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Argomento presente: « FRATE UMILE BEATO DA PORTICI » | |||||
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ID: 15970 Intervento
da:
la redazione
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info@torreomnia.it
- Data:
martedì 19 novembre 2013 Ore: 00:09
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ID: 15969 Intervento
da:
la redazione
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info@torreomnia.it
- Data:
lunedì 18 novembre 2013 Ore: 23:56
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ID: 15968 Intervento
da:
caterina cavaliere
- Email:
cavaliere.caterina@gmail.com
- Data:
lunedì 18 novembre 2013 Ore: 21:49
Anch'io avrei da raccontare tanti fatti accaduti a tutta la famiglia, iniziando dalla nonna che ci ha tramandato la storia di Fra Umile e dell'asinello. Io sono nativa di Ercolano, quindi ho conosciuto Fra Umile fin da piccola fino alla sua morte, e so bene che già in vita era un Santo. Devo personalmente tanto a Lui e sono stata felice ed emozionata quando il Papa ha pronunciato il suo nome. Questo è solo l'inizio. Prego sempre Fra Umile e S. Pasquale per la Provvidenza e non mi mancano le sue foto sparse per casa. Grazie Gesù. |
ID: 5247 Intervento
da:
la redazione
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info@torreomnia.it
- Data:
sabato 9 dicembre 2006 Ore: 13:39
FRATE UMILE DA CALVISI A Calvisi, in provincia di Caserta, Rosaria D’Amato nel mese di maggio venne sorpresa da improvvisi dolori al ventre. Padre Berardo Adonna, avvicinatosi alla donna e posta la mano sul ventre, esclamò:”Sta fermo! Io ti do l’ubbidienza! In questo sacchetto v’è un figlio di S. Francesco d’Assisi!”E nel pronunciare le parole i dolori cessarono. Il 14 giugno del 1910 venne al mondo Giuseppe Fidanza, poi fra Umile. All’età di sei anni ebbero inizio in lui i segni premonitori di una superiorità misteriosa e solenne. Egli prese la via solinga dei campi e rivelò da piccino vocazioni ardite nel campo della religione. A sette anni compì un gesto incredibile: sulla cappa della tettoia rossa della sua casupola ammassò teschi umani. “V’aggia mettere miez’e cap’e morte, pecchè chello simmo e fujte d’’e peccate!” (Così rispose ai suoi, dopo che fu redarguito: (Vi debbo mettere tra le teste di morto, perché quello siamo e dovete fuggire dal peccato). Sul ventre mise una cinghia cosparsa di chiodi. Un giorno si rinchiuse nel cimitero. Da un tumulo male custodito trasse un teschio: e lo nascose in un giornale. Saltò il muricciolo di cinta e si avviò verso casa. Pose il teschio in un angolo della stanza e si assopì sul pagliericcio. L’incubo, la profanazione, la visione del morto lo assalirono: “Io sono il prete Vastano e quella testa m’appartiene. Torna figliolo a darmi sepoltura.” Giuseppe si incamminò verso il camposanto, infilò il corpo nell’inferriata e ripose il teschio del parroco, coprendolo con dei sassi.. Il padre, come era solito, radunò i figli, dicendo:” Abbiamo tre piante di castagne, prima che i ladri colgano i frutti, andate e riempite i vostri sacchi!” I fratelli riempirono in breve tempo i sacchi di ricci. Si meravigliarono tutti, quando arrivò il piccolo Giuseppe, che barcollava sotto il carico. Da un pezzo di legno di acero ricavò un crocifisso. Alla Madonnina da Lui dipinta nell’andito della casetta egli rivolgeva i suoi sguardi. Quante messe ha servito? Infinite. Puliva le statue, le riverniciava, strofinava i candelabri d’argento, costruì il pavimento con giochi di fiori. Un giorno, mentre stava entrando nel tempio, si sentì spingere indietro e ruzzolò sui tre scalini d’ingresso. Provò ancora, ma venne sospinto con vigore e cadde nel mezzo della strada. Ritentò, ma la forza magnetica lo teneneva inchiodato ad un metro dalla porta della chiesa. Giuseppe non si ritenne vinto, si legò una corda alla vita e i compaesani lo trascinarono nella casa di Dio. Nel luglio del 1933 fu accompagnato