ID: 6243 Discussione: - L A T R A P P O L A -
Autore:
Vito D'Adamo
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Email:
Viad37@online.de
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Scritto o aggiornato:
mercoledì 1 agosto 2007 Ore: 10:25
Cari amici,
luglio, tempo di ferie, un racconto di ferie
da Nonnovito, affettuosamente, che vi ringrazia tutti per la nutrita partecipazione al FORUM, c.v.d.(come volevasi dimostrare).
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Vito d’Adamo
Fiat
LA TRAPPOLA
Via Tarocchi correva tra casette ad un piano -un vano terraneo: entrata cucinino pranzo ripostigli servizio; ed uno superiore: una, due camere da letto- e sapeva ancora, nell’ora di luce che rimaneva prima che s’accendesse l’illuminazione notturna, della carne, dei peperoni, dei pesci, arrostiti all’aperto davanti agli usci sulla brace dei fornelli portatili; e continuava, volgendo, fino alla salita detta dei “Carabinieri”. Il caldo era calato quella sera da farti smaniare; gravava basso ed umido, ti sentivi unto e sporco.
I fornelli a carbone erano stati ritirati presso le porte delle abitazioni, perché la brace finisse di consumarsi e il tutto si raffreddasse, prima di essere riposto nei sottoscala. Tre auto erano parcheggiate sbilenche tra strada e marciapiedi; una di queste, una FIAT fresca di fabbrica e con targa tedesca, presentava uno sfregio da chiodo lungo tutta la fiancata. La più parte degli uomini s'intratteneva in piazza; le donne sfaccendavano in casa.
Gna Mariannina, come vide spuntare alla curva Cirino sulla motoretta fracassona, si levò dalla sedia, sulla quale era stata assisa con le spalle rivolte ai passanti, se la trascinò all’interno e serrò la porta a piano terra. Comparve, poi, al balconcino del primo piano e si accomodò su di una vecchia poltroncina, ivi predisposta all’occorrenza tra vecchie graste dalla terra riarsa e dal contenuto bruciato, badando a sventolarsi con un ventaglietto di plastica, attenta a cosa avesse ad accadere questa volta, ché le comparse di Cirino non erano mai prive di emozioni e conseguenze. Giù, sul marciapiede dirimpetto, accanto all’uscio spalancato e protetto da una zanzariera del terraneo, in cui abitavano i suoceri, era disteso su di una sdraio, in canottiera candida e in pantaloncini, Turi “u tedescu”, così soprannominato vuoi perché emigrato in Germania, vuoi per una sua placida cocciutaggine, le gambe allungate e in atteggiamento di dormiente. Accanto a lui, appoggiato allo stipite, il figlio Tanino, un tredicenne già saldo e dai muscoli sciolti, osservava, aggrottando le ciglia, le evoluzioni rumorose e spericolate del coetaneo in motoretta.
Cirino, giunto alla loro altezza, frenò di colpo, diede gas, sconquassando la quiete serale di Via Tarocchi, ripartì sulla ruota posteriore, sfiorò la FIAT fiammante e già sfregiata, ma non fu degnato di uno sguardo dai due. Urtò la macchina, tornando, e questa volta pericolosamente. Tanino fece per scostarsi dallo stipite, ma il padre lo fermò con rapido ammiccare. Passò Cirino e ripassò più volte rasente l’auto, sparando rumore e gas dalla marmitta truccata. Infine s’arrestò, la motoretta in bilico a margine del marciapiede; smontò e si chinò come per affibbiarsi un sandalo, posando con noncu-ranza il piede sul paraurti anteriore della FIAT. Tanino allora si mosse, né il padre aprì gli occhi stavolta; e s’appressò a Cirino, che rimise il piede a terra, si drizzò e stuzzicò con tono innocente:
- C’è cosa?
- Lascia stare la nostra macchina-, rispose calmo Tanino.
Cirino s’erse, a misurare la propria altezza a quella dell’altro; e indugiò con lo sguardo, strafottente, lungo lo sfregio, vistoso sulla fiancata. Ritto era più basso, anche se più robusto di Tanino.
- Ma allora tu non sai chi sono io?-, esclamò beffardo Cirino e, per provocarlo, prese a spingere il giovane, che cedette al primo urto. Incoraggiato dal successo iniziale, reiterò gli spintoni, che non ottennero più l’effetto desiderato. Tanino guardò il padre.
- Fallo cadere-, gli disse Turi in dialetto svevo.
Questa volta la spalla di Cirino non incontrò il corpo dell’antagonista, che s’era scansato rapido, e ne fu sbilanciato. Tanino completò l’azione con un’elegante mossa di judo e Cirino cadde bocconi. Ma si rigirò fulmineo, balzò su di colpo e nella destra gli apparve un coltello.
-T’ammazzo!
Strillò dal balconcino gna Mariannina e si sentì svenire; ma Tanino era già in guardia e scrutava attento l’avversario, raccolto a balzare, e non mostrava d’aver paura né di lui, né dell’arma aguzza. Controllò sottecchi la posizione del padre, che rimaneva con le palpebre socchiuse, né si muoveva, come se la cosa non lo riguardasse; quindi, volgendo le spalle a Cirino, s’avviò in direzione del genitore, oltrepassandolo. Cirino questa proprio non la comprese e furioso s’avventò per colpire; ma Turi tese una gamba, Cirino v’inciampò e cadde ancora una volta per terra. Il coltello gli sfuggì di mano e scivolò lungo il selciato. Lo raccolse Tanino, lo chiuse, lo porse al padre, che lo ripose quietamente in una tasca dei pantaloncini.
Cirino bestemmiò forte e si tirò su dolorante, raggiunse la motoretta e via con gran strepito. Gna Mariannina si trascinò in casa per l’aceto, ché si sentiva mancare; la lezione, in fondo, le era piaciuta; solo che l’emozione era stata troppo violenta per lei, sofferente. Stirò le labbra in un ghigno e scosse la testa. La cosa non sarebbe finita lì, il peggio era ancora da venire.
*
La “Giulia” tagliò la curva con stridore di pneumatici e si bloccò in Via Tarocchi, il muso in giù per la gran frenata. Le portiere anteriori si spalancarono contemporaneamente e balzarono fuori dell’auto Cirino e il padre, Bastiano Melilli; il quale, fermatosi a gambe larghe in mezzo alla strada, gridò al figlio e ai presenti:
- Cu fu, ah?
La voce echeggiò sinistra nel caldo appiccicoso. Al balconcino, ov’era ritornata per il gran finale, gna Mariannina fu scossa da un brivido. Turi, sdraiato, e Tanino, appoggiato allo stipite, manco si mossero. Cirino puntò l’indice verso i due e il padre si diresse alla loro volta. Gna Mariannina cercò di farsi piccola piccola nella poltroncina. Avrebbe voluto essere invisibile, ma per niente al mondo si sarebbe persa l’ammazzatina.
In quella, un manone sollevò la zanzariera, che velava l’ingresso, e comparve in su l’uscio Antonio Schipano; e riempì il vano della sua persona.
Bastiano Melilli s’arrestò perplesso, avvertendo d’istinto che qualcosa non quadrava. Ