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Argomento presente: « La malattia fa tendenza »
ID: 4182  Discussione: La malattia fa tendenza

Autore: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Scritto o aggiornato: domenica 20 agosto 2006 Ore: 12:27

Una parabola del nostro tempo da L’INFINITO Luglio 2006
IL BANCHIERE E LA SIGARETTA
del Dott. Franco Penza, torrese da Napoli

…E il giovanotto conobbe la professoressa, che lo riavviò allo studio e gli permise di conseguire il diploma di ragioniere e di cominciare una ottima carriera in banca. Lei vedova di un mese, gli dette due figli, malgrado fosse più anziana di lui e ricostruisse il binomio moglie marito uguale madre e figlio. L’atmosfera influenzò i due figli, che non trovarono pace nelle famiglie, divorziando e lasciando in balia del mondo i loro figli, come al solito, ossessionandoli con le loro prediche per la rivincita sociale. Il giovanotto, dopo gli anni intensi di lavoro, elegante e disinvolto, corteggiatore e corteggiato, non ebbe molte soddisfazioni in famiglia. Nessuno è profeta in Patria. In società fu brillante e fumatore accanito. Si cibò di pane, fumo e amore, fondendo il tutto in una bomba, che esplose dopo il pensionamento.
Prime avvisaglie: dimagrimento, tosse stizzosa. Si parla di ascesso polmonare e non si pronuncerà mai altro termine di patologia. C’è l’intervento chirurgico, una lobectomia, e tutto sembra tornare normale.
L’avvenimento pone la solita domanda: Si deve o non si deve dire al malato della grave malattia?” Dipende dalla maturità del paziente, dalla sua sensibilità, dalla vita che egli ha svolto con o senza piacere. Nel nostro caso la famiglia decide di non rivelare il male, parlando di pleurite, polmonite. Possiamo affermare nello specifico che il fumo ha danneggiato l’uomo ed è bene attuare la prevenzione ad ampio raggio. Ma come disinquinare le acque del mare e della terra, le strade, le case? Come vivere in serenità. Ci sono delle teorie supportate dalla clinica, che accennano ad una malattia psicosomatica del male del secolo.
Credo che sia vero. Pensate che oggi in una società consumistica l’uomo è oggetto anche di consumo, per cui egli non ha diritto di pensare con la propria testa; anzi, sono in pochi a pensare per tutti, pure se crediamo di essere liberi. Il male del secolo trova le sue origini nella continua spersonalizzazione dell’essere in democrazia, che doveva significare il potere del popolo, ma resta un’utopia. I rapporti sociali sono difficili, gli amori impossibili, le false ideologie imperanti. L’uomo viene annullato continuamente e la somatizzazione crea la malattia con situazione allarmante del pianeta terra. Ma mi chiedo:”Possiamo tornare per un attimo indietro? Sappiamo vivere senza automobile? Il rasoio elettrico, l’aereo, le armi, la fobia della vita con ecologia, prevenzione e tranquillità? Siamo su una china inarrestabile verso la fine dei tempi. Dunque, la catastrofe? No, ma una sana riflessione è necessaria: abbiamo sbagliato tutti ed è giunto il momento di andare da capo.
Mentre lei e lui si avviavano verso il nulla eterno, l’alba imbiancava il nuovo giorno, l’aurora annunziava il sole, la triste donna depositava il neonato nel recipiente della spazzatura.
L’aria pura, il cinguettio degli uccelli, il fruscio degli alberi, dove sono finiti? Purtroppo ci siamo illusi di aver raggiunto alti gradi di civiltà, ma ho sempre di più la sensazione di essere nella caverna delle stragi, delle rapine, delle guerre. Stiamo a guardare che etnie distruggano etnie con pulizia aberrante, con stupri di massa.
L’amore è un frutto acre, che t’allappa le labbra e ti allega i denti. Sogniamo case di montagna, di città, di mare e non ci accorgiamo di correre verso il nulla, poiché a questo conduce la società dei consumi.
Il mistero della vita e della morte…Vorrei liberarmi nel cielo blu, senza confini, senza soldi, senza prostituzione, dove l’involucro terreno non esiste. Siamo invece i pupi nel teatro delle marionette. Fortunatamente c’è ancora il sole, anche se pallido e malato: la mia libertà.
Dal Bollettino dell’Ordine dei Medici di Napoli

FrancoPenza
direttore del Giornale “L’Infinito”

 
 

ID: 4190  Intervento da: Antonio Fedele Cesi  - Email: fratellino.50@email.it  - Data: domenica 20 agosto 2006 Ore: 12:27

