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Argomento presente: « ORIGINI ODIO-AMORE »
ID: 350  Discussione: ORIGINI ODIO-AMORE

Autore: Luigi Mari  - Email: gigiomari@libero.it  - Scritto o aggiornato: venerdì 31 dicembre 2004 Ore: 12:09

>Salvatore Argenziano scrive:
>...Ti ringrazio ancora ma la prossima volta chiamami Tatore u turrese e non ‘o turrese pecchè io songo r’a Torre e no napulitano. Che delusione!
>Neppure gli amici leggono quelle quattro stroppole che vado scrivendo sulla lenga turrese. Almeno mi dicessero hai sbagliato tutto. Ci ripenserei.

Luigi Mari risponde:
Salvato' Tu sei il Vate, ripeto Vate (e Dio mi fulmini se ho pensato ad una r finale). Tutto quello che dici tu sulla "lenga turrese è vangelo". Deferente ti chiedo perché la u di (u turrese) non è precetuta dal troncamento che sostituirebbe la l mancante di lu turrese, come, ad esempio si scrive 'o napulitano (lo napulitano) Come pure r'a Torre (della) in napoletano d''a?

Ma veniamo a noi. In primo luogo non è vero che non leggo quelle che Tu chiami "stroppole", ma che, invece, sono un faticoso lavoro di filologia cognitiva, per non scomodare l'esegesi. Tu che hai esordito in Torreomnia sventrando, nelle reminiscenze, i tuoi precordi, trivellando il vernacolo corallino liofilizzandolo, quindi, nella sua essenza per poi ricomporlo come elisir onirico, come nettare letterario, panacea, nutrimento dello spirito vesuviano che ha smarrito il suo tramontato precipuo caratteriale etico, mistico e sensuale coesistenti.
Hai rivelato pubblicamente, nella sua acerba, verace autenticità, la frase torrese per Te iniziatica dei due imberbi "vasciammaresi": "se ne pozzeno fa' tutte attuppaglie p''a fessa", immediatamente dopo aver scoperto un furto di biancheria perpetrato ad una povera popolana di "Mmieze Santa Maria".
Una frase apparentemente triviale, scurrile, oscena, ma che nella sua essenza è tuttalpiù plebea e inelegante, da una certa ottica, ma che ostenta come un vessillo la trovata geniale del termine di paragone insuperabile, pur se ingenuo ed improvvisato. Non c'è imprecazione, né minaccia, nè offesa, tutto si riduce all'epiteto nella sua fonetica, e lascia una tale vastità di interpretazioni personali da cogliere quasi un senso religioso nella frase, perché muliebre, materna, generativa nel senso biologico della vita.
Questa espressione ha scatenato in Salvatore Argenziano tutte le molle sensitive; e quale miglior sprone per approfondire gli stuti su quella che Egli chiama " 'a lenga turrese". Un meccanismo inconscio, nella fattispecie, che accantona la sensualità e l'ingiuria nell'espressione citata per dare priorità all'archetipo, cioè al negativo storico che ha accompagnato il flusso periodico femminile tra falsi mistici e superstizioni, fino a precludere, sino a qualche decennio fa, l'istruzione preventiva all'evento naturale dalle mamme alle dodicenni.
I lemmi che Tu cogli, studi, manipoli, conii, caro SALVATORE U TURRESE, diventano reliquie sotto la Tua penna e sono quindi sacrosanti; omettere un troncamento, variare una vocale, addirittura pronunciarla male è sacrilegio, equivale a sfigurare il viso ad un proprio figlio.
In secondo luogo l'amore e l'odio sono lo stesso sentimento all'estremo opposto. Amiamo le nostre radici, ma nel contempo le temiamo, ma è più comodo dire le snobbiamo. La parolina in napoletano ci scappa perché il vernacolo torrese, per così dire, vivo, ci ripone giocoforza nel rango dei plebei, ci relega nell'angolo dell'anticultura in tutta la sua pregiudiziosa logica comune popolare.
Scriviamo il torrese virgolettato, ne facciamo materia di studio, ma il vero torrese "vasciammarese" quello biascicato, farcito di francesismi, arabismi e comunque stranierismi delle dominazioni nessuno di noi "cultori" lo parlerebbe liberamente ed apertamente in pubblico, in un dibattito, in una conferenza, senza sentirci impoveriti di quello che ci ha dato l'Universita, l'iperdiffusione elettronica, l'Italia del nord, la maturità.
Il vernacolo torrese verace è solo la nostra infanzia tramutata in lemmi, è la transustanzazione dell'alito di mamma in parole, in suoni, in musica in sordina, in colonna sonora dei nostri prima anni di vita, costipati nelle fasce come oggetti si studi egittologici.
Non è vero Tato' che non ti leggo, è come se avessi detto che non guardo mai le foto di mia madre solo perché quarant'anni fa il destino non me l'ha fatta più vedere.
Luigi Mari


