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Argomento presente: « Cara, amara terra vesuviana »
ID: 4079  Discussione: Cara, amara terra vesuviana

Autore: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Scritto o aggiornato: mercoledì 2 agosto 2006 Ore: 10:14

CRISOSTOMO
di Franco Penza

Sul piazzale della Circumvesuviana di Ercolano un giovane m’invita nella sua auto, avendo intuito la mia idea di recarmi sul Vesuvio. Con duemila lire sino a quota mille, poi a piedi sulla bocca.
Mentre sale l'auto, mi sento travolgere dalla voce cavernosa dell’uomo. Il vento fischia, vigila dietro di noi il Nasone, in mezzo l’Atrio del Cavallo e la Valle dell’inferno. Col fiatone, senza guardare giù arrivo al cratere, guardo dentro, smarrito e meravigliato e respiro ampiamente, quasi a trasmettermi un pizzico di forza della natura, che potrebbe annientarci in un attimo.
“Dottò, mi ascoltate? Io sono Crisostomo. Non impressionatevi: non ho la bocca d’oro e non sono greco. Sono nato e vissuto all’insegna della libertà, senza pretese, modestamente, ma felice. Tozzo di pane bagnato in acqua, sale e olio d’altri tempi. Lettuccio d’assicelle e coperta leggera, ma tanto amore a scaldare il cuore freddo.
Ho frequentato l’Università con leggerezza, senza lasciarmi scalfire dalla muffa del metodo e dei concetti. Abituato all’aria pura, al cinguettare degli uccelli, al fruscio degli alberi, sono catapultato nel vortice della città. La macchina, l’appartamento lussuoso, il successo sociale a me non interessano. Il matrimonio è difficile per gli uomini nati liberi e può significare la morte civile per chi ha un concetto diverso da quello inteso normalmente. La donna, si sa, corre dietro la casa, il marito, i figli: chi è lontano da tutto ciò, eviti il matrimonio; la sua compagna non potrà mai capirlo, non intenderà mai le sue istanze, perché troppo lontane dalla sua educazione. Prima Bruna tenta di condurmi all’altare. Ragazza alta, robusta, intelligente, nasino all’in su. Coltivava garofani nella campagna vesuviana. Adesso è un insegnante di Religione. Perché non la sposai? E’ presto detto. Le sue idee erano stravaganti per me. Dieci figli, una posizione sociale importante, un villino al mare ed un altro in montagna. Anche se debbo riconoscere che fu penoso, dovetti abbandonare l’impresa. Non si possono dimenticare le carezze di una ragazzina e la durezza di una mamma.
Anche Annarella chiedeva un marito, una casa, dei figli. Anche Geppina e Ina. Mentre stringevo il corpo, mi sfuggiva il cuore. Maria, la perpetua, Lucia, la filosofa, e Rita, la mangiatrice di pesce con lische e cervello, mi distrussero e non mi aiutarono. La lotta l’avrei certamente abbandonata, se non avessi incontrato una giovane, che mi sembrò scendere dalla luna per le sue idee progressiste. Una costruzione sulla sabbia. Ma il suo smarrimento m’invase. M’accorsi subito di ciò, ma volli insistere. Significò lavoro monotono quotidiano, abbandono della città natale, isolamento.
I genitori della ragazza e del ragazzo, i parenti prossimi e lontani, i cognati, i fratelli ti rendono l’aria irrespirabile: sembra di sposarli tutti. Chi non è inserito, dottò, è pazzo; è un fallito, perché il vero uomo produce molti soldi. La morte civile. E chi si rassegna. La lotta m’intristisce. La malinconia invade la mente. Ieri l’arte e la letteratura cibavano il corpo. Oggi il lavoro solito dà la sopravvivenza, ma non la vita dei verdi anni. Morto l’artista, viva l’impiegato. E dove sono le idee? Io mi sono ribellato, mia moglie mi ha lasciato, sono un tassista abusivo per sentirmi libero!”
Crisostomo caro, hai ragione perfettamente. Siamo tutti nelle tue condizioni. Ma si può tornare indietro?…

Dott. Franco Penza
medicina e filosofia
 
 

ID: 4088  Intervento da: Luigi Mari  - Email: info@torreomnia.com  - Data: mercoledì 2 agosto 2006 Ore: 10:14

Per dare foga all'articolo che seguono mi sforzai di scriverli con lo stile malapartiano, non solo, ma accentuai la tecnica con quello ancora più regionale, toscaneggiante con cui lo scrittore stese "Maledetti toscani". Il risultato mi entusiasmò.

GIOVENTU' TORRESE AH, CHE BEATA!

