Puoi anche Tu inserire qui
un nuovo
argomento

  Torna all'indice
Comunità

Puoi anche Tu intervenire a questo argomento o invia un post alle e-mail private

Argomento presente: « La Grafia della Lenga Turrese »
ID: 355  Discussione: La Grafia della Lenga Turrese

Autore: Salvatore Argenziano  - Email: salvatore.argenziano@fastwebnet.it  - Scritto o aggiornato: martedì 4 gennaio 2005 Ore: 08:53

31,12,2004
Caro Gigi,
rispondo alla tua ORIGINI ODIO-AMORE, aprendo una discussione sulla GRAFIA della Lenga Turrese.
Tu cogli ogni occasione per dire bene di me. Non si saranno addunati che ti pago profumatamente?. Per l’anno prossimo ti darò il doppio di quest’anno.
Venimmo a nuje.
L’apostrofo, l’aferesi e tutte gli altri segni che quelli che parlano bene chiamano segni diacritici, a mio giudizio songo nu guaio gruosso della grafia napoletana. La lingua italiana si è liberata di queste discendenze e, una volta storicizzata una forma, ne ignora la provenienza. “I”, articolo maschile plurale, deriva da lontano da “illi” e, più da vicino, da “li”. L’italiano non perde tempo e adotta “i”, senza bisogno di ricordarsene sempre la provenienza.
A questo proposito scrissi una nota, tentando una dimostrazione/giustificazione di questo assunto. Illustri napoletanisti mi hanno detto che è tutto vero ma, ma, …. la tradizione vuole ecc ecc. Furono le parole del professore De Blasi a capacitarmi di insistere. Il Torrese è un altro dialetto, fratello e non figlio del Napoletano e se non abbiamo tradizioni al riguardo, tanto vale partire col piede giusto e snellire la grafia, senza rischio di confusione e senza complicazioni. Quando tu scrivi a macchina “attuppaglie p''a fessa” poni due segni diacritici uguali, il che è inesatto, (errore veniale). Il primo è un apostrofo e sarebbe da indicare con il simbolo (’), con la coda a sinistra. Il secondo è segno di aferesi e sarebbe (‘), con la coda a destra. (Spero che la formattazione del Forum mi conservi i segni). Tutto ciò è proprio nu scassamiento e ben venga una semplificazione ragionata e logica. Questo è quanto ho tentato di proporre nella mia nota sugli articoli torresi.
Scusami per la lungaggine ma mi dai l’occasione per riproporre quella nota e per discuterne con tutti gli amici che lo vorranno.
Articoli e Grafia.
Il proposito iniziale nell’affrontare il problema della scrittura in dialetto torrese è stato quello di fare riferimento alla Grammatica della Lingua Napoletana, oggi ben codificata per la grafia.
Quanto sopra mi è stato anche consigliato da eminenti studiosi del Napoletano, quali sono Luigi Imperatore e Francesco D’Ascoli.
Ho accettato con riconoscenza e buona volontà i suggerimenti che mi venivano da chi si dedica da una vita alla problematica dello scrivere e parlare napoletano ma, per la grafia degli articoli, qualcosa mi ha frenato.
Nell’eseguire un confronto tra gli articoli italiani, quelli napoletani e quelli torresi, questi ultimi redatti in analogia a quelli napoletani, come consigliatomi, mi è parso notare qualche incongruenza e ho ritenuto opportuno approfondire l’argomento.
La visione degli articoli allineati in tabella, evidenzia la identità del maschile plurale italiano -i- e di quello torrese -i-, figli dello stesso antico -li-, la qual cosa non sussiste con il napoletano -’e-.
Ipotesi iniziale.

Italiano il la i le
Napoletano ‘o ‘a ‘e ‘e
Torrese?: ‘u ‘a ‘i ‘i

Tra i problemi di una perfetta grafia della lingua napoletana c’è sempre stato quello delle aferesi e degli apostrofi,
La riduzione al minimo di questi segni, in particolare del segno di aferesi, quando conseguenza di un logico e convincente ragionamento, costituirebbe una notevole semplificazione nella scrittura in genere e, in particolare, a mezzo di computer.
L’elencazione alfabetica automatica di vocaboli risulta falsata quando il termine contiene il segno di aferesi.
Accogliere l’analogia con l’italiano dell’articolo /i/, che non presenta aferesi, e non con il napoletano /’e/, potrebbe significare tradire la madre lingua per la consorella toscana.
Ma il napoletano è veramente madre lingua del torrese oppure sono sorelle della stessa antica lingua campana?
Il torrese è la corruzione provinciale del napoletano oppure è la stessa lingua originaria che non ha avuto l’evoluzione cittadina? Si apre qui uno studio troppo profondo per le mie cognizioni e mi limiterò a porne l’ipotesi e le premesse, limitatamente alla ricerca sugli articoli. (A questo proposito rimando alla lettera del professore Nicola De Blasi che ho riportato alla pagina 01. “Viaggio sentimentale nella parola”).
Articolo maschile singolare.
La derivazione è dal latino ille illa illud.
Il professore Nicola De Blasi nel prezioso per me libro “Il napoletano scritto e parlato”, opera di De Blasi e Luigi Imperatore, parla di testi del trecento nei quali compare la forma -lu-.
Nel cinquecento e anche in seguito tale forma si trova spesso, in particolare nella poesia popolare:
(Fenesta ca lucive, 1500): S’affaccia la surella e me lu dice, E ‘nnargentava la terra e lu mare.
(Muttietti a fronna ‘i limone): S’è butato lu masto de la fera, - Mo ce ne iammo a lu lietto galante - Lu viento abenta, e i’ n’abento maie. ‘Mmiez’a lu mare vurria i’ a natare.
(Villanella del 1545): passai lu tiempo ca Berta filava.
(La zita, isola d’Ischia): se mangiaje lu picciungino.
(Canto popolare di Procida): ‘I’ quant’è bella l’aria de lu mare.
(La celebre ballata del guarracino): Lu Guarracino che gghieva pe’ mare.
Questa forma -lu- si ritrova frequentemente nei recuperi poetici popolari di Roberto De Simone e io non ho motivi per non accettarla quale autentica della parlata antica.
Infatti questi documenti hanno la caratteristica comune di essere mottetti, villanelle, ballate e canzoni popolari. Ciò mi lascia supporre che nella lingua parlata fosse comune il -lu-, specie nella provincia, e che nel linguaggio scritto fosse stata adottata la forma -lo-, in analogia alla lingua dotta italiana.
Lo stesso avvenne per l’articolo indeterminativo -nu-, divenuto -no- in letteratura ma tornato -nu- in seguito.
Ma se a Napoli l’articolo maschile singolare prende la fonia -lo-, poi contratta in -’o-, certamente non saranno state le letture di testi letterari a influenzare la parlata popolare.
Una ipotesi, forse azzardata, potrebbe essere quella della tendenza all’apertura vocalica dei napoletani. Infatti la -u- di -lu- retrocede verso la -o-, di -lo-, e quindi -’o-.
Al plurale maschile la -i- di -li- retrocede verso la -e- di -le-, e quindi -’e-, con la conseguenza che l’articolo plurale maschile -’e-, sembra avere una inspiegabile discendenza femminile.
Questa tendenza all’apertura vocalica è stata già riscontrata nella scomparsa dalla parlata napoletana della -á- chiusa, (accento acuto, sostituito dalla dieresi /ä/ per evidenziare la differenza), presente ancora nella parlata torrese con funzione grammaticale: (Vedi: Ä. L’ottava vocale dell’alfabeto torrese).
Quindi la -u-, torrese e campana in generale, non sarebbe una corruzione provinciale dal napoletano -’o- ma la forma parlata più antica dell’articolo singolare maschile.
Seguire, quindi, un modello napoletano di grafia per il dialetto torrese mi sembra più che corretto ma non fino alla estrema conseguenze di accettare senza esame critico quelle complicazioni grafiche derivate alla sorella lingua napoletana in conseguenza di trasformazioni fonetiche che il torrese non ha avuto. Sarà bene, allora, dare un occhio al napoletano e l’altro all’italiano.
Articolo maschile e femminile plurale.
Alcune citazioni dalla letteratura.
(Fenesta ca lucive, 1500): Mo’ duorme cu’ li muort’accumpagnata. L’aucelluzze cu’ li ppalummelle.
(Velardiniello, 1500): poi gévano ad affrontar li mammalucchi.
(Villanella del 1500): Li ‘ffigliole che n’hanno ammore.
(G.C.Cortese, 1600): li sische t’averriano scervellato.
(Leonardo Vinci, 1700): Songo li femmene.
(Canto antirivoluzionario del 1799): A lu suono de campane / viva viva li pupulane
La letteratura documenta la forma -li-, adottata nella lingua italiana e dagli scrittori napoletani, per secoli, indifferentemente per il maschile (li mammalucchii) e il femminile (li ffemmene).
Da -li-, per aferesi si passa a -i-, senza alcun segno grafico a ricordare la perdita della elle, nella lingua italiana, solo per il maschile.
Nel dialetto torrese -i- per maschile e femminile. (Ricordiamo che, quasi sempre, la differenziazione del femminile plurale si ottiene con il raddoppio della consonante iniziale).
In conclusione credo che lo stesso possa ben dirsi per il torrese e adottare la forma -i- senza segno grafico di aferesi, cosiddetto apostrofo iniziale, sia per il maschile che per il femminile.
Giunti a questo punto mi sembra, almeno in prima istanza, proponibile una ipotesi di scrittura degli altri articoli in torrese senza i segni di aferesi iniziali, anche per la insussistenza della confusione tra le vocali con significato di articolo -a-, -u-, -i-.
La confusione è possibile solo per la -a- articolo e la -a- preposizione. ma l’inequivocabile significato si evince dal contesto del discorso.
Quindi non seguire l’esempio della grafia storica napoletana -’a-, -’o-, -’e- che, purtroppo per gli scrittori napoletani, presenta più possibilità di confusione con altri significati dei termini.
In tale ipotesi si evitano i doppi segni contigui di apostrofo e aferesi di cui è piena la letteratura napoletana quando si scontra con le preposizioni articolate. Esempio: -p’ ‘e-, -p’ ‘a-, -d’ ‘a-, -d’ ‘o-, ecc.
Faccio notare che per avere segni diversi di apostrofo e aferesi (senza ricorrere ad artifici di doppia scrittura e cancellazioni, possibili in Word ma non in Front-page), ho dovuto dare uno spazio dopo l’apostrofo tra la -p’- e la –‘e-. In caso contrario avrei avuto -p’’e-, con segno identico per apostrofo e aferesi. Ma lasciare uno spazio dopo l’apostrofo è decisamente scorretto.