dal sacerdote Don Pasticci al convento di S. Pasquale di Piedimonte d’Alife.. Come novizio era adibito alla spesa giornaliera e il suo guadagno era di otto lire al giorno, che dava alla mamma. Militare, dietro pressione del padre, fu assegnato al Reggimento di Artiglieria da Campagna di stanza a Cesena. Il suo calvario durò quattro mesi. Poi trasferito a Bologna presso l’ospedale Militare incontrò l’ufficiale cappellano comprensivo. Terminati i diciotto mesi della ferma, rientrò subito nel convento. Andava questuando, quando nel settembre del 1933, ebbe ordine dalle Autorità francescane di raggiungere la sede di Portici. Conversava con “Cicciariello”, un asino, scorse un maniscalco, gli chiese di ferrare l’animale. Venti minuti dopo con gli zoccoli lucenti intendeva riprendere il cammino. Il maniscalco chiese i soldi. “ Di quali sorde me vaie parlanne. (Di quali soldi mi parli). Scese dal biroccio, sussurrò due paroline nell’orecchio di “Cicciariello”, che diede due colpi sulla terra e staccò i due zoccoli. Una donna aveva lasciato esanime il corpo di sua figlia a casa . Appena giunto tra la folla, Fra Umile disse:” San Pascale t’ha fatto già ‘a grazia: Torna ‘a casa”. Ad Airola in una masseria della periferia per l’elemosina, una contadina lo pregò di dare un’occhiata alla gallina sua, che non produceva più uova. “Chesta gallina farà l’ove ‘n’ata vota e ‘o primmo sarà speciale, pecchè ten’a forma d’’o zucchetto”. (Questa gallina farà le uova un’altra volta e il primo sarà speciale, perché tiene la forma dello zucchetto). Un fattore di Paolisi rifiuta l’olio a fra Umile per la lampada di San Pasquale, ma appena fuori la fattoria il recipiente scoppia. La sua predica era intensa anche se rudimentale:”Pe cchesto nuie pure si simmo ‘e padrone d’’a terra, dobbiamo stare alle leggi del superiore e non guardare ai beni temporali” Non è un rabdomante, non sa di metafisica, non conosce il pendolo e la radioestesia, ha solo doti extrasensoriali con fenomeni di telepatia e bilocazione: Per questo è “Il telegrafo di Dio”! Spesso afflussi di sangue alla testa con abbondanti perdite nasali ematiche. La sua pressione arteriosa è alta. Di cure non vuol sentire. Nel 1947 fu colto da una grave malattia. Lo davano per morto. Ma gli appare San Pasquale e guarisce. Nel periodo più infuocato delle elezioni, preso di mira dai propagandisti, tollerò finché poté, affronti e dileggi, alla fine passò al contrattacco. Un Tizio dopo averlo provocato con spintoni gli gridò che tutti i religiosi sarebbero stati appesi come salami agli alberi. “Guarda a te, figlio mio, nun fa arraggia a Cristo! (Bada a te, figlio mio, nun fa arraggià a Gesu Cristo). Dopo aver gozzovigliato, il trasgressore morì. I presentimenti la scienza chiamerebbe sincronismi. In una delle permanenze a Portici il fratello Liberato s’accorse che gli mancava l’acqua per radersi. Chiamò il fratello, che lanciò un bicchiere colmo di liquido dalla finestra, che si posò ai suoi piedi. Nel 1946 andava per le campagne a chiedere vino per S. Pasquale. “Zì mo’, s’è fatto tardi. Vino nun ne tengo!” “E ‘e dieci votte che tieni dint’o cellaro, ‘e chi song!” (E le dieci botte che hai in cantina di chi sono?). “E’ acito!” “E acito adda essere!” E divenne aceto. Poi dopo che il colono chiese scusa l’aceto ritornò vino. Un albero di albicocche cominciò a produrre buoni frutti. I fagioli perduti ritornano commestibili. I porcellini, gli agnellini, i polli vengono donati a Lui perché malati, ma Egli li sana. Peritonite perforante, ernia ombelicale strozzata guarite. Guida e redenzione per peccatrici e usurai. Cancro all’utero scomparso. I maialetti risorgono dopo una notte di tempesta. I moribondi vengono respinti. San Pasquale Baylon fu francescano alcantarino, umile pastorello, entrò nell’ordine, dove condusse vita austera e contemplativa, ma non volle per umiltà accedere al sacerdozio. Favorito di carismi, del dono di miracoli e di sapienza infusa, benché illetterato, rimase portinaio del convento per tutta la vita, tuttavia richiesto di consiglio da illustri personaggi. Si potrebbe parlare di reincarnazione, se non fossimo cristiani, ma le affinità elettive tra i due frati ci sono. La meditazione s’impone. Il Signore sceglie anime semplici per dimostrare che tutto è vanità e non sarebbe il caso di dividere il mondo in ricchi e poveri. Mia zia Elena, mia cognata Teresa, e le mie sorelle erano nelle lunghe fila per l’udienza privata al Granatello e hanno un ricordo vivo dell’incontro a distanza di molti anni. Ricordo che per la causa di beatificazione è postulatore Padre Cirillo. Il 3 di ogni mese la prof. Orsola Papaccio guida i pellegrinaggi sulla tomba del frate di Calvisi. Dopo il flash dei giorni scorsi, un po’ di storia era necessaria, visto che il frate ha percorsole nostre strade per oltre 50 anni. Dott. Franco Penza |
ID: 5197 Intervento
da:
Luigi Mari
- Email:
info@torreomnia.com
- Data:
lunedì 4 dicembre 2006 Ore: 14:25
Caro Franco, chi non ti conosce come me da mezzo secolo non vede la Tua polidricità, non apprezza il substrato culturale che ribolle dentro e drena solo con blande proposizioni didattiche. Il vulcano esplosivo è tenuto castigato dalla convenzione coatta del buon senso che prende molti condottieri moderni. Nel 1964 fosti direttore responsabile de IL CORALLARTE e de IL PERSEO editi dall’Istituto d’Arte, nel 1965 de L’INFINITO, nel 1970 de IL PENZATORE e de IL NUOVO PENZATORE, editi dalla Tipografia Mari, di SELEZIONE MEDICA (1985) e de LA NUOVA TRIBUNA D’ITALIA (1991) Università di Medicina e Chirurgia di Napoli, de LA VOCE AMBULANTE nel 1988, edita dall’UNVA Unione Nazionale Venditori Ambulanti, de L’ABC, edito da Ceci, (1984-87), LE DUE TORRI (1989). Hai collaborato a RISVEGLIO SOCIALE, LA TORRE, IL VESUVIO, LA VOCE DELLA PROVINCIA, AVE MARIA, BOLLETTINO DELL’ORDINE DEI MEDICI con articoli di critica d’arte e di costume e di medicina. Tocca a me. Adesso tocca a me parlare del mio amico Franco con il quale ho diviso gioie e dolori, quando inaugurai in via Purgatorio la mia Tipografia. Egli, giovane disoccupato, componeva a mano i pezzi del Pensatore - La passione del Giornalismo per Franco Penza è stata irrefrenabile e lo è fino ad oggi. Se i giornalisti di grido, le cosiddette "firme" mettessero insieme al braccio la mente e il cuore, allora non si cadrebbe nelle lottizzazioni e nel degrado. Franco Penza è un puro. Per questo credo che Antonio Fedele Cesi abbia scelto il titolo "Una vita sbagliata", poi modificato di comune accordo in "Una vita difficile" . Sbagliata? Perché non ha mai smesso di sognare, perché talvolta non ha tenuto i piedi ben fermi sul pavimento e ha levitato un po’? Questi pezzi sono estratti dal libro "Da Magonza a Torre del Greco" di cui Franco mi aiutò a correggere le bozze. Sono una parodia del giornalismo locale che tale non è mai stato perché negli anni settanta con i mezzi limitati del cartaceo, si facevano notiziari a josa, ma non giornalismo, quello che attacca, che polemizza, che dice il vero a costo di pagarne lo scotto. E c'è ancora chi storce il naso a causa della pochezza dei mezzi dimenticando l'entursiasmo e la volontà di costruire che non perde nulla sotto la dimensione anche se dilettantistica dei mezzi. Ed il perfettino perbenista critica, e "taglia", e pettegola, e garrisce la sua ostentata virilità e la sua superiorità presunta che affonda i tentacoli nelle anime altrui, per riporle nelle tasche della propria convenienza, nello scrigno ereditario, sacro, intoccabile, perché essendo inetto gode delle fortune venute dal cielo. Plauto e Moliere hanno delineato due figure di avari che evidenziano dritto dritto la patologia contraddistinta. Dio mio fa che questi figuri non mi girino più intorno perché potrebbero usale le parole amore, bellezza, giustizia, desiderio; e mi andrebbe di volta lo stomaco. Luigi Mari |
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