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Argomento presente: « IL TEATRO di Franco Penza » | |||||
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ID: 5052 Intervento
da:
Penza Francesco
- Email:
francopenza@interfree.it
- Data:
venerdì 17 novembre 2006 Ore: 13:49
Teatro La compagnia teatrale ha presentato l’8 novembre 1969 al Centro di Rieducazione “Fiorelli”, il 9 all’O.N.P.I. e il 16 all’Opera Giovanile salesiani di Bellavista, gli spettacoli “Tutte surde” di Antonio Petito, “Abbasso il forloccone” di Vittorio Metz, e il “Maledetto incastro” di Franco Penza. Le rappresentazioni hanno riscosso un buon successo grazie alle ottime interpretazioni di Carmela Giglio, Mike Bozzetti, Franco Penza e Antonio Fedele Cesi. La Compagnia sta allestendo i tre atti di Luigi Mari “Pietà per la pecora nera”. Trama de Il maledetto incastro. Paraninfi, fattucchiere, menzogne formano la squallida materia, intorno alla quale si articola “Il maledetto incastro2. Uno spettacolo che denuncia apertamente la gretta forma mentis degli abitanti di alcune plaghe del mondo, malgrado lo sbalorditivo progresso di oggi. Un giovane pensa di trovare per caso il vero amore in una zona rurale. Suppone che la ragazza si salvi dal naufragio ambientale in cui vive. Invece deve amaramente ricredersi. Il poveretto assiste inebetito ad una formidabile ma maledetta rappresentazione. A completare l’opera desolante, vengono imposti altri amori. Un maledetto incastro, in cui le personalità sono annullate da un matriarcato ormai fuori moda. Siamo alle ultime battute ed abbiamo appena iniziato. Il denaro è la base dell’amore, la superstizione è la regina dell’ambiente, la bugia è la dea imperante. Litiga il primo, poi obbligatoriamente il secondo, il terzo per ordini di scuderia. Se fosse caduta una delle sei pedine, tutto sarebbe fallito miseramente. Quod erat demostrandum. Il mosaico traballa, poi rovina. La farsa è finita. Il puparo, ovvero la patriarca, è fuori combattimento, ma forse non sa che prima di iniziare ha già perso la pugna con la signora civiltà. A proposito, dopo 37 anni caro Gigi Mari, ti chiedo di pubblicare “Pietà per la pecora nera”. Su Orsino puoi scrivere liberamente, se continua a presentare le sue “Madonne” sulle strade. Saluti Dott. Franco Penza |
ID: 5014 Intervento
da:
Penza Francesco
- Email:
francopenza@interfree.it
- Data:
domenica 12 novembre 2006 Ore: 12:12
L’INFINITO Giugno 1976. Vincenzo Coscia professore di Lettere del Liceo de Bottis di Torre del Greco LA VITA E’ LA MORTE Le liriche della raccolta “Sintesi Analisi” di Franco Penza acquistano pregio e forza dagli ideali dell’Ermetismo, a cui aderiscono. Come ben si sa, l’ermetismo è la più alta espressione di poesia di questi anni, quella tendenza, appunto, che con impegno e serietà riflettei travagli dell’uomo di oggi. Quindi, anche le liriche di questa raccolta si contraddistinguono per il peculiare stile e per il particolare contenuto dell’ermetismo, pur nella loro semplicità, linearità, tono sommesso, mancanza di aggressività. Anche qui la parola si è rarefatta, è divenuta puro segno sul foglio, ma nel tempo stesso, è capace di suscitare in noi quel contenuto, che non viene espresso, ma solo suggerito con la melodia, che il verso e le parole creano. Anche questi versi chiari e lievi, fatti di termini essenziali ed emblematici, hanno la forza di eccitare la nostra fantasia e parlare al nostro spirito. Pertanto, non occorrono al Penza molte parole per intessere lunghi discorsi: i suoi versi, che sembrano esili, hanno in sé tanta carica e tanto contenuto da dire più cose, da suscitare più vivide immagini di tante altre composizioni poetiche dalle molte parole e dai ben torniti discorsi. Portiamo come esempio il breve ed immenso componimento dal titolo “Dettato”: La vita La vita è La vita è la morte. Ci si apre davanti tutta intera l’esistenza con il suo drammatico contenuto: ci si sottopone alla nostra meditazione la nascita dell’uomo, lo svolgimento doloroso dell’umana esistenza ed infine il desolato epilogo. Non occorrono altre parole, stonerebbero, sarebbero inutili e inefficaci per un’accorta meditazione sul nostro destino, sulle nostre pene, sulle nostre delusioni e, per alcuni, sull’assurdità della vita, invece per altri, sul mistero che ci avvolge prima e dopo la morte. E che dire dell’altra lirica: “Stagioni”?: Culla Giovinezza Senilità Bara Rivolo travolgente. E’ più consistente del “Dettato”; per quanto concerne il pur semplice contenuto, integra la precedente lirica (ciò non ha importanza; non ha importanza se vi sono in una poesia più o meno parole). Richiamiamo l’attenzione sul termine conclusivo “rivolo” che non indica un innocente rigagnolo, ma in generale un corso d’acqua. L’essenziale è il fatto che la poesia del Penza è un insieme di immagini delicate e suadenti. Ancora un altro esempio: “Sognare”: Un verdeggiar di monti Un’infinita valle Una mente vaga Un ruscello Un uccello Un fruscio d’albero Dormo. Poesia sussurrata e pur penetrante più di lunghi discorsi con frasi smaglianti e svolazzanti, levigate