Formulazione che si propone.
Italiano il la i le
Napoletano ‘o ‘a ‘e ‘e
Torrese: u a i i


 
 

ID: 418  Intervento da: Salvatore Argenziano  - Email: salvatore.argenziano@fastwebnet.it

04.01.2005.
E mo chiammateme pure scassambrella ma si tenite nu poco ‘i pacienza, liggiteve st’ati stroppole.
Suono indistinto e desinenze.
Quando iniziai ad occuparmi del dialetto torrese mi scontrai subito con la grafia degli articoli, diversi da quelli del dialetto napoletano. Un certo ragionamento mi aveva portato alla eliminazione dei segni di aferesi. Chiesi consigli a illustri studiosi del napoletano ma quasi tutti mi suggerivano di seguire la tradizione napoletana. Fu la convinzione, condivisa da illustri dialettologhi, che il torrese è un dialetto dello stesso ceppo del napoletano ma non figlio del napoletano a farmi decidere per una scelta di grafia più semplice di quella in uso per il napoletano.
Detto questo mi sono sentito svincolato da tradizioni grafiche che non condivido. Privo di precedenti letterari torresi ai quali riferirmi, ho fatto le ipotesi che ritenevo più attendibili, pronto a rivedere le conclusioni alle quali sono giunto, in presenza di argomentazioni plausibili e convincenti. Vorrei far notare che la lettura di alcune storie da me scritte per sperimentare la grammatica torrese risulta di più facile comprensione per l’abbandono dei tanti segni diacritici del napoletano e per la presenza delle desinenze giuste.
Per la lettura a voce occorre conoscere quelle poche regole di pronuncia del dialetto ma, ripeto quanto già detto altrove, se non è possibile leggere l’inglese, il francese ecc. senza le premesse della fonetica, per quale ragione si pretende di leggere i dialetti campani senza un minimo di conoscenze di base?

Scrivendo la nota sulla vocale “Ä”, la definii ottava dell’alfabeto torrese. Allora non avevo messo in conto un’altra vocale dell’alfabeto napoletano e torrese, la (!) cosiddetta muta che incontriamo in quasi tutte le parole napoletane.
In realtà non si tratta di vocale muta ma di un suono indistinto, valido per le vocali (a), a spas(a), come per la (e), u per(e), così per la (i), i pisc(i), e per la (o), u puzz(o). Raramente si trova per la vocale “u”. Lo stesso suono indistinto si ha per alcuni dittonghi, quale (io), l’agl(io), oppure (ia) a magl(ia), (ie) i pprecch(ie), ecc. L’equivalenza di questo suono. lo stesso per vocali e ditonghi diversi, consente ai poeti napoletani di accordare le rime sulla sola pronuncia, prescindendo dalla grafia delle desinenze.
Questo suono particolare non appartiene all’alfabeto italiano, ma lo si ritrova in altre lingue. In francese è la “e” finale di parole quale “mère”, madre, pronuncia mèr(e), e “père”, padre, pronuncia pèr(e) oppure in inglese in parole quale “live”, vivo, pronuncia laiv(e), e “file”, archivio, pronuncia fail(e). Non possiamo definire muto questo suono, data la sua consistenza gutturale. La pronuncia della parola “père” in francese è pèr(e) con un suono indistinto finale. Se la “e finale fosse muta, pronuncieremmo “per”, come la pronuncia italiana del segno di moltiplicazione.
In italiano diciamo dottore e dottor Pasquale quando eliminiamo la vocale finale, troncando la pronuncia sulla erre. In napoletano il dottore diventa u duttore e la pronuncia diventa u duttor(e), dando valore fonico alla “e” finale che non è muta. Ma se scriviamo u duttor, senza la “e” oppure u duttor’ con l’apostrofo, la lettura diventa aleatoria, affidata alla pre-conoscenza della lingua. Signò ce sta u figlio vuosto Gianni?. Chi? U duttore Gianni? E se chi legge è bolognese pronuncerà duttor Gianni. come dottor Balanzone.
Quanto sopra è ovvio e risaputo dagli scrittori napoletani ma non da tanti miei concittadini che continuano a scrivere le parole torresi troncando la sillaba finale, aggiungendo al più un segno di apostrofo. Ciò va a discapito della esatta comprensione grammaticali delle parole che, prive di desinenze, non risultano individuabili nella persona nei verbi e nel genere nei sostantivi.