BAMBINI DEPRESSI? Dalla padella nella brace

Il Prozac ha manifestato fin da subito effetti collaterali (oltre 900 effetti avversi!!!)
Nel 1990 l’American Journal of Psychiatry ha pubblicato un articolo scientifico di uno studio che evidenzia che l’assunzione di Prozac può indurre pensieri e tentativi suicidari. Negli USA vi sono dai 6 ai 10 milioni di persone che assumono il Prozac. Nell’arco di 6 anni il Prozac ha accumulato ben 26.623 casi di reazioni collaterali e 1885 casi di tentativo di suicidio.
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L’agenzia europea del farmaco accoglie il modello americano: «Più vantaggi che rischi»
Già sperimentato negli Usa. L’agenzia Ue: ma approfondire gli studi
Autorizzata la cura antidepressiva per chi ha più di 8 anni
Bambini depressi, via libera dall’Europa al Prozac dagli 8 anni
di Margherita De Bac Il Corriere della Sera del 9 giugno 2006

L’agenzia comunitaria del farmaco, l’Emea, ha approvato l’uso del Prozac nei bambini con depressione moderata o grave sopra gli 8 anni. I vantaggi sono stati ritenuti superiori ai rischi.
Lo psicofarmaco dovrà essere prescritto solo dopo aver verificato l’inefficacia della psicoterapia. Due anni fa negli Usa era stata autorizzata la prescrizione sopra i 6 anni.

ROMA - La barriera cade anche in Europa. L’agenzia comunitaria del farmaco, l’Emea, ha approvato l’uso del Prozac nei bambini con depressione moderata o grave sopra gli 8 anni. I vantaggi sono stati ritenuti superiori ai rischi. Lo psicofarmaco dovrà esere prescritto però in seconda battuta, solo dopo aver verificato l’inefficacia della psicoterapia che resta l’intervento di prima scelta. L’iniziativa arriva a distanza di due anni da quella quasi sovrapponibile dell’agenzia americana Food and drug administration (Fda) che aveva autorizzato la prescrizione di quelle pillole dai 7 anni. Non che l’impiego pediatrico dei cosiddetti Srri (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina), categoria di antidepressivi ai quali appartiene la fluoxetina (nome chimico del Prozac) non fosse già diffuso. La novità rispetto al passato è che i nuovi foglietti illustrativi conterranno l’indicazione per pazienti di età superiore a 8 anni. Finora invece si parlava di prescrizioni out of label , fuori etichetta, su iniziativa individuale del medico.

L’Emea ha raccomandato alla società Eli Lilly di condurre studi clinici più approfonditi. Sarebbe stata proprio l’azienda, su spinta della Gran Bretagna, a chiedere all’agenzia europea di aggiungere alle indicazioni per la fluoxetina anche la depressione infantile. Informazione smentita dal produttore della molecola più nota nel mondo, 56 milioni di consumatori: «Non l’abbiamo mai promossa né intendiamo farlo in Italia - dice Grazia Dell’Agnello, responsabile area sistema nervoso centrale della Eli Lilly Italia - L’intervento di Emea e Fda americana è giustificato solo dal fatto che ne è stata riconosciuta l’efficacia sulla base di evidenze scientifiche. Ci muoviamo con estrema cautela».

Da noi l’antidepressivo più prescritto ai minori sotto i 18 anni non è la fluoxetina ma la paroxetina, finita sul banco degli imputati per aver causato una più alta incidenza di suicidi. Lo fa notare Maurizio Bonati, responsabile del dipartimento materno infantile dell’istituto Mario Negri di Milano: «Il punto debole della decisione è che si fonda su pochi studi relativi ad un numero basso di pazienti. Direi però che si tratta di un provvedimento positivo. Adesso dovremo monitorare attentamente le conseguenze nei bambini depressi. Soprattutto bisognerà fare attenzione alla correttezza della diagnosi. Il rischio è che il Prozac venga impiegato senza necessità». Bonati insiste sul fatto che la precedenza venga data alle terapie comportamentali-cognitive, quindi non farmacologiche. La stima è che l’1% delle adolescenti sopra i 14 anni prendano psicofarmaci, fra i maschi la percentuale è più bassa.

L’Emea ha posto condizioni molto stringenti: il Prozac andrà prescritto solo in caso di fallimento di cure psicologiche (4-6 sedute di analisi), se dopo 9 settimane non ci sono segni di miglioramento, occorre sospenderlo.