Una gioventù, quella torrese, la quale, più che perduta è non già bruciata, ma, come dire, ha preso fumo. E non si pensi, per carità, a giudicare dal "fumo", che il giovane, a Torre, non sia caratterizzato dallo slancio, dall'impetuosità, dall'ardore propri della giovinezza. Non si creda, per amor di Dio, che il torrese, a differenza degli altri giovani contemporanei, non abbia la fierezza di sentirsi figlio. Ché sentirsi figlio, oggi, sia la cosa più imbarazzante del mondo, è cosa vecchia.
Ché il problema numero uno dei giovani sia la mania di apparire adulti, più che maturi (prerogativa quest'ultima ostentata dai grandi) è risaputo.
E sentirsi figlio, a Torre, più che sentirsi adulto, significa assumere le vesti di padre, che è un modo molto moderno di essere giovane. Ed è per questo che mai s'è sentito dire che un giovane, uno solo, nella nostra città, sia figlio di papà. Non perché i papà manchino, ma perché i figli, prima che di papà sono di mammà. Al che il maligno non ci venga a dire che l'autorità materna, a Torre, sia un matriarcato.
E cosa ne sarebbe allora del genitore maschio se la madre autorizzasse e il figlio comandasse? E ci scusino gli stranieri se noi torresi teniamo tanto alle nostre cose, specie ai figli, che sono la cosa più nostra del mondo. E se quello scioccone di Freud ci viene a dire che ciò è solo avidità di possesso materno, ci spieghi pure come mai, rispetto al figlio, il marito valga così poco pur essendo una cosa propria?
Ah, quello scioccone di Freud, - borbotta il maligno - che crede di aver risolto i problemi della psiche di tutti. Che venga a Torre, che venga a capire le donne torresi, insieme alle madri, e alle madri delle madri. E mi pigli un colpo se al manicomio non va a finire lui e tutti gli adepti della sua scuola!
Che il giovane, a Torre, abbia un grande valore perché, oltre ad essere figlio solo alla madre, e solo nipote alla nonna, e cosa da antidiluviani. Ed è noto a tutti che le prime clave furono inventate dalle donne torresi, all'età della pietra, per mettere fuori uso la testa dei mariti. Come è pure molto noto che la testa dei mariti funziona sempre al comando della moglie, specie, appunto, quando è fuori uso. ll maschio, a Torre, da giovane, ha un grande valore, si direbbe valga il doppio, appunto perché, una volta sposato, non varrà più nulla. Ed il maligno non dica che sarà solo uno strumento portapane.
E ché, non sapevate che un neonato maschio, a Torre, vale il doppio? Se si crede che abbia voluto dire che il figlio, trattandosi di «peso», lo si vada a comprare, il maligno, che non vuole tacere, non ci venga a dire che, in fondo, è come se lo si andasse a rubare, dal momento che se il maschio resta sparisce l'uomo.
E non a caso si dice, a Torre, che: «E' la donna che fa l'uomo», che e un po' la stessa cosa di dire: '«E' la ragazza che fa il giovane». E ciò, credete, non significa che la ragazza in un certo senso lo concepisca, ma che gli da, sempre in un certo senso, una seconda vita. Noi conosciamo bene la fama che godono i giovani torresi nel mondo come conquistatori per ciò che concerne l'amore.
Noi sappiamo bene che le ragazze, invece, hanno lo sguardo fulminante; che conquistano con gli occhi, se per conquistare s'intende quel modo di accalappiare fatto di moine, e mi guardo bene dal dire: adescatrici. Cio che non mi è chiaro è che, ad accalappiata conclusa (confetti compresi) e i cani non c'entrano qui, non si sa bene se il conquistatore sia li maschio o la femmina.
Perché quando si parla di matrimonio, nella nostra città, bisogna parlare di maschio e femrnina, quasi come per garanzia. Perché, specie in questo caso, l'uomo e la donna non c'entrano proprio.
E mai nessun torrese giovane è stato messo al bando perché non abbia consumato. Certi problemi, grazie a Dio, non ci sfiorano neppure. A noi maschi, s'intende. Perché come fai, caro il mio grullo, a capire se la ragazza, al posto di consumare, non ti consumi soltanto. Ed è fortuna della donna, figlia del demonio, di poterti ingannare perfino con la verità, che sarebbe l'amore.
Ma alle donne torresi, per carità, mai è passato per la testa di ingannare i maschi. Si guardano bene le donne torresi non già dal mettere, ma dall'essere messe al bando che non è la stessa cosa dell'esser messe incinte. Ché se metti al bando un uomo è cosa da nulla ma provati a mettere al bando una donna, vedi che ti succede. E il giovane, a Torre, grazie al Signore, peli sulla lingua non ne ha, forse perché non ha nemmeno le caccole nel naso che non è la stessa cosa di avere la cacca nei pantaloni, prerogativa che, guarda caso, più che dei piccoli, a Torre, è talvolta dei grandi, per non dire dei grossi.