e altisonanti. Oltre che per la forma, l’adesione del nostro poeta all’ermetismo è dovuta anche al contenuto: una chiara nota di intenerimento, una raccolta preoccupazione, che sovente sfocia in sommessa tristezza. Occorrono altri esempi? “La vita”: Luci tremolanti Gioie illusioni Elegante satira. “L’esistenza” Alberi Foglie Speranze Inutile esistenza. Esempi di poesia ridotta all’essenziale, alla rarefazione della parola, intesa come evocatrice di immagini, di tutto il mondo, creato dalla nostra intuizione. Gli stessi sentimenti anche nelle poesie in dialetto, le quali si ricollegano alla più viva e vera tradizione partenopea. Meno splendide di quelle in lingua, anche se di più ampio respiro, furono composte negli anni della prima giovinezza del poeta: c’è la spontaneità e i limiti di un ragazzo alle prime esperienze. Comunque, oltre a contenere i motivi delle liriche in lingua, ne contengono altri, dettati dall’antica ed immortale filosofia popolare e meridionale. Vi si può rintracciare una sottile vena di pessimismo, nella composizione “Che so nnato a ffa!”: Nun saccio che so nnato a ffa, me dumandaie tantu tempo fa. Forse pigliato d’’o sconforto, forse p’ato, però no a tuorto. Mo’ stu pensiero s’è fatto assillante, addo stongo me tormenta, po me scordo e m’arricorde o pe bene o pe discorde. So nnato stuorto ‘e cerevella, forse so guaglione e pessimista, ma io a vita mia a mettarria all’asta. Na vota sola ride sempe quanno ‘a vicchiarella mia vicina ‘a lampa vede ca so triste e chiagne: Allora so nnato e che so nnato a ffa? O di malinconia in “Vierno”oppure, per contrasto e per evasione, un incantato abbandono alla baldoria ed alla superficiale allegria in “Piedigrotta” e in “A festa”, oppure tanto intenerimento in “Natale” e l’aspirazione ad evadere dalla tristezza in “Anno viecchio” Questi alcuni dei principali motivi. Tutto ciò per concludere ci suggerisce la poesia di Franco Penza, poeta di viva sensibilità e di fine gusto, pronto ad esprimere in versi di fattura moderna la sua sofferenza e la sua tristezza di fronte al mistero del mondo e dell’umana esistenza. Prof. Vincenzo Coscia professore di Lettere del Liceo de Bottis di Torre del Greco |
ID: 4907 Intervento
da:
Penza Francesco
- Email:
francopenza@interfree.it
- Data:
giovedì 2 novembre 2006 Ore: 17:34
Giornale L’INFINITO (Il Penzatore) Marzo 1972 L’ARTE E LO SPIRITO UMANO di Vito Nocera Oggi segretario di Rifondazione comunista in Campania Il pensiero, il movimento di un attimo, la carezza di uno sguardo sono l’arte. Un sogno, una chimera mai raggiunta, un bacio: l’arte. La morte di un bimbo, il volare al cielo dell’anima di un papà, il pianto di una mamma: questa è l’arte; l’arte della vita. Non esistono più antonomasie o altre cose del genere, noi in questo momento rinneghiamo tutto, lo rinneghiamo a ragione, non consideriamo più la esistenza di una pittura o di una letteratura o di una poesia, belle arti per eccellenza; i nostri sensi, il cuore, la mente, gli occhi ci permettono di credere in ben altro, ci permettono di vedere o quantomeno sentire ciò che accade all’al di là oltre il muro di cinta, che inesorabilmente circonda la nostra vita. Siamo artisti, se conosciamo i battiti del nostro cuore, se riusciamo almeno una volta sola a respingere una ragazza che si offre, se riceviamo la spinta necessaria per lasciar perdere l’automobile, tanto dovevamo comperare le sigarette dal tabaccaio a poco più di cento metri. E’ così o mi sbaglio? Penso sia proprio così, solo non ripetendo cose già fatte potremo essere dei veri artisti tutti. Pensate un po’, se ci mettessimo a dipingere, non faremmo altro che ripetere l’arte della pittura e quindi di conseguenza sarebbe una ripetizione di un’arte inventata secoli or sono, quindi fuori tempo e in questo caso, cari miei, il pittore non è più artista, ma manierista! Il manierista è colui che esprime fuori tempo valori non suoi, i manieristi, per dirla meglio, sono coloro che affascinati dall’arte di Raffaello vollero seguirla e ripeterla, senza però accorgersi che anche essa era in parte permeata di manierismo. Quindi penso che sia semplicemente assurdo parlare di pittura scultura poesia e chiamarle arti; oggi l’arte è un’altra cosa, qualche cosa di diverso, dalla semplice tela imbrattata, anche se con qualcosa di moderno, qualcosa che s’avvicina più alla Divina Commedia e a I Promessi Sposi; l’era dell’O di Giotto è tramontata, come è tramontata l’epoca del bello, dell’Espressionismo, del Barocco, del Romanticismo. Oggi la popolazione del globo, pur avvertendo lo spaventoso progresso tecnologico che ci sommerge e ci fa zittire, rimane ancorata a forme di vita, non certamente esteriori, superate dal tempo, ma anche nel grigio generale, assoluto, io non posso non credere nell’esistenza di colui che magari da solo seguirà la linea giusta, senza inciampare di fronte ad ostacoli, che sono costituiti dal nulla; e questo è il pericolo, perché nella disperazione del nulla che si batte l’uomo moderno. Franco Penza |
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