Dott. Franco Penza

Fonte: www.disinformazione.it/via_libera_al_prozac.htm


ID: 4189  Intervento da: Antonio Fedele Cesi  - Email: fratellino.50@email.it  - Data: domenica 20 agosto 2006 Ore: 12:13

LA RETE E LA GIUNGLA DELL'INFORMAZIONE
(vecchio, caro, patrikarcale giornalismo)

a cura di Antonio Fedele Cesi

Antonio Fedele è l'alter Ego del Dott. Franco Penza, medico-filosofo-giornalista. Antonio opera da quarant'anni come istruttore culturale sui beni artistici ed archeologici vesuviani.

Ali Babà e i Quaranta Ladroni
di Carlo Bertani

Da pochi anni stiamo assistendo al “boom” della “disinformazione”, soprattutto sul Web; qualche decennio or sono si chiamava ”controinformazione”, ma trent’anni fa non c’era il Web: non per questo non si cercava di contrastare le “sirene” di regime, anzi.
Uno dei più clamorosi eventi di controinformazione fu senz’altro la pubblicazione de “La strage di Stato”, apparso in libreria pochissimi mesi dopo la strage di Piazza Fontana. Grazie a quel libro, fu possibile inquadrare dal primo atto lo svolgersi della strategia d’attacco che il capitalismo internazionale stava mettendo in atto per proteggere le grandi ristrutturazioni dell’industria. Bisognava colpire su due fronti: da un lato l’enorme incremento di produttività che il superamento del fordismo generava non doveva essere ridistribuito, dall’altro le istanze di rinnovamento sociale portate avanti dai tanti movimenti dovevano apparire come sogni di mezza estate, utopie, pericolosi salti nel buio.
In quegli anni la tecnologia stava compiendo balzi da gigante e la rivoluzione dei chip informatici automatizzava i processi industriali, sostituendo intere catene di montaggio gestite dagli operai con robot e sistemi automatizzati. Pochissimi anni dopo sarebbe iniziata la rivoluzione informatica dell’amministrazione, non più gestita con archivi cartacei e registri ma con l’elettronica: entrambi i processi sono tuttora in corso.
Gli enormi incrementi di produttività che l’automazione industriale generò furono trasformati in capitali, non in beni destinati a chi li aveva prodotti: ciò condusse da un lato all’affermazione della finanza sul lavoro, dall’altro all’arricchimento dei finanzieri ed all’impoverimento dei lavoratori.
Negli stessi anni la società italiana – sotto la spinta del ’68 – iniziava a lasciarsi alle spalle i valori più tradizionali per attingere a nuove fonti – Europa e Stati Uniti – soprattutto per quei valori liberali che le società del Cristianesimo Riformato contenevano oramai da secoli nel loro DNA. Nel 1974 fu vinto il referendum sul divorzio e tutta una serie d’esperimenti sociali ebbero inizio negli stessi anni: dalle cosiddette “comuni” partiva il messaggio di un superamento dei valori della famiglia tradizionale, anche se quegli esperimenti non furono certo esperienze di massa.
Analizzare nel dettaglio i rapporti fra il mondo del lavoro e la struttura sociale richiederebbe ben altro spazio: ciò che fu chiaro sin dall’inizio ai governanti dell’epoca fu che quel rinnovamento – se non contrastato – avrebbe spazzato via un’intera classe politica. Le contromosse ci furono, e furono pesanti.
Con la marcia dei 40.000 “quadri” del 1980 la FIAT riaffermò l’assoluta proprietà dell’azienda – estromettendo, di fatto, i lavoratori ed i sindacati dalle decisioni aziendali – mentre il milione di giovani che in quegli anni guardava verso un rinnovamento sociale fu ricacciato nella paura da poche migliaia di brigatisti[1][1].
La profonda elaborazione teorica – ma anche pratica – degli anni ’70 in campo sociale fu così affogata nel sangue delle Brigate Rosse.
Ciò nonostante, pochi libri ben scritti e qualche casa editrice che operava ancora come tale – ossia come referente di un’area culturale – consentirono agli allora ventenni d’avere gli strumenti per elaborare la complessa realtà degli anni che seguirono.
Ciò che seguì confermò in pieno quello che a prima vista poteva apparire come una arrogante elaborazione della realtà, basata solo su di un presuntuoso cui prodest.
Dopo Piazza Fontana vennero l’Italicus, Brescia, Ustica, la P 2, Gladio…e gli italiani non ebbero modo d’interpretare la realtà se non per sommi capi, senza più riuscire a stendere in modo ordinato una sequenza logica degli avvenimenti. A meno che quella fosse la logica dei poteri forti e degli assassini.