Ed è per questo che i giovani, ancora grazie al cielo, e non alla cacca dei grandi, hanno tutti il complesso. L'insieme strumentale, s'intende. Perché il torrese appunto, animo sensibile, e non ipersensibile, quando si tratta di complessi va per la maggiore.
E ché, non sapevate che i complessi dei torresi sono i piu grossi del mondo?
Non sapevate che un complesso, a Torre, a differenza dei complessi di Roma, di Parigi o di Londra, vale per lo meno il doppio, proprio come i componenti di esso, che sono maschi due volte, questa volta non già grazie al cielo, ne alle nuvole, ma a mammà.
E ditemi se v'è mai capitato di vedere una donna, a Torre, con un complesso, come contrariamente capita di vedere altrove. Ditemi se vi è mai capitato di vedere una ragazza che ragioni con la propria testa e non con quella della madre, per non dire della nonna. E la ragione per cui le ragazze torresi di complessi non ne voglion sentire è perché è loro costume lasciare i complessi ai maschi, prima e dopo il divenire suocere, sebbene il maligno, (più maligno che mai) ci dice che la donna, a Torre, è suocera ancor prima di nascere.
Ah, l'amore, l'amore l'amore, quante cose può fare l'amore, diceva Luigi Tenco, senza sapere, naturalmente che l'amore a Torre, può far tutto. Se parli dei giovani, nella nostra città, non ti succede niente. Ma provati a parlar dei figli. Certamente metti il dito sulla piaga. Che, più che mettere il dito tra moglie e marito, è un mettere il dito soltanto. E non c'è modo più torrese di parlare dei figli che quello di mettere il dito sulla piaga soltanto. E sono proprio i figli, in questo caso, che tengono alto il vessillo dell'integrità del vincolo, non già da giovani o da piccoli, ma da prima di esistere.
E mai s'è sentito dire che, grazie ai figli, un tetto, uno solo sia stato abbandonato, a Torre; né mezzo tetto, né una sola tegola. E chi ci viene a dire che il tetto del torrese, in fondo, sia il cielo, io dirò che si tratta d'un tetto coniugale, il quale, più d'una «campata in aria» è non già un vivere in Paradiso, ma all'inferno, sebbene il maligno ci venga a dire che sia una "campata" e basta. Con ciò non si vuole affatto dire che il matrimonio del torrese sia un inferno, ma che certe cose, dalla donna torrese, religiosa genuina, sono viste giustamente da un profilo peccaminoso, per cui è inevitabile il finire tra le gambe del diavolo, che è un modo molto torrese di sentenziare i peccati.
E non è mia intenzione lasciar intendere che la gioventù, più che perduta o bruciata ha preso fumo per il motivo che, i giovani, più che sentirsi figli si sentono servi, dal momento che ogni rapporto affettivo diretto non sembra altro che un contratto di compravendita. E non sapevate che tra i giovani, a Torre, non ci sono ne servi né padroni? E che nemmeno i servi di Dio si chiaman cosi? Ché noi torresi giovani il Signore lo consideriamo amico e non padrone, ché quando ci va di chiamarlo lo chiamiamo per nome. E i bigotti o i bacchettoni, che sono i maggiori servi (e non s'è capito mai bene se di Dio o dei preti e non sacerdoti che è tutt'altra cosa), tentano di imitare noi giovani, se tentano di chiamare il Signore per nome, si guardino bene della sua ira, che non si placa con i «mea culpa» o con le preghiere «riparatrici» del lunedì. E se il Signore ci permette che lo chiamiamo per nome è perché sa che siamo dei poveri innocenti, che gli scontiamo peccati non commessi, che tra le gambe del diavolo i giovani, a Torre, ci stanno da vivi prima che da morti. E il maligno ci lasci in pace, volendo dire che le gambe del diavolo hanno con le gonnelle di mammà e della nonna qualcosa di pressoché analogo.
E la gioventù, a Torre, non ha preso fumo perché il «diavolo», già dalla nascita, gli ha preso l'anima (non ho detto la personalità), quella è riservata a mammà.. E se si è tentati di dire che per lo stesso motivo i nostri giovani prima di contrarre matrimonio vengono pesati, trattandosi di valere il doppio, io dirò che per la stessa ragione gli stessi giovani alla fine "prendono la bilancia dalla parte del grosso". Ma non per lo stesso motivo, a Torre, i giovani sono tutti uguali, che non è certo la stessa cosa di essere tutti uguali essendo vecchi. E se non si discrimina, specie tra gli adolescenti, il merito non è certo dei vecchi, i quali dettano ai figli non già vecchiaia, ma vecchiezza, che è un modo molto moderno di educare.
E son cose che succedono solo a Torre, che mentre stai a parlare dei giovani ti capita di parlar dei vecchi, che della gioventù vogliono fare cosa propria. E non è il caso di stupirsi di trovare giovani che non parlan da vecchi, ma che sembran vecchi essi stessi. E come suona male da noi il detto: "La gioventù, viene una volta e non torna più".
