta che vi ritornai: il ritratto con la dedica di Errico Caruso… non vi era più….

Adolfo Narciso


 
 

ID: 2411  Intervento da: Luigi Mari  - Email: info@torreomnia.com  - Data: domenica 14 agosto 2005 Ore: 17:08

Caro Ciccio,
questi Tuoi interventi sono viatico, specie per i giovani, completamente a digiuno della cultura vesuviana, quella a cavallo degli ultimi due secoli del millennio che ci ha lasciato.

Tu proponi una sacrosanta "Campania da rileggere" con Adolfo. Dobbiamo, noi ultimi pionieri, rispolverare quegli artisti popolari che spesso fruivano dell'aria saluberrima della nostra Torre del Greco, come Bracco, Murolo, Gill, Bovio, Costa, De Leva… ecc.
Allora noi godavamo dei versi e delle traduzioni dell'illustre torrese Giovanni Mazza; intanto "Assunta Spina" di Salvatore Di Giacomo veniva interpretata da Francesca Bertini in uno dei primi film muti girati a Napoli.

Tuo padre Raffaele e Tuo nonno "il rosso" malupilo sicuramente avrebberoro ricordato al San Carlino e al Teatro Nuovo recitare Gennaro Pantalena e Adelina Magnetti.
Tuo nonno avrebbe ricordato quando esordivano Raffaele e Luisella Viviani e arricchivano la scena Eleonora Duse e Gabriele D'Annunzio che ebbe la bella idea di avere una dimora a Torre nei pressi dell'attuale Complesso Puntaquattroventi.
Si è parlato di dedicare a Tuo padre la nuova biblioteca torrese, al di là da venire; ma non di una guida onde penetrare nel labirinto del Novecento napoletano, parlo dei tempi di Mario Vinciguerra, autore dimenticato, di Lorenzo Giusso e ad Adriano Tilgher, fino ad Alberto Consiglio, ad Alfredo Gargiulo. Amo la mia Enciclopedia dello Spettacolo in 20 volumi, è la mia guida artistico-spirituale..

Tu, Ciccio, potresti fare da cicerone per una rilettura di tutti quegli autori e un invito alla ripubblicazione delle loro opere, almeno sulla rete, poiché per molti sono scaduti i diritti d'autore. (E, per piacere, risparmiati le sudate per copiare i testi ribattendoli, ma usa l'OCR in automatico).
Abbiamo avuto a cavallo del secolo cime come Malaparte, Prisco, Rea, Compagnoni, fino al Marotta, testi di questo ultimo che avrebbero oggi sollazzato Croce e Flora, con le loro pagine napoletane "dotte".
Scommetto uno su mille che se ci recassimo al Bar Di Donna, oltre il casello, la marea di giovani torresi ci scambierebbe per marziani sentendoci parlare di giornalisti, scrittori e poeti del 900 come Ernesto Grassi e Achille Geremicca, Alfredo Parente, Riccardo Forster, Giovanni Artieri, Enrico Ruta e Ugo Ricci. E ancora Mario Venditti nel periodico "Monsignor Perrelli". E fra gli altri giornalisti-scrittori, Paolo Ricci, Carlo Nazzaro, Adolfo Narciso, appunto, Luciano Nicastro, Edmondo Cione, Pasquale Pensa (da non confonderse con qualche congiunto del nostro giornalista torrese Franco PenZa). Concludendo con gli ultimi giornalisti scrittori: Giovanni Artieri e Francesco Dell'Erba.
Caro Ciccio, è un'esperienza meravigliosa visitare di tanto in tanto l'emeroteca Tucci alla Posta centrale. Invito tutti coloro che desiderano erudirsi di fare questa esperienza. Napoli è ad una spanna da noi, ma è bene raggiungetela con la vecchiia, cara, romantica Circumvesuviana.
http://www.torreomnia.it/storia/circumvesuviana/set_fra_vesuviana.htm

Haimè, Croce, Flora ed altri "critici" letterari fecero diventare zavorra i 115 (centoquindici) romanzi di Mastriani.
Adolfo Narciso che hai riproposto in questo contesto, è un'altra di queste vittime del "purismo" letterario. Ma i contenuti narrativi sono immortali, al di là della "sgherra" estetica. Senza Adolfo il rapporto di amicizia del nostro torrese Mimì a Mare (trattoria) ed Errico Caruso non ci sarebbe mai pervenuto.
Narciso e Del Balzo, ad esempio, possono essere stati i "fotografi della narrativa" 800-900 napoletana, mentre il Marotta ne è stato il "pittore letterario creativo" perché le pagine de "L'Oro di Napoli" sono tanti minuscoli affreschi. E tanto di cappello.
La penna è uno strumento collegato al cervello, ma talvolta i fili connettivi scendono nei precordi e risalgono verso le coronarie della fantasia e della creatività di nuovo fino alla mente, per sentieri onirici e desueti. Così nasce un Marotta!
Non si può sminuire, però, un Narciso che nacque a Napoli nel 1877, pensate, nel popoloso quartiere Tribunali, a vico Lava, che vedevo quotidianamente quando lavoravo nella Tipografia dell'università a Vico pallonetto S. Chiara e passavo per i Tribunali. All'età di tredici anni Adolfo lavorava come fattorino postale, ma ben presto fu licenziato e, grazie all'incontro con Carlo Arcuri (impresario siciliano), entrò nel mondo dello spettacolo, ma non ebbe successo.
Non tutti sanno, Ciccio caro, che ad appena 14 anni, Adolfo, già faceva coppia con un ...certo Enrico in un locale detto "Caffè dei Mannesi". Questo ragazzotto di nome Enrico divenne ben presto famosissimo in tutto il mondo perché di cognome si chiamava nientemeno che Caruso!
Purtroppo, seppur partiti insieme, le loro strade si divisero e Adolfo Narciso divenne semplicemente un macchiettista. Dopo aver sperimentato mediocramente tantissimi ruoli nel mondo dello spettacolo, Adolfo, si dedicò alla scrittura ed al giornalismo. Pubblicò libri come: "Napoli scomparsa", "Char à bancs dei comici", "Il sibilo di Mefistofele" e "Napoli col suo manto di sole". Nella vecchia libreria Pironti a Portalba ne ho visto qualche vecchia edizione.

Oggi nessuno non solo scrive, ma nemmeno legge nella misura necessaria. Torre del Greco, che ha sfornato nei secoli artisti di fama mondiale per diverse discipline non ha uno straccio di narratore accreditato. Ciccio, fatti sotto.....
Un altro autore "non letterario" napoletano, credo Tu lo conosca, Francesco, scrisse un "ritratto campano" del novecento dei più fedeli, fu Carlo Del Balzo. "Napoli e i Napoletani" ricchissinmo di fatti e personaggi viene sempre ristampato. Il Libro, in tre volumi, è illustratissimo, come la Divina Commedia, Straordinaria descrizione tra le più vivaci ed attente della Napoli dell'ultimo Ottocento arricchita da disegni ad impronta realistica che compongono "una fusione perfetta" tra testo e Immagini. Io purtroppo non ho l'edizione artistica di lusso, ma non cambia molto.
Una maniera a cui si è rifatto l'anziano contemporaneo Vittorio Paliotti, con le sue biografie. Una prosa casareccia e infiorettata, all'acqua di rose, ben lontana dalla narro-saggistica di un De Crescenzo.
Carlo Del Balzo si aggirava come un indigeno per le vie ed i vicoli di Napoli e dei paesi della provincia vesuviana; il nonno, buon'anima, di un mio cliente gli era amico; conservò lo sguardo del provinciale irpino qual'era, la curiosità che vede le cose come per la prima volta: il modo in cui, forse, le sperimentano i bambini nello stupore della scoperta. Pensa la zona vesuviana vecchia maniera, senza elettronica, televisione e con un cinematografo ottico-meccanico che faticava a importarci musica e spettacolo americani sempre a misura d'uomo. La sala Iride di Piazza S. Croce (poi Savoia) era la nostra fucina dei sogni d'oltre oceano. Una sorta di "Cinema Paradiso" ante litteram.
Carlo Del Balzo, come molti sanno, nacque a San Martino Valle Caudina il 1853 e si laureò in Legge, ma abbandonata la professione per motivi di salute, fu principalmente un brillante giornalista. Io spesso mi rileggo "Napoli e i Napoletani". La sua prosa è oleografica, retorica, ma è dolce, infiorata come le case giardino del viceregno ancora eststenti nella Torre del Greco de' 'A Stella "Carmilina Olimpiade", con dedali e androni: con muretti vestiti a festa con parietaria, porte e portelle e vasetti di garofani e rose, ecologico contorno per le camicette di seta da Resina, che proteggevano come seriche cinture di castità i vecchi seni floridi delle nostre nonne allora ventenni, sicuramente privi di silicone per gli occhi assatanati dei nostri progenitori, mai sazi.