 
 

ID: 356  Intervento da: Luigi Mari  - Email: gigiomari@libero.it

Aniello Langella scrive:

>"....transustanzazione dell'alito di mamma in parole..." ! SEMPLICEMENTE BELLISSIMO. Ciò che dice il Mari è sintesi e summa di un discorrere.
>Grazie ,... grazie ancora per il tuo modo di pensare ed agire.
Luigi Mari risponde:

Che differenza passa tra chi scrive e chi legge? Mi viene un paragone scomodo ma calzante: la variazione è simile a quella che intercorre tra un omosessuale attivo ed uno passivo. E' la simbiosi. Non c'è un connubio artistico, poetico, senza simbiosi. Gli scrittori, senza l'assimilazione di lettori con loro pari requisiti, (pur se spesso passivi), potrebbero gettare la loro penna nello stagno.
Poi ci sono le "fisse" personali tra cultore e cultore, (perché dirci "intellettuali" potrebbe suonare immodesto al criticone di turno), fisse che contraddistinguono un lettore da un'altro. C'è chi coglie i contenuti generali, chi invece, come Salvatore, non si sposta un millimetro dalla struttura glottologica, pur essendo una persona letterariamente sensibile; e chi, per fortuna, coglie la poesia delle frasi o delle proposizioni. La vita è bella perché è varia. Siamo un popolo fantasioso, per questo in Italia abbiamo quaranta partiti politici.
E' l'assimilazione che determina l'opera d'arte. L'autore conia e propone costrutti e molto spesso ne scopre la validità col giudizio del pubblico. Insomma l'autore è bravo a scrivere ed il lettore è bravo a leggere. L'uno compensa l'altro. E' come l'uomo e la donna: il capolavoro della nascita è impensabile senza partner umani. Lo squallore delle provette rivela solo la dannazione per l'impotenza dell'uomo circa la sua irreversibile finibilità.
In ultima analisi la frase che hai colto, Aniello, è più Tua che mia, perché io ho concepito il bozzolo, ma Tu hai colta delicatamente sul palmo della mano la farfalla, ed hai alitato sulle sue ali variopinte per farla librare verso la vita.
Cara, dolce bistrattata retorica.
Luigi Mari


ID: 353  Intervento da: Dott Aniello LANGELLA  - Email: aniello.langella@tiscali.it

Ho espresso più volte i miei apprezzamenti entusiastici e profondamente positivi per L'OPERA EL MARI , per la sua tenacia e per le sue iniziative CULTURALI,... ma vedo in questo scritto ancor di più la conferma che trattasi di un uomo che conosce benissimo oltre che la materia che tratta, ... anche e soprattutto L'ANIMO UMANO. Il Mari in questo scritto mostra di leggere oltre il testo, conosce ed interpetra l'oggetto del discutere come vero conoscitore della psiche e del comportamento che ad essa è subordinato.
"....transustanzazione dell'alito di mamma in parole..." ! SEMPLICEMENTE BELLISSIMO. Ciò che dice il Mari è sintesi e summa di un discorrere .
Grazie ,... razie ancora per il tuo modo di pensare ed agire.


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