Si sa che, a Torre, la giovinezza, prima che dopo i quarant'anni, viene dopo i sessant'anni. Ah, la gioventù torrese che l'amore non lo ha ereditato dal genitori o dagli educatori, ma l'ha trovato per terra! E non dite che non sapevate che cercare l'amore per strada sia un modo molto idoneo d'esser moderni. Ché non è la stessa cosa di trovare l'amore in famiglia, che oggi e un po' come, non già cercarla per i vicoli ma l'esser portato per essi. E chi confonde l'amore col piacere si guardi bene dal non confondere l'amore con la felicità, che sono due cose ben distinte dagli adulti, ma non per noi giovani, che sono la stessa cosa, quando per amore s'intende la salute mentale e per la felicità la conquista di essa.
E non sapevate che cercare l'amore per la strada sia un modo molto fortunato d'esser giovani, oggi? Ché si dice di giovani che cerchino l'amore nei circoli chiusi, che il maligno chiama circoli viziosi. Ma il torrese, (che i circoli viziosi li crea solo grazie alle matriarche) lo cerca sotto il sole, per la strada, in piena luce. E il vedere i giovani torresi cercare l'amore per strada, da parte dei bacchettoni ed affini, è non già il considerare estirpati complessi e tabù, ma solo il vederli cercare l'amore sotto la luce, ma una luce artificiale.
E non ci venga a dire il maligno, che i giovani cercano l'amore fuor di casa non potendolo trovare dentro, perché sarebbe come lanciare la calunnia che i giovani torresi soffrano di incomunicabilità, che non già il figlio non sopporti lo sguardo del padre, ma il padre quello del figlio
Ed il problema è certo grosso quando si parla dei torresi, che, grazie alle madri e alle suocere, non si sa mai chi sia il padre, chi il figlio; e forse anche grazie al cielo, perché non dimentichiamolo, la mamma, a Torre, è non già sempre la mamma, ma «l'angelo della casa». E provati a cambiare idea ad un giovane, a Torre, e per il sesso, e per la politica, e per l'arte. Ché se vuoi cambiar la testa a noi torresi fai prima a tagliarla, che non è la stessa cosa di tagliar la testa al toro, perché risolvere un problema, a Torre, è cosa seria. E se tagliar la testa al toro resta difficile quanto tagliar la testa soltanto si finisce, a Torre, giovani e vecchi, col tagliare soltanto.
Ché tagliare o forbiciare, si sa, è gran pregio di noi torresi, che non già tagliamo il nemico, ma l'amico, dove c'è più gusto a tagliare. E provati a girare il capo, a Torre, e provati, mentre sei con i più cari amici, a girare un attimo le spalle. E vedi se non torni a casa con i fondelli rotti.
E non sapevate che i torresi sono gli unici giovani al mondo che sappian distinguere la civiltà dal progresso, naturalmente fino a che non entra in ballo la donna del cuore. Ché se prima la civiltà e il progresso erano dignità e comfort, dopo sposati la civiltà è prendere per i fondelli il prossimo, il progresso è prenderli per il sedere. Il che non è la stessa cosa, dal momento che donna del cuore, civiltà e progresso non vanno mai bene insieme.
Ma sebbene talvolta abbia dato l'impressione di parlar male del miei colleghi (e non vi stupite se, specie a Torre l'essere concittadini sia una professione, perché i rapporti hanno sempre un che di affare) mi preme dire che la gioventù, nella nostra città, è composta da un pugno di gran bravi ragazzi. E quando si dice bravi ragazzi non s'intenda dei fessi, che è un modo d'intender la brava gente molto in voga oggi. Ma guai se venite a rompere le uova nel paniere ai bravi ragazzi. Con le uova rotte vi romperanno i rapporti per sempre. E non c'è legge che possa punire chi rompa il paniere a chi gli vada a rompere le uova.
E ché, non si sapeva che il giovane; a Torre, quando rompe, rompe fino in fondo? Non si sapeva che il giovane, a Torre, paga i peccati e li fa pure pagare? Che non gl'importa se il nemico sia principe, papa o padreterno? E di padreterni, a Torre, credetemi, ce n'è tanti, ma per fortuna non ce n'è di giovani. Per fare il padreterno terreno bisogna esser sposato, e per dirla col maligno, si deve non valere più nulla. E non vi capiti, per carità, d'esser nemico d'un giovane, illudendovi che sia la stessa cosa d'esser nemico d'un vecchio, che è il modo più adatto di far la guerra con «i botti a muro», di cui, certi «nemici», fanno prima o poi la fine.
E se i giovani, grazie ai non giovani, (che dire vecchi li offenderebbe) sono caratterizzati dall'ardore di agire, ma oppressi dalla vecchiezza trasmessa. Il motivo non è da ricercarsi nel fatto che essi, più che figli di papà, o figli di mammà, sono nipoti alla nonna.
