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Argomento presente: « Mons. ARIEL ALVAREZ VALDES » | |||||
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ID: 2737 Intervento
da:
Penza Francesco
- Email:
francopenza@interfree.it
- Data:
giovedì 27 ottobre 2005 Ore: 22:37
GEORGIONA Georgina appena nata, ma Georgiona dopo, nacque nel popoloso quartiere di Pianura una cinquantina d’anni fa. La sua famiglia per tirare a campare spaccava la lira, come si suole dire nel popolo. Crebbe e si nutrì soltanto di carboidrati, di pasta e pane; la carne o il merluzzo non vide mai. Alta un metro e mezzo, pesava cento e più chili. Avuto il primo mestruo, sposò l’uomo, che violentava le sue bambine e se la giocò a carte. Da tredici anni a venti subì “la violenza” mille volte, nessuno la difese e l’aiutò. Lei camminava per la città con i figli, che non potevano nutrirsi. Un anziano con la madre paralitica le dette ospitalità e, dopo la morte, le lasciò l’appartamentino. Cominciò ad elemosinare. L’ennesimo uomo si presentò, la possedette e si fermò nella sua baracca, ma era già sposato e malato di diabete mellito, alimentare. Geloso e manesco, l’amante controllava la ragazza, senza alcun sostentamento. Uno dei figli cominciò la professione del ladro e finì in galera. Un altro morì sul lavoro mentre preparava i fuochi d’artificio. Lei si prostituì, tentò il suicidio, s’ubriacava e s’ammalò d’epatite virale. L’ultima figlia, uscita dal collegio, si presentò alla madre, chiedendo ospitalità per sé e per la sua amante. Si, era omosessuale e pretendeva che la madre assistesse alle sue prestazioni. Fu cacciata da casa. La sorella di Giorgina, il figlio con la moglie furono uccisi in un agguato di camorra. Oggi la donna frequenta l’Ambulatorio della Carità, raccoglie abiti, cibi, qualche soldo e una parola buona. Vi siete chiesti quante Giorgine sono nel mondo? Senza casa, senza soldi, malate, che finiscono nella rete dell’organizzazione mondiale della prostituzione. Aiutiamole, non aspettiamo che la globalizzazione sia solo politica e si abbandonino gli indigeni. Grazie a nome di Georgina e delle tante Giorgine, che affollano il mondo. LE ULIVE NERE Cercavo giorni fa di spiegarmi il piacere per le ulive nere da cosa origina. Ebbene sono venuto a capo del desiderio. Nel 1947, rientrato da Greci, fui ospite con i miei genitori e mio fratello di una zia, sorella di mia madre. Dopo pochi mesi, mia zia decise di risposarsi con un vedovo con cinque figli. La convivenza divenne impossibile e dopo un violento litigio mio padre ed io andammo via. Ci recammo prima in una cantina a mangiare quattro ulive, un pezzo di pane e un bicchiere di vino rosso e poi entrammo in un ospizio cittadino. Durante la notte sul muro vedevo le ombre dei vecchietti che dormivano e russavano e sognai le quattro ulive nere, che ricordo ogni volta a tavola nel piatto. Non ho rimosso il problema, ma non mi interessa perché non nuoce ai Capi di Stato, ai commendatori della Repubblica, ai nobili. Francesco Penza |
ID: 2736 Intervento
da:
messaggio libero
- Email:
email@inesistente.00
- Data:
giovedì 27 ottobre 2005 Ore: 22:14
L’URLO DEL SILENZIO Miei cari torresi, il 21 luglio ore 16 la chiesa di S. Rita era affollata, tutti tacciono, gli sguardi sono rivolti all’altare, dove sulla nuda terra c’è la bara di Minuzzo, Carmine Capasso. Vorrei gridare il mio dolore, ma un silenzio, rotto appena da note musicali incombe nella Parrocchia di P. Antonio D’Urso. Minuzzo, hai raggiunto il padre, hai smesso di soffrire e ci hai insegnato col tuo silenzio che le tue sofferenze le hai offerte a Dio uomo. Il tuo insegnamento resterà in noi e ti ricorderemo come il cantore delle cose napoletane in buona parte dedicate al Rione dove sei nato e vissuto; chi passando per il vicolo “Frummelle” o il vicolo dei “Femminielli” potrà scordare le descrizioni poetiche dell’ambiente, degli usi, dei costumi, delle attività, dei personaggi; oppure passando per la friggitoria di fronte al cinema Gloria (oggi abbandonato) non si fermerà col pensiero a comprare le zeppole, i panzarotti, gli scagnozzi, come facevamo noi? La tua dipartita ha lasciato me, compagno di sediolone, attonito: mai si poteva pensare che un oscuro male ti vincesse. Affiorano alla mente tanti ricordi e la tua poesia ti fa vivere tra noi, perché la tua è solo un’assenza fisica; quella spirituale non ci sarà e quando sentiremo il bisogno di ascoltarti e colloquiare con te, leggeremo le tue poesie. I poeti non muoiono mai. Raffaele Marzullo |
ID: 2735 Intervento
da:
Penza Francesco
- Email:
francopenza@interfree.it
- Data:
giovedì 27 ottobre 2005 Ore: 22:08
Risponde Padre Alvarez Valdes Ariel dall’Argentina Estimado senor Franco Penza: He recibido una “carta abierta” suya, dirigida a mi. Ante todo no sé si la misma fue publicada en algùn periodico, o revista, o si me la dirige personalmente. En la carta me pide que escriba “due righe per aprire il cuore alla speranza”. No comprendo a cuàl esperanza, ni tampoco cuàl es la desesperanza. No comprendo a quìen tengo que escribir, a qu’en debo dirigirme, ni cuàl es el objetivo de las dos lineas que me pide. De modos modos, es dificil en dos lineas abrir el corazòn de la gente a la esperanza. Un abrazo Ariel Alvarez Valdes |
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