In quegli anni nacquero dei fogli come “Il Male”, che cercavano nella satira la risposta all’arroganza sempre più spietata del potere: lo slogan era «Una risata vi sconfiggerà». Sono ancora là che ridono, di noi.
Per attuare una strategia d’assoluto controllo dell’informazione era necessario operare con sapienza e con mezzi discreti: qualsiasi atto d’imperio sarebbe stato salutato come un attentato alla libertà d’informazione, ed il piano elaborato dalla P2 in quegli anni (realizzato in parte da Berlusconi[2][2]) era il vademecum del perfetto “golpista” dell’informazione.
A metà degli anni ’70 ci fu il primo esperimento di televisione privata via cavo, Telebiella, che fu presto chiusa con un atto d’imperio. Mentre l’emittente biellese era soltanto sperimentale, in pochi anni nacquero molte televisioni locali le quali – opponendo spesso complesse battaglie giuridiche – riuscirono a sopravvivere. Per continuare a controllare l’informazione era necessario cambiare metodo.
In quel panorama di rinnovamento liberale dell’informazione nacque – è proprio il caso di dire “dal nulla” – la figura di Silvio Berlusconi. Figlio di un bancario, non apparteneva al “Gotha” della finanza italiana né pareva avere le necessarie amicizie per diventarlo: aveva però in tasca una tessera della P2 – n. 1816, codice E.19.78, gruppo 17, fascicolo 0625, 26 Gennaio 1978 – e quella tessera sarà importante, cambierà la storia italiana.
Anche la data è importante: nel 1978 – mentre la Nazionale volava in Argentina per il mondiale – iniziò la “caccia” alle emittenti locali, che Berlusconi acquistò ad una ad una dopo aver ricevuto per poche lire da Bettino Craxi – praticamente un regalo – l’esclusiva dell’etere privato italiano[3][3].
Se l’etere gli venne cortesemente regalato da Craxi, per creare Canale 5 ed acquistare Italia 1 (dall’editore Rusconi) e Retequattro (da Mondatori) servivano un mare di quattrini, e i quattrini arrivarono, ma nessuno sa ancora oggi da dove provennero. Si trattava di 173 miliardi di lire dell’epoca (pari a circa 250 milioni di euro attuali) che Berlusconi ricevette non si sa da chi e che finirono nelle casse di finanziarie di comodo controllate dal Cavaliere: si noti che – in tutti i processi nei quali è stato coinvolto – Silvio Berlusconi si è sempre rifiutato di rispondere della provenienza di quel mare di soldi[4][4].
Nel volgere di pochissimi anni le centinaia di sigle dell’emittenza locale scomparvero e nacquero i tre colossi: Canale 5, Italia 1 e Retequattro. Unificate successivamente nel gruppo Mediaset, gli italiani si ritrovarono in pochi anni a scegliere solo fra l’azienda di Stato e Mediaset, mentre la nuova emittenza locale (tollerata, ma di fatto ininfluente sotto il profilo dell’informazione) si dedicava soltanto a pubblicizzare mobili e vogatori.
Era però necessario che l’imprenditore Berlusconi diventasse un personaggio pubblico, conosciuto e stimato non perché aveva rapinato grazie all’appartenenza ad una loggia massonica segreta le frequenze di trasmissione, bensì come mecenate, uomo di cultura, filantropo.
Siccome il personaggio faceva a pugni con l’icona dell’uomo di cultura (Chirac gli proibì di creare TV in Francia, definendolo un “venditore di minestre”) – e per creargli attorno un alone “nazionalpopolare” che tuttora alimenta (il Presidente – operaio…) – il mondo del calcio era l’optimum: con pochi soldi acquistò un Milan che navigava a stento fra il fondo della serie A e la serie B e lo condusse agli allori internazionali.
Fu proprio nelle “Biscardate” dell’epoca che s’iniziò ad ascoltare quel «Presidente Berlusconi…» che gli era attribuito come presidente del Milan: il completo sconosciuto di pochi anni prima veniva trattato con deferenza e chiamato “presidente”. Era solo calcio, ma tant’è.
Non dovremmo sottovalutare i rapporti fra il calcio e la politica, perché il teatrino domenicale del pallone è anch’esso un terreno di scontro e d’incontro: c’entrano poco i partiti, ma non è detto che la politica la facciano solo i partiti.
A parte il caso Berlusconi, come dimenticare che tutta la vicenda della Fiorentina fu uno scontro politico fra Berlusconi e Cecchi Gori? Moratti ed Agnelli, Viola e Ferlaino, in un tourbillon di miliardi pagati per assurgere alla notorietà o per deviare l’attenzione sul pallone piuttosto che su altre – meno nobili – faccende. Qualcuno ricorda che l’ex presidente della Sampdoria – Mantovani (scomparso da parecchi anni) – mentre la squadra volava verso lo scudetto subiva processi su processi per uno dei tanti sporchi affaire del petrolio?
La grande preoccupazione dei politici italiani nei confronti del calcio – oggi tutti si preoccupano che “il giocattolo non si rompa” – è quella che gli italiani compiano una semplice equivalenza fra il mondo del pallone e quello della politica, che non si rechino più ad urlare la loro rabbia negli stadi ma che gliela urlino in faccia. Sarebbe ora.
Se con Berlusconi e la RAI – dove, in quegli anni, correva voce che le assunzioni fossero lottizzate in modo che fossero assunti “un democristiano, un socialista ed uno bravo” – il potere politico s’era assicurato di vivere in una botte di ferro, rimaneva il pericolo di qualche “scheggia impazzita” della carta stampata, che qualcuno facesse disinformazione…pardon, vera informazione.
Anche la carta stampata doveva essere controllata: non si poteva correre il rischio che un’informazione veramente indipendente giungesse ai cittadini. Se riflettiamo sul “lavaggio del cervello” compiuto sugli americani per convincerli che la guerra in Iraq era necessaria per sconfiggere il terrorismo – mentre in realtà ha “aperto” lo scenario iracheno alle formazioni guerrigliere islamiche transnazionali – ci rendiamo conto che non si poteva correre il rischio di voci veramente “fuori del coro”.
In campo energetico, le recenti campagne pubblicitarie condotte dall’ENEL hanno addirittura un contenuto quasi subliminale: scomodando un attore del calibro di Giancarlo Giannini – uomo di cultura e di teatro – si cerca di far passare un messaggio che qualifica come “cultura” ciò che viene propagandato dell’ENEL e “non-cultura” ciò che proviene da altre fonti. Una meno recente campagna pubblicitaria dell’ENEL, invece, ricordava che non bastava tracciare dei segni sulla sabbia per creare energia; in quel caso, si comunicava un messaggio che doveva colpire l’inconscio del telespettatore: chi propugna soluzioni “semplici” in campo energetico è un sognatore che traccia inutili segni sulla sabbia.
La realtà è invece più prosaica: il presidente dell’ENI, Scaroni, ha recentemente comunicato che – grazie all’elevato costo del petrolio – anche per il 2006 gli azionisti potranno attendersi “succosi” dividendi.
La quadratura del cerchio possiamo verificarla ponendoci una domanda semplicissima: ENEL ed ENI – due gruppi che agiscono in Italia in un regime d’oligopolio – che necessità hanno di fare pubblicità? Con quali concorrenti devono competere?
Ovviamente la “protezione” del mercato italiano da possibili competitori esteri costa e, difatti, nella finanziaria 2006 l’ex ministro Tremonti inserì dapprima la cosiddetta “tassa sul tubo” che obbligava i due colossi energetici a versare allo Stato una parte dei loro iperbolici utili, per poi trasformarla in un semplice prelievo sui bilanci delle due aziende, che non hanno fiatato né protestato. In pratica, hanno pagato il “pizzo” senza dire “beh”[5][5]. Va da sé che a fronte di queste “acrobazie” finanziarie bisogna che non esistano altre “campane” dell’informazione, proprio come nel calcio nessuno poteva permettersi di contrastare Moggi & Co. : chi non è d’accordo viene confinato nei “recinti” della “disinformazione”.
Questo sistema di protezione dell’informazione di regime, però, costa ogni anno circa 600 milioni di euro, ossia la quota che viene versata ogni anno dallo Stato alle testate giornalistiche che fanno capo ad un’area politica, anche se non sono organi ufficiali di partito.
Riflettiamo che la cifra (alla quale si devono aggiungere i contributi per l’acquisto della carta) è, per ordine di grandezza, un valore da Legge Finanziaria: gli esborsi che lo Stato prevede per finanziare la missione in Iraq o per rinnovare i contratti pubblici sono abbastanza simili[6][6].
Perché lo Stato mette a bilancio una cifra così alta per la carta stampata, e con quali procedimenti regola l’esborso?
Il meccanismo è semplice: basta che 2 (due!) parlamentari confermino che quel giornale è “voce” di un movimento o di un’area politica ed il quotidiano o mensile che sia ha accesso ai finanziamenti. Testate come Libero, Il Foglio, Roma, l’Unità e tantissimi altri ne beneficiano, con finanziamenti che vanno da qualche centinaio di migliaia di euro fino a quasi 10 milioni l’anno per i più grandi.