Che la gioventù torrese sia bella, è cosa vecchia; che tutti i giovani, a Torre, maschi e femmine siano i più belli del mondo è cosa che risale a quando il creatore, così, a caso, al posto di sgranocchiare noccioline o fare parole incrociate, si mise a creare il torrese. Ma non lo creò bello, anzi lo fece grinzoso, piccolo, rachitico ignorante
E' grazie a mammà che la gioventu torrese, sin dalla Creazione è la più bella del mondo. Che non si provi il Signore, con tutto il rispetto, a ficcare il naso nelle famiglie torresi e pretendere che la sanità, il valore e soprattutto la bellezza dei giovani, che sono soprattutto figli, sia anche merito suo.
Che il Signore, a Torre, ancora con tutto il rispetto, si interessi dei propri figli che son tanti sparsi in tutto il mondo, perché i figli di Dio torresi sono prima figli di mammà.
Ma se il Signore dovesse proprio insistere che fare i figli belli sia solo merito suo allora le mamme torresi finiranno con l'indispettirsi. E non si lagnino i ministri di Dio se le mamme finiscono con il non andare spesso in chiesa e col pregare di meno, dicendo che il Signore da un po' di tempo a questa parte va in giro dicendo che i giovani sono suoi figli più dei vecchi e che di figli vecchi non ha di che farsene, dal momento che gli «attempati» sono solo «servi» di Dio.
E provati a toccare un figlio a Torre, e guarda cosa ti capita. Già, che un figlio è figlio fino alla morte. Perché solo dopo la morte gli si da il permesso di vivere dove vuole. E non c'è da stupirsi, a Torre, se è il maschio che dice «torno da mammà».
Ché se si prova una femmina di tornare a casa viene presa a calci nel sedere; ché se si prova una femmina a battere in ritirata gli vien rotta la testa e gli vien detto che non sarà mai una mamma degna del propri figli (flgli maschi, s'intende) perché essere madre dì femmine, a Torre, è la cosa più inutile di questo mondo. Un'altra grossa qualità dei giovani torresi è quella d'esser molto religiosi, e lo dimostra il fatto che teniamo molto ai nostri preti, i preti giovani, s'intende.
E non lasciamo che a questi si faccia alcuno scherzo. Né che lo scherzo lo facciano a noi gli altri preti, i non giovani. Ché fare scherzi da prete, a Torre, si sa è da suocera. E quando si parla di suocere, a Torre, sulla piaga più che mettere i dito è come affondare la mano intera.
E siccome, generalmente la mano si mette sul fuoco, il maligno è tentato di dire che, dal momento che nessuno ha il coraggio di mettercevela, a parte Scevola, gran parte dell'ardore dei giovani l'abbiano accaparrato le suocere, le quali, più che nonne, sono le madri delle madri (il che è sostanzialmente diverso).
E la colpa d'altronde non la si può attribuire a nessuno se questo fuoco, non essendo spento, dalle suocere esca continuamente dalla bocca, dal naso, dalle orecchie a mo' di dinosauro.
A chi mi dirà come mai in un argomento dei giovani si parli tutt'altro che di essi, mi giustifica il fatto che, anche grazie alle suocere, la gioventù ha preso fumo, al che quando si parla di giovani più che parlare al muro che riverbera il suono: è un po' come parlare alle suocere, cioè parlare a vuoto. E Dio solo sa quanto costi oggi un giovane alla famiglia: la realtà che concretizza il rapporto genitore-figlio. E non bastano le beghe: "Tu mi hai fatto e mi mantieni"; "Tu sei il mio e ti mantengo". Che è la sintesi in parole della tragedia-fenomeno della nuova generazione. Dov'è da ricercarsi la ragione per cui il torrese non sa né piangere né ridere; il torrese giovane, s'intende, perché l'altro, l'adulto, se non ha neppure più gli occhi per piangere, piange sempre con gli occhi degli altri. E mai s'è visto un giovane a Torre ridere con garbo, con gentllezza, nemmeno per questioni galanti. Egli magari sbotta, sghignazza, ride tra i denti, ma non sorride.
Né piange con discrezione con l'amore e la passione che accompagnano il pianto, con l'arte del piangere. E' un piangere, quello del giovane a Torre, che più di un risentirsi, è un rimpiangere, che è un po' come piangere due volte. Forse perché un giorno non piangerà più. O non sarà capace di farlo.
E a chi ci viene a dire che il non saper piangere sia una malattia molto grave gli si dirà che il giovane, o Torre, non sa piangere perché gli hanno messo in testa che un vero uomo non piange mai. E che il pianto, più che la stessa femminilità, è l'arma ancora più efficace della lingua, per le donne.
Una gioventù, quella torrese, credete, che, più che perduta o bruciata, ha preso fumo, grazie a mammà, alla nonna e alla moderna società, che è la suocera di tutti.