Il "popolo", questo termine ci ricorda il passato, le "masse proletarie" di Hugò, i saggi di Capasso su Masaniello. Oggi pure nella nostra Torre si parla di "cittadini" e non più di popolani.
Durante la festa torrese di S. Gaetano (*) del 7 agosto c.m., ripresa dopo 50 anni, "Rafele 'u trumbone" mi ha sparato a bruciapelo tre, quattro aneddoti del "popolo torrese" pre-post-bellico a dir poco raccapriccianti, di personaggi realmente esistiti, con tanto di cosiddetto nome e cognome.
Ne accadevano di fatti folli a Torre, (a prescindere dai torresi, mancati emigrati, liqueatti nell'acido): la sordomuta che ammazzò il marito perché non la sentiva e non l'ascoltava mai; e un'altra donna che divise la testa in due con l'ascia ad un uomo che semplicemente la dileggiava. Durante il processo la donna così si difese:
- Che volete da me, sono cinque anni che ghielo dicevo: "quacche gghiuorno 'i chiste te spacco 'a capa".
Pure la cronaca è letteratura. Ma la sanità o la malattia di un gruppo etnico dipende pure dal lavoro predominante che fa; dalla natura e l'insidia del terreno su cui vive che può, col tempo, inoculare nel DNA specie di individui presisposti tendenze all'ansia o alla serenità, all'equilibrio o al bisogno di compensarsi sulle sventure degli altri, spesso facendo ora del nichilismo mistico, ora dell'invidia e della gelosia un modus vivendi ibrido. Un paese di navigatori del mare procura certamente benessere economico; ma può parzialmente "importare", dal mondo intero, danaro o derrate prelibate, mestieri, o malattie veneree endemiche, "virtù" o "vizi", solo che i vizi sono l'unica cosa che s'imparano senza maestri.

Luigi Mari

(*) http://www.torreomnia.it/localita_contrade/sgaetano/set_fra_gaetano.htm


ID: 2409  Intervento da: Luigi Mari  - Email: info@torreomnia.com  - Data: sabato 13 agosto 2005 Ore: 18:57

Insomma,

ma vedete un po cosa tocca fare ad un moderatore: reggere il moccolo. Non sapevo che te l' "intendevi" col tuo stesso angelo custode. Peccato che gli angeli siano asessuati. Ma chi l'ha detto?
Ciccio, a settembre prevedo buone cose per il forum. Intanto se me lo concedi Ti nomino il Baronetto del forum. Sei un buon torrese. L'ho detto e lo ripeto: Torre del Greco non ti merita.
Se faccio in tempo prima di partire desidero risponderti su questa discussione.
Buona vacanza a tutti i torresi, buoni e cattivi.

Giggggino


ID: 2408  Intervento da: ciccio raimondo  - Email: ciccioraimondo@libero.it  - Data: venerdì 12 agosto 2005 Ore: 18:04

Caro angelo custode ti ringrazio per le tue buone parole.
Vorrei però precisare che mi sono limitato a presentare il racconto dell’artista napoletano Adolfo Narciso. Non sono io l’autore del racconto per cui la somiglianza a Marotta andrebbe riferita a quest’ultimo. Il nostro nacque a Napoli nella seconda metà dell’ottocento ed è stato testimone e protagonista della cultura popolare napoletana della fine dell’ottocento e di tutta la prima parte del novecento. Mi piacerebbe presentarlo, questo autore, agli amici del forum perché è certamente una voce originale di quel periodo. Autore minore ma non insignificante, per lo meno per noi meridionali e napoletani della provincia..
Fatti vivo angelo! Ciccio


ID: 2403  Intervento da: messaggio libero  - Email: email@inesistente.00  - Data: venerdì 12 agosto 2005 Ore: 13:23

Bravo Ciccio,
sai chi sono, non apparirò mai più sul forum col mio vero nome, i motivi li conosci.
Un bel "pezzo", questo, l'approfondirò, mi ricorda le letture di "Itinerari torresi" della mia prima giovinezza, quando ancora mi illudevo di confidare in Torre. Sei forte con la narrativa, quasi sfiori il Marotta.
Purtroppo si è torresi fino che si muore, nel bene e nel male. Se avrò tempo, in seguito, esprimerò tutto il mio parere su questo che lo sento come un aggettivo.
Parlo per cripti, scusami, ma so che Tu, tramite gli antefatti, sai decodificare.
Sto in un Internet Cafè a Lione.
L'angelo custode


ID: 2401  Intervento da: ciccio raimondo  - Email: ciccioraimondo@libero.it  - Data: venerdì 12 agosto 2005 Ore: 07:51

Il lettore mi scuserà per i refusi tipografici che si incontrano. Ieri pomeriggio mi sono fatto una bella sudata per digitare il testo e non ho avuto il tempo di rivederlo. Ciccio

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T O R R E S I T A'

Autore unico e web-master Luigi Mari

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