Questo delle desinenze è un fenomeno molto più vasto e diffuso nella letteratura napoletana. La seconda persona singolare della coniugazione, quasi sempre, ha la desinenza “i” ma la letteratura registra sempre la “e”: Tu nzagne, tu miette. Così accade anche nei plurali maschili delle parole: Duie sciure frische.
Qual ‘è l’origine di questa modalità di scrittura? Ho la sensazione che tra i letterati napoletani non fosse ritenuta plaisibile la pronuncia indistinta per la “i”, come avviene per la “e”. E volendo riprodurre la parlata popolare, adottassero la “e” come segno grafico universale per il suono indistinto di cui sopra. Questa grafia non è caratteristica degli ultimi due secoli letterari ma risale ai primordi della letteratura napoletana. L’omaggio alla tradizione classica ha reso intoccabili, senza discussione, le regole del passato.
Noi torresi non abbiamo la tradizione e non ci sentiamo obbligati al rispetto di quella napoletana. (Vedi la nota sulla grafia degli articoli).
La parola “zizzeniello”, ugola, di chiara derivazione da zizza e, è scritta “zezzeniello” nella tradizione letteraria napoletano. Ciò per riprodurre la pronuncia (e) indistinta delle prime due vocali. Nella grafia torrese la scrittura è zizziniello e la pronuncia resta z(i)zz(e)niéll(o), senza sacrificare la derivazione etimologica da “zizza”.
La parola “avvilimento” è tradotta in napoletano “abbelemiénto”, il che consente la pronuncia indistinta delle pretoniche, abb(e)l(e)miént(o). Questa grafia prescinde dalla derivazione etimologica che è dal latino “vilis” col prefisso “ad”. Per la grafia torrese si propone “abbilimiénto” che, per quanto detto sopra, comporta la lettura abb(i)l(i)miént(o), perfettamente uguale alla pronuncia classica del napoletano ma rispettosa della derivazione etimologica.




ID: 375  Intervento da: Salvatore Argenziano  - Email: salvatore.argenziano@fastwebnet.it

Caro Giggino.
Se tu mi rispondi così mi tagli le gambe. Niscuno è nato mparato ed io non ne sapevo niente della Lenga Turrese. Solo il confronto con gli amici, anche con te, ha potuto far scaturire qualche considerazione. Tutto da verificare.
Tu dimmi dove non sei d'accordo e già questo sarà uno sprono per approfondire l'argomento. E nun te ncazza' quanno te rico ca songo u turrese.
E poi non pensare ca penzo sulo a Lenga. Mi piacciono tante altre cose che ho da fare nel futuro ma nun ti pozzo ricere.
Sono certo che ci sentiremo ancora per cose diverse per i prossimi dieci lustri di vita che ti auguro con affetto.
Tore u turrese.


ID: 370  Intervento da: Luigi Mari  - Email: gigiomari@libero.it

Cosa rispondere ad una lezione glottologica così ben articolata, dove ogni tassello è al suo posto con meticolosa precisione.
Salvatore propone una discussione sull'argomento, ma le discussioni prevedono opinioni diverse. Noi abbiamo solo da imparare. :^:]
Apparentemente Salvatore Argenziano rifulge per lo studio della "lenga turrese" perchè questo è l'argomento che più lo intriga e più lo attizza, ma, credete, egli è un consolidato narratore anche se più poemista che prosatore. Provate a leggere i suoi "Ricordi" nella sezione Cultura/opere.
Non solo, per modestia, Egli non dice di essere stato un provetto ingegnere. Un giorno nella mia bottega un cliente, scorgendolo in Torreomnia, brofonchiò: "U vide a cchisto? Ha costruito meza Bologna"!.
Tato', hai ascoltato i miei sermoni telefonici? In questi giorni hai mangiato pochi raffiuoli, mustacciuoli, ciocele e capitone. (Capitone, chiaramente, con l'apparato uditivo). Sai all'età nostra "guardammece 'a palla"..
Tuo devoto estimatore:
Luigino u nguacchiacarte.


Puoi anche Tu intervenire a questo argomento o invia un post alle e-mail private

 Ogni risposta fa saltare la discussione al primo posto nella prima pagina indice del forum. L'ultima risposta inviata, inoltre, che è la seconda in alto a questa pagina "leggi", aggiorna sempre pure data e ora della discussione (cioè il messaggio principale),
pur se vecchio.

T O R R E S I T A'

Autore unico e web-master Luigi Mari

TORRESAGGINE