1972 Luigi Mari


ID: 4087  Intervento da: Luigi Mari  - Email: info@torreomnia.com  - Data: mercoledì 2 agosto 2006 Ore: 10:08

FRATELLO TORRESE!
(da Il Penzatore) 1972

Per dare foga ai due articoli che seguono mi sforzai di scriverli con lo stile malapartiano, non solo, ma accentuai la tecnica con quello ancora più regionale, toscaneggiante con cui lo scrittore stese "Maledetti toscani". Il risultato mi entusiasmò.

Apparentemente si può avere l'impressione che il torrese sia "fratello"perché molto religioso. Non perché sia bigotto il torrese è fratello, che è un modo molto puro d'essere amico. Non già perché il bigottismo esclude ogni forma di fratellanza, ma appunto perché il torrese, religioso genuino, è soprattutto fratello grazie alla maniera sfacciata di non esser bigotto. Ed è molto difficile essere fratelli in questo senso, oggi che di religiosi puri ve ne sono ben pochi, quindi pochi fratelli ma tutti amici. Ed è inutile che il maligno ci sussurri che l'amicizia non esiste, che essa è solo complicità. Non che il torrese sia migliore o peggiore degli altri popoli, ma è sostanzialmente diverso per il modo drastico di esser fratello, pur non essendo amico (intendo amicizia anni '70). E il fratello, se deve dare dà, senza indugio, sopra tutto quando è ricco. E anche i servitori, mi si scusi il termine, anche i servitori del ricco o potente torrese sono per niente amici ma fratelli. Fratelli minori, naturalmente e meno religiosi, perché meno si è fratelli e meno si puo stare a posto con la coscienza, ed è normale.
Anche i poveri a Torre, a differenza degli altri poveri, sono fratelli, non già perché siano poveri religiosi, scusate: religiosi poveri, ma perché danno la possibilità ai fratelli maggiori d'essere tali, perché appunto se non ci fossero i minori, i maggiori sarebbero fratelli e basta. Anche questi ultimi fratelli a Torre sono i migliori, sono i preti, non i sacerdoti, sia ben chiaro. Essi sono fratelli e basta, perché sono rimasti padri, ed hanno tutti figli minori. I minori sono una categoria speciale. Se hanno bisogno d'aiuto, essi si rivolgono ora al padre, ora al fratello maggiore, ma se le cose non vanno bene, imprecano il Nonno che se ne sta buono buono e non si fa mai vedere, ma che fratelli, figli e padri amano e rispettano e spesso venerano.
Non perché il torrese sia peggiore o migliore degli altri, ma è terribilmente fratello in tutte le sue azioni, anche rubando, quando capita. Anche il ladro a Torre è fratello, non soltanto perché è generoso o di buon cuore, ma perché non è bigotto e soprattutto è molto religioso, infatti, trova sempre qualche santo che lo tolga dai guai.
E i santi a Torre sono un po' come i fratelli maggiori, non altro che per quel modo così appassionato di non essere bigotti. Anche le donne torresi, più che madri e spose sono irresistibilmente fratelli, ma, a differenza degli uomini, sono un po' bigotte, per questo sono anche un po' amiche. Seguire la moda con discrezione, con sobrietà, senza invidia o antagonismo di sorta è un modo nobile d'esser fratello, per una donna.
Ma ciò che più rende fratelli le donne a Torre è il pudore, che è un modo molto torrese d'essere donna, ll pudore delle donne torresi è inconfondibile: io riconoscerei una mia compaesana a New York, tra un mare di gente, attraverso il pudore, nel modo garbato e attento con cui si copre nello sguardo timido e sottomesso in quell'espressione acqua e sapone che la caratterizza.
Poi, grazie alle donne il maschio a Torre è più fratello che mai, fratello di latte, magari. La categoria neutra è quella delle suocere. Il presente e il futuro della città è nelle loro mani. Esse non sono differenti dalle altre suocere del mondo, ma sono particolarmente suocere per il modo testardo di non voler essere fratello. Ma pur non essendo amiche sono terribilmente bigotte, tanto che se cade 'I'orre, la reggono le suocere. Chissà che non la reggono già da adesso...
Un altro modo d'esser fratello a 'I'orre è quello nobile di ammettere i propri torti senza battere ciglio, porgendo l'altra guancia. Quale modo meraviglioso d'esser fratello! Anche perché, per fortuna, il fatto di dire "pane al vino..." e... "vino al pane..." è un modo tipico d'essere amico e non fratello, grazie al Signore.
C'e ancora una maniera d'esser fratello che è quella sciocca, inconsueta di stimarsi e di amarsi. Non che questo sia un modo o l'altro d'esser torrese, ma è certo un modo molto d'uso d'essere amico, pur non essendo bigotto. Ora bisognerebbe fare il punto sulla parola fratello che spesso è confusa con la parola caino. Ma tutto è chiaro quando si parla del fratello torrese, il quale, non essendo caino, è soprattutto fratello, perché religioso. Fratello inteso in senso cristiano che è molto di più del fratello, inteso in senso umano, il quale se fa una buona azione, la fa con materialismo, magari donando i propri beni. Il fratello cristiano certo materialismo lo lascia dov'è ed elargisce solo il proprio spirito, il proprio credo e soprattutto le meravigliose promesse.
In fondo anch'io, come torrese, sono un fratello, il quale tirando le somme, è un cittadino del mondo; un fratello io come altri, crogiolato non solo nel sentimento campanilistico ma nell'angosciosa gioia d'essere cosciente di sapersi fratello.
Non c'è modo più banale d'esser fratello che quello d'esser sincero, molto più che 1'esser mendace che è la maniera giusta d'essere amico. Ma l'esser sincero, il più delle volte e un po' come l'essere pauroso; e meno male che avere paura e il modo più tipico d'esser bigotto, come non e il torrese, grazie a Dio.
L'unico modo di non esser fratello a Torre è quello d'esser parente, non già perché non si ami il proprio sangue, ma perché il fratello uterino si ama da morto prima che da vivo. Infatti questa maniera d'esser fratello, che è la meno ortodossa, fa sì che il fratello, morto in vita, nasca non appena è sottoterra. Non ho mai visto amare un fratello vivo, nella mia città, come l'ho visto fare con uno morto. La gioia, la felicità, la lealtà che gli si nega da vivo gli si dà da morto. Veder amare un vivo a Torre è una cosa disgustosa. Se si suol dire "i figli si baciano nel sonno"si può anche dire, a Torre, i fratelli si baciano da morti. Si spenderanno centinaia di migliaia di lire per il proprio cadavere, fiori, e avvisi di lutto enormi; si verseranno mare di lagrime, ci si tormenterà allo spasimo, si impazzirà dal dolore, là quando non s'aveva mai speso un soldo, per il vivo, mai tormentati e mai impazziti. E' uno spettacolo commovente e angoscioso, tanto che vale la pena di non esser fratello, e l'unico modo per non esser fratello, a Torre, e quello d'essere figli alla stessa madre, da vivi; figli di Dio da morti.

1972 Luigi Mari


ID: 4082  Intervento da: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Data: martedì 1 agosto 2006 Ore: 14:29

DELIRIO DI ONNIPOTENZA
Ci sono i narcisisti, i sanguigni, gli ossessivi, gli edipici, i depressi, i superstiziosi. E’ la tipologia dei rappresentanti del popolo italiano, di quegli onorevoli che
Piero Rocchini, lo psicoterapeuta del parlamento italiano
fino al 1992 ha steso sul lettino da analista per ascoltarne le fantasie disturbate, i sogni malati e inquieti, le ossessioni prosaiche e le rabbie biliose.
Dal 1980 a oggi ha raccolto le confessioni di trecento deputati e racconta le ossessioni e i fantasmi del loro inconscio politico in un libro che sollecita morbose curiosità. S’intitola “Onorevoli sul lettino”-Tropea Editore. Il narcisismo è più diffuso a destra, i leghisti sono più sanguigni, gli ex democristiani, riciclati, sono i più sereni e paciosi, i comunisti sono umanamente patetici, rigidi, emotivamente bloccati, incapaci a dialogare al di fuori dei loro valori stereotipati, tutti con angoscia di competitività, disturbi d’ansia e di depressione.
La classe dirigente sarebbe formata da psicopatici di successo con una tendenza patologica alla menzogna e allo sfruttamento degli altri senza rimorso.
Fuori del Parlamento v’è di peggio.

MOSTRUOSITA’ BRUNE
C’è chi vive zappando e chi rompendo. Un povero diavolo trovava l’unico modo di vivere, vomitando immondizia sugli amici.
Crisostomo ebbe la sua visita: fu aggredito violentemente con parole dettate da un cuore ferito da un’infanzia dolorosa. Aveva subito il fascino e il complesso del padre e si riversava sugli altri, cercando la rivalsa stupida, come le femminucce, che inventano pettegolezzi miseri. Divennero amici, cenavano, discutevano, distruggevano. Il mostro aveva sete, le cavie erano sempre poche, aveva bisogno di vittime continuamente. Il cambio era meschino e pauroso.
Crisostomo rigettò questo essere e si allontanò. Il mostro sputava peste e corna del fratello. Quando la misura è colma, esplodono anche gli uomini più tranquilli. E fu così. Crisostomo si partì deciso ad impartirgli una lezione. Si recò a casa sua, si fece annunciare e, quando gli fu davanti, gli assestò due pugni sulle tempie.
Un urlo disumano echeggiò nell’aria. Dalla testa del mostro sprizzò materiale diarroico e non materia cerebrale, come si poteva e doveva supporre.
Scavalcò il balconcino e si mise a correre, impazzendo di gioia. Un’auto lo investì, ma egli non avvertì neanche il peso del pesante mezzo, anzi acquistò nuova linfa e corse, corse, corse, finché si rese conto che un uomo da fogna anche la morte lo evita. Da quel giorno il mostro bruno vive in un gabinetto d’analisi, accanto ai vibrioni del colera, che sono diventati il suo pasto preferito, isolato dai mortali, in quanto egli è immortale.
Infatti, le feci sono universali, perché da quando è nato il mondo l’uomo ha sempre partorito esseri stercosi. Attenzione, dunque, ai mostri bruni! Essi hanno occhiali, capelli ricci, pantaloni e scarpe.

IL NANO
Il mostro nano, povero disgraziato, si rivaluta solo tra gli analfabeti. E’ il signor nessuno e lo sa bene. E sa ancora meglio che non ha creato alcuna opera pia, perché la sua bocca puzzolente vomita solo merda; nella cloaca, è coperto sino ai capelli.
Non sapevo che una parte degli uomini appartenesse ad una chiavica immensa.
Al mostro bruno furono assestati due pugni sulle tempie, dalle quali sprizzò materiale diarroico, stranamente; al mostro nano che cosa uscirebbe in una colluttazione con un uomo dabbene?
Nulla, o forse acqua fetida, perché anche gli escrementi hanno lasciato la sua scatola cranica, perché sono stati alterati da una visione meschina della vita stupida, monotona, scialba, priva di significato. Come si può parlare di civiltà in una società ancorata a pregiudizi antichi? E chi vomita? Sempre le nullità. E’ la difesa dei poveri di spirito.

Dott. Franco Penza
Medicina e filosofia



ID: 4080  Intervento da: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Data: martedì 1 agosto 2006 Ore: 14:24

CONTROSTORIA
Il mito di Garibaldi finisce quando si apprende che la spedizione dei Mille fu finanziata dalla massoneria inglese con una somma spaventosa di piastre turche equivalenti a milioni di dollari in moneta attuale.
In Piemonte Camillo Benso conte di Cavour era gestito da Mr Pike e da Lord Palmerston della Gran Loggia Londinese.
Giuseppe Mazzini il 3 giugno 1868 fu proclamato venerabile perpetuo a honorem della Loggia massonica Lincoln di Lodi e fu proposto Gran Maestro.

IL NUMERO
Immaginate per un momento chi raggiunge il successo sociale, occupando un suo spazio, un suo potere, senza lavorare, che cosa pensa del popolo. Assolutamente nulla. Un numero. Noi non capiremo mai le logiche del potere. Per un attimo date uno sguardo alle guerre in atto. Prima si distrugge e poi si ricostruisce. Il popolo napoletano crede nei miracoli di S. Gennaro, ma non nel rifiuto degli stipendi dei politici, che hanno svuotato le casse dello Stato.

L’ATTORE
L’attore come attività professionale non esisterebbe secondo i critici teatrali. Tutti quelli che riproducono o ripetono la realtà sono gli ipocriti di greca memoria. Ma il mondo è un gran gioco d’attori e di spettatori, che pagano il biglietto. I furbi sono sempre attori. I pigri spettatori. Con la voglia di essere il numero uno, di identificarsi con il calciatore, con il cantante, affolla gli stadi, i cinema, i ristoranti, sentendo il profumo del successo. Di riflesso patologico.
Negli anni settanta nella Compagnia teatrale “I Quattro” Antonio fu subito Belfagor ne “La Cantata dei Pastori”, poi Pietro; ma Antonio con la sua voce teatrale era personale. Il risveglio duro, sempre recitando la parte assegnata dall’alto, condusse l’attore alla guida di turisti smarriti, di cercatori di se stessi e del passato. Non scomodo nomi, definiti grandi per scopi commerciali del cinema, del teatro, della televisione e della politica, ma il mio attore preferito resta Antonio, fedele, amico, marito, papà, cognato, lettore, filosofo, ipocondriaco, mal retribuito, che ringrazio per aver suscitato in me antiche emozioni oggi in crisi per essere costretto ancora a sottostare a regole sociali per recitare una parte che proprio non va giù per l’ignoranza e la nevrosi in agguato. Per consumare il tempo a mia disposizione devo sopportare il comando prezzolato. E così baratto la libertà con l’attore.

OSCURANTISMO
…In alto e in basso le grandi lobbyes massificano ed accentrano l’economia in pochi megalomani. Quelli in altre parole che sostituiscono gli organi vitali con protesi nei casi di carenza funzionale (occhi, ossa, genitali). E purtroppo c’è ancora gente che non riesce a mettere un piatto a tavola a mezzodì. Scrivevo le stesse cose nel 1965 sulle colonne de L’Infinito. Che cosa è cambiato? Allora non si parlava di globalizzazione. Oggi i mass media in tutto il mondo vedono bene i miserabili troppo poveri e i ricchi troppo ricchi. E non si tenta di attuare una politica globalizzante davvero, annullando le fasce deboli con industrializzazione delle zone, i cui abitanti invece delle guerre per commercio, lavorerebbero per se stessi. L’industria bellica produce bombe, fucili, pistole, carri armati per le guerre. E poi c’è la ricostruzione da prevedere con capitali e ditte dei vincitori.
Qualcuno ha trasformato l’Italia in un’Azienda di attori, cantanti, scrittori e prostitute senza cartellino. Scusate se difendo le ragazze degli anni sessanta ancora con il problema della verginità da risolvere. E si sente la necessità di creare dei muratori validi ed onesti perché ad ogni temporale l’Italia si allaga, cade in frantumi, per aver costruito selvaggiamente da per tutto. Si parla di Rinascimento napoletano con gli spiriti di madreperla ossia le teste di morto in Piazza Plebiscito della tedesca Horn, ma si avverte subito che Napoli dimentica la periferia, abbandonandola.
Nonostante tutto, l’uomo resta l’infantile, l’immaturo di sempre. Da quando era nella caverna, sulla palafitta non ha cambiato nulla del suo processo evolutivo, anzi involutivo, perché ha creato solo armi per uccidere uomini. Del culto della personalità si proverà a parlare del grande, ai tuoi occhi e del piccolo ai suoi piedi. Ma i fatti parlano da sé, la misura delle cose non è stata ancora trovata, né cercata.
E il consumismo ci ha deriso. La teoria dello struzzo ci ha annichilito.

Dott. Franco Penza
Medicina e filosofia


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