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Argomento presente: « La Grafia della Lenga Turrese » | |||||
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ID: 418 Intervento
da:
Salvatore Argenziano
- Email:
salvatore.argenziano@fastwebnet.it
04.01.2005. E mo chiammateme pure scassambrella ma si tenite nu poco ‘i pacienza, liggiteve st’ati stroppole. Suono indistinto e desinenze. Quando iniziai ad occuparmi del dialetto torrese mi scontrai subito con la grafia degli articoli, diversi da quelli del dialetto napoletano. Un certo ragionamento mi aveva portato alla eliminazione dei segni di aferesi. Chiesi consigli a illustri studiosi del napoletano ma quasi tutti mi suggerivano di seguire la tradizione napoletana. Fu la convinzione, condivisa da illustri dialettologhi, che il torrese è un dialetto dello stesso ceppo del napoletano ma non figlio del napoletano a farmi decidere per una scelta di grafia più semplice di quella in uso per il napoletano. Detto questo mi sono sentito svincolato da tradizioni grafiche che non condivido. Privo di precedenti letterari torresi ai quali riferirmi, ho fatto le ipotesi che ritenevo più attendibili, pronto a rivedere le conclusioni alle quali sono giunto, in presenza di argomentazioni plausibili e convincenti. Vorrei far notare che la lettura di alcune storie da me scritte per sperimentare la grammatica torrese risulta di più facile comprensione per l’abbandono dei tanti segni diacritici del napoletano e per la presenza delle desinenze giuste. Per la lettura a voce occorre conoscere quelle poche regole di pronuncia del dialetto ma, ripeto quanto già detto altrove, se non è possibile leggere l’inglese, il francese ecc. senza le premesse della fonetica, per quale ragione si pretende di leggere i dialetti campani senza un minimo di conoscenze di base? Scrivendo la nota sulla vocale “Ä”, la definii ottava dell’alfabeto torrese. Allora non avevo messo in conto un’altra vocale dell’alfabeto napoletano e torrese, la (!) cosiddetta muta che incontriamo in quasi tutte le parole napoletane. In realtà non si tratta di vocale muta ma di un suono indistinto, valido per le vocali (a), a spas(a), come per la (e), u per(e), così per la (i), i pisc(i), e per la (o), u puzz(o). Raramente si trova per la vocale “u”. Lo stesso suono indistinto si ha per alcuni dittonghi, quale (io), l’agl(io), oppure (ia) a magl(ia), (ie) i pprecch(ie), ecc. L’equivalenza di questo suono. lo stesso per vocali e ditonghi diversi, consente ai poeti napoletani di accordare le rime sulla sola pronuncia, prescindendo dalla grafia delle desinenze. Questo suono particolare non appartiene all’alfabeto italiano, ma lo si ritrova in altre lingue. In francese è la “e” finale di parole quale “mère”, madre, pronuncia mèr(e), e “père”, padre, pronuncia pèr(e) oppure in inglese in parole quale “live”, vivo, pronuncia laiv(e), e “file”, archivio, pronuncia fail(e). Non possiamo definire muto questo suono, data la sua consistenza gutturale. La pronuncia della parola “père” in francese è pèr(e) con un suono indistinto finale. Se la “e finale fosse muta, pronuncieremmo “per”, come la pronuncia italiana del segno di moltiplicazione. In italiano diciamo dottore e dottor Pasquale quando eliminiamo la vocale finale, troncando la pronuncia sulla erre. In napoletano il dottore diventa u duttore e la pronuncia diventa u duttor(e), dando valore fonico alla “e” finale che non è muta. Ma se scriviamo u duttor, senza la “e” oppure u duttor’ con l’apostrofo, la lettura diventa aleatoria, affidata alla pre-conoscenza della lingua. Signò ce sta u figlio vuosto Gianni?. Chi? U duttore Gianni? E se chi legge è bolognese pronuncerà duttor Gianni. come dottor Balanzone. Quanto sopra è ovvio e risaputo dagli scrittori napoletani ma non da tanti miei concittadini che continuano a scrivere le parole torresi troncando la sillaba finale, aggiungendo