A queste già cospicue cifre vanno aggiunti i contributi che tutti i giornali ricevono per l’acquisto della carta: in sostanza, ti compriamo parte della carta e paghiamo i giornalisti. Che cosa vuoi di più dalla vita per essermi fedele? E, in effetti, sono fedelissimi come lo erano gli arbitri a Moggi.
Niente da fare: qualsiasi percorso si scelga c’è sempre qualcuno che deve garantire. Ma garantire che cosa? Se le capacità professionali vengono verificate a parte, mediante un apposito esame, non si tratta di sorvegliare affinché non siano iscritti come giornalisti persone che scrivono “squola” con la “q”[7][8].
Il governo di centro destra aveva proposto d’aggiungere a questo calvario anche la specifica laurea in Lettere, Giornalismo, ecc, ma il Consiglio di Stato ha bocciato l’iniziativa e l’Ordine ne ha preso atto con gran tristezza:
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti denuncia il responso del Consiglio di Stato, che blocca la modernizzazione e la liberalizzazione meritocratica dell’accesso alla professione giornalistica mediante l’esclusivo percorso universitario.
Il comunicato dell’Ordine è quasi ridicolo: dopo aver steso quel “campo minato” di richieste e controlli osano parlare di modernizzazione e liberalizzazione? Bisogna riconoscere che restringere ai soli cittadini laureati la possibilità di partecipare all’informazione cozza contro alcuni principi costituzionali, giacché non è possibile equiparare le competenze professionali che deve possedere un medico con quelle di chi scrive: se il problema è di verificare le competenze, bastano ed avanzano gli specifici esami atti a verificare soprattutto la conoscenza degli aspetti giuridici attinenti al mondo dell’informazione.
A questo punto potremmo proibire di cantare a chi non ha completato gli studi al Conservatorio, potremmo estromettere dalle compagnie teatrali coloro che non hanno frequentato l’Accademia d’Arte Drammatica cosicché – solo per citare un caso fra i tanti – un certo Fabrizio de André si sarebbe probabilmente distinto in una fulgida carriera come bancario o portalettere, invece di scrivere canzoni che hanno cambiato addirittura il costume e che sono riportate nei testi scolastici.
Anche se il Consiglio di Stato ha motivato il parere con altre argomentazioni (conflitto di competenze fra Stato e Regioni, ecc.), sarà apparso evidente che si trattava anzitutto di una forzatura costituzionale, alle quali, ahimé, il governo Berlusconi ci ha abituati.
Ricordiamo infine che Enzo Biagi – che ha ricevuto numerose lauree honoris causa – non ha conseguito a suo tempo una laurea, eppure è considerato il più bravo giornalista italiano vivente. Fu questa la ragione che condusse alla sua estromissione dalla RAI?
Sappiamo che Berlusconi – con il cosiddetto “editto bulgaro”, giacché pronunciato mentre si trovava in Bulgaria – sentenziò l’ostracismo per Biagi, Santoro e Luttazzi, che puntualmente furono cacciati dalla RAI: bisogna riconoscere che il luogo d’emanazione della sentenza fu scelto con sagacia.
Il caso dei tre giornalisti ha fatto chiasso per anni, mentre nel silenzio più buio stuoli di giovani che vogliono diventare giornalisti devono percorrere una via che – altro non è – che una sequela di prostrazioni ai potenti per ottenere una cosa semplicissima, la più “amata” dagli italiani: una raccomandazione.
Tutta la sequenza di richieste racconta una sola vicenda: prima d’affidarti una rubrica su un giornale, vogliamo essere ben certi che scriverai soltanto ciò che ti consentiremo di scrivere e non quello che scoprirai o che ti verrà la voglia d’indagare.
Se poi “sgarri” – e pensi d’aver scoperto che con i soldi della cooperazione italiana in Somalia viene gestito un traffico di rifiuti tossici – guarda a caso ti crivellano di colpi nel centro di Mogadiscio. Ilaria Alpi e Miran Hrovatin non sono gli unici giornalisti ad essere stati uccisi perché raccontavano la verità: De Mauro raccontò le vicende di mafia e Siano quelle di camorra, ed entrambi furono uccisi.
La più rilevante attestazione per entrare a testa alta nel mondo dell’informazione la rilasciò il signor Licio Gelli, Gran Maestro della Loggia P2.
Carlo Bertani bertani137@libero.it