al più un segno di apostrofo. Ciò va a discapito della esatta comprensione grammaticali delle parole che, prive di desinenze, non risultano individuabili nella persona nei verbi e nel genere nei sostantivi. Questo delle desinenze è un fenomeno molto più vasto e diffuso nella letteratura napoletana. La seconda persona singolare della coniugazione, quasi sempre, ha la desinenza “i” ma la letteratura registra sempre la “e”: Tu nzagne, tu miette. Così accade anche nei plurali maschili delle parole: Duie sciure frische. Qual ‘è l’origine di questa modalità di scrittura? Ho la sensazione che tra i letterati napoletani non fosse ritenuta plaisibile la pronuncia indistinta per la “i”, come avviene per la “e”. E volendo riprodurre la parlata popolare, adottassero la “e” come segno grafico universale per il suono indistinto di cui sopra. Questa grafia non è caratteristica degli ultimi due secoli letterari ma risale ai primordi della letteratura napoletana. L’omaggio alla tradizione classica ha reso intoccabili, senza discussione, le regole del passato. Noi torresi non abbiamo la tradizione e non ci sentiamo obbligati al rispetto di quella napoletana. (Vedi la nota sulla grafia degli articoli). La parola “zizzeniello”, ugola, di chiara derivazione da zizza e, è scritta “zezzeniello” nella tradizione letteraria napoletano. Ciò per riprodurre la pronuncia (e) indistinta delle prime due vocali. Nella grafia torrese la scrittura è zizziniello e la pronuncia resta z(i)zz(e)niéll(o), senza sacrificare la derivazione etimologica da “zizza”. La parola “avvilimento” è tradotta in napoletano “abbelemiénto”, il che consente la pronuncia indistinta delle pretoniche, abb(e)l(e)miént(o). Questa grafia prescinde dalla derivazione etimologica che è dal latino “vilis” col prefisso “ad”. Per la grafia torrese si propone “abbilimiénto” che, per quanto detto sopra, comporta la lettura abb(i)l(i)miént(o), perfettamente uguale alla pronuncia classica del napoletano ma rispettosa della derivazione etimologica. |
ID: 375 Intervento
da:
Salvatore Argenziano
- Email:
salvatore.argenziano@fastwebnet.it
Caro Giggino. Se tu mi rispondi così mi tagli le gambe. Niscuno è nato mparato ed io non ne sapevo niente della Lenga Turrese. Solo il confronto con gli amici, anche con te, ha potuto far scaturire qualche considerazione. Tutto da verificare. Tu dimmi dove non sei d'accordo e già questo sarà uno sprono per approfondire l'argomento. E nun te ncazza' quanno te rico ca songo u turrese. E poi non pensare ca penzo sulo a Lenga. Mi piacciono tante altre cose che ho da fare nel futuro ma nun ti pozzo ricere. Sono certo che ci sentiremo ancora per cose diverse per i prossimi dieci lustri di vita che ti auguro con affetto. Tore u turrese. |
ID: 370 Intervento
da:
Luigi Mari
- Email:
gigiomari@libero.it
Cosa rispondere ad una lezione glottologica così ben articolata, dove ogni tassello è al suo posto con meticolosa precisione. Salvatore propone una discussione sull'argomento, ma le discussioni prevedono opinioni diverse. Noi abbiamo solo da imparare. :^:] Apparentemente Salvatore Argenziano rifulge per lo studio della "lenga turrese" perchè questo è l'argomento che più lo intriga e più lo attizza, ma, credete, egli è un consolidato narratore anche se più poemista che prosatore. Provate a leggere i suoi "Ricordi" nella sezione Cultura/opere. Non solo, per modestia, Egli non dice di essere stato un provetto ingegnere. Un giorno nella mia bottega un cliente, scorgendolo in Torreomnia, brofonchiò: "U vide a cchisto? Ha costruito meza Bologna"!. Tato', hai ascoltato i miei sermoni telefonici? In questi giorni hai mangiato pochi raffiuoli, mustacciuoli, ciocele e capitone. (Capitone, chiaramente, con l'apparato uditivo). Sai all'età nostra "guardammece 'a palla".. Tuo devoto estimatore: Luigino u nguacchiacarte. |
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