www.carlobertani.it

www.disinformazione.it

[1][1] Alcune stime, che si basavano sulla partecipazione alle grandi manifestazioni, conducono a ritenere che circa un milione di giovani italiani facesse riferimento ai gruppi della sinistra extraparlamentare, mentre in tutti i processi per il terrorismo degli stessi anni il numero degli imputati – anche di quelli minori, i cosiddetti “fiancheggiatori” – non supera le 5.000 unità. E gli altri 995.000?
[1][2] Ricordiamo soltanto le recenti leggi introdotte dal governo Berlusconi: il tentativo di frantumare l’unità sindacale con il “Patto per l’Italia” (poi disatteso, a conferma che l’obiettivo era un altro), la legge Gasparri sull’informazione e la controriforma della Costituzione. Tutti provvedimenti previsti nel “piano” della P2, tanto che Licio Gelli ha recentemente dichiarato: « Forse sì, dovrei avere i diritti d'autore».
[1][3] Il governo Craxi varò due decreti per affidare il monopolio televisivo a Berlusconi, il secondo dei quali imposto ai parlamentari con il ricatto dello scioglimento anticipato delle Camere. Marco Travaglio op. cit.
[1][4] Per una più completa “carrellata” sui rapporti fra Berlusconi e vari potentati (palesi ed occulti) di quegli anni consiglio la lettura dei libri di Marco Travaglio: L’odore dei soldi, Berlusconi (insieme a Peter Gomez) ed altri.
[1][5] La prossima “guerra” energetica avverrà fra i monopolisti italiani e Gazprom, il colosso russo, che per continuare a rifornirci ha chiesto di poter gestire autonomamente una quota del mercato. In alternativa, il gas destinato all’Europa potrebbe finire in Cina: sic stantibus rebus.
[1][6] La missione in Iraq costa al contribuente quasi un miliardo di euro l’anno (considerando tutte le spese, anche quelle nascoste abilmente nelle “pieghe” di bilancio), mentre il rinnovo di un contratto come quello della Scuola (che viene rinnovato, per la parte economica, ogni due anni) costa circa 300 milioni l’anno.
[1][7] Tutti gli estratti provengono dal sito ufficiale dell’Ordine dei Giornalisti.
[1][8] A tal fine, propongo agli increduli un interessante esperimento. Provate a copiare dal Web un articolo di una grande testata in Word (dove vengono chiaramente evidenziati gli errori ortografici): provare per credere.
[1][9] Le pagine gialle della P2, di Marco Travaglio.


ID: 4183  Intervento da: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Data: venerdì 18 agosto 2006 Ore: 14:45

Visto che il forum è pure blog, non ci risparmiamo opinioni e pensieri senza interlocutori a fronte.

L’ O S P I T E E’ S A C R O
Farsa di Franco Penza Torre del Greco (1967)

Scena: Interno di una casa rurale
Personaggi: Un giovane, due donne, due uomini.
Si ode bussare alla porta. Apre una delle due donne.
PRIMO UOMO: Buongiorno.
PRIMA DONNA: Buongiorno. Chi volete?
PRIMO UOMO: Abita qui il signor…
PRIMA DONNA: Si, si. Siete voi gli invitati dei quali egli parla da tempo?
PRIMO UOMO: Si, siamo noi (Entrano i due e siedono ai lati della tavola).
PRIMA DONNA: Accomodatevi. Accomodatevi. Ehi, tu, sono i tuoi amici. Vieni subito.
GIOVANE: (entrando) Ah, finalmente ho il piacere di avervi a casa mia.
Esce la donna a preparare qualcosa da bere.
Ho detto casa mia. Ma in verità è casa sua.Lei mi ha cresciuto, perché ha perso il marito da oltre venti anni. Cioè da quando sono con lei.
PRIMA DONNA: (entrando) Sentivo parlare,. Di che si discuteva. A me piace conversare. Che volete, da queste parti difficilmente s’incontrano persone che sappiano conversare.
PRIMO UOMO: (sorseggiando il caffè che la donna ha posto sulla tavola). A parte la stanchezza, ad una certa età, davvero è bello solo conversare. Ricordare le cose belle del passato, che non appartiene più a noi. Appartiene a questa esuberante gioventù!
SECONDA DONNA: Permesso? Buongiorno! (Notando volti estranei, si rivolge alla sorella) abbiamo visite? (porge la mano ai convenuti). Piacere. Piacere. (Siede).
PRIMO e SECONDO UOMO: Onorato. Molto lieto.
GIOVANE: Datemi un po’ di permesso. Debbo rimettere le galline nel pollaio. Hanno razzolato finora. E’ bene che le sistemi.
SECONDO UOMO: Va bene, non ti preoccupare di noi.
PRIMO UOMO: (rivolto alla proprietaria) Gentile signora, come vi trovate qui? Io credo che con questa solitudine, bella fino ad un certo punto, ci si debba annoiare.
PRIMA DONNA: E’ vero, verissimo. Ci si annoia, a volte, da morire. Ma come ovviare?
SECONDA DONNA: Ma l’uomo è un essere insaziabile.
PRIMO UOMO: E’ così. Ma questa è la vita. In un paese dell’Italia Meridionale, che io non cambierei con nessun altro al mondo, un proverbio dice:”O mangi questa minestra, o c’è la finestra!”
PRIMA DONNA: Quanto filosofare per nulla. Ammiro davvero la vostra favella, ma io penso che proprio non ci sia nulla da fare.
PRIMO UOMO: Qualcosa ci sarebbe da fare!
PRIMA DONNA: E che cosa?
Entra il giovane.
GIOVANE: La discussione s’è fatta interessante. Di che si parlava? M’è parso che si parlasse di Pinocchio. Che fu capace di combinare con quelle gambe di legno! Che testa quel Collodi!
PRIMO UOMO: Proprio di Pinocchio non si discuteva. Ma di burattini certamente si. Infatti, noi siamo tanti pupi manovrati da mano suprema. (si accosta sempre di più alla donna, mentre l’altro guarda fissamente la sorella, che ricama interrottamente).
SECONDO UOMO: Signora, voi non parlate, non fiatate. Raccontatemi un po’ la vostra storia ( si accosta ancor più a lei).
SECONDA DONNA: E’ triste la mia storia. Che solitudine.
SECONDO UOMO: Annullate la solitudine, annullatela, finché c’è tempo! (Il giovane tenta di discutere, ma nessuno gli da ascolto).
GIOVANE: Ho un albero che ogni anno mi dà quintali e quintali di limoni! (ripete più volte la frase. Poi siede spalle al pubblico al centro della tavola, braccia conserte, ascoltando i discorsi degli ospiti).
PRIMA DONNA: Qui solo la natura, matrigna, affascinante, o come dir si voglia, ci tiene in deliziosa compagnia. Ovvia a tante cose. Il mare, il sole, le stelle sono cose verso le quali ci si sente attratti più di ogni altra cosa. E lo stesso amare impallidisce davanti a questo creato.
PRIMO UOMO: Beata voi che non conoscete le brutture, che affliggono questo mondo. Beata voi che non sapete cosa sia ipocrisia, vanità, invidia, cinismo. La gente osanna davanti e seppellisce dietro. Crede nelle sue inesistenti qualità, ci si atteggia a divo per nulla.
PRIMA DONNA: La modestia è finita in un canto!
PRIMO UOMO: Se non sentissi più l’assordante rimbombo delle auto, se non sentissi più gridare, bestemmiare, diventerei pazzo! A me annoia tutto. Anche quel cinguettio degli uccelli, quella musica delle cicale. Malgrado tutto ho paura del domani. Incerto. Tutti soffrono, ma io più degli altri. A volte mi sembra che sulle spalle avverta più d’Atlante il peso delle pene del mondo! Signora, la vita è bella. Tanto bella. E voi state qui ad aspettare che passino gli anni, inutilmente, sciupando la vostra bellezza. (La donna lo guarda sempre più entusiasta).
Avete gli occhi color mare, avete uno sguardo intelligente. Vorreste amare davvero?
SECONDO UOMO: (facendo l’eco) Vorreste amare davvero? (rivolto alla sorella). Le due coppie si tengono per mano.
GIOVANE: Avessi pure cent’anni, avrei sempre da imparare! Solo per questo a me piace vivere. Stamani ho imparato un’altra cosa. Niente amici a casa. Ospitalità a nessuno. Amici, l’ospite è sacro!
Sipario

Era il 1967. Dopo esperienze di teatro tradizionale, Franco Penza pensava di togliere un po’ di muffa ai testi del passato. Le occasioni non mancarono. Il MALEDETTO INCASTRO è una delle prime farse con cui egli tenta di porre in evidenza l’arretratezza in molte zone d’Italia, dove non era e non è arrivata la civiltà. L’OSPITE E’ SACRO nacque un mattino che io andai a trovarlo sul posto di lavoro di un cantiere alle falde del Vesuvio. Il capo fu invitato da un lavoratore a casa a pranzo ed io con Franco andammo con lui. Dopo la colazione e un bicchiere di vino, appuntai il tutto.
La farsa fu rappresentata dopo pochi giorni. Ancora una volta si sottolineava che nel talamo avvenivano le cose più impensabili. La signora, adottando il giovane orfano, se ne serviva come fonte masturbatoria. (A.F.C.)

Dott. Franco Penza. direttore del Giornale "L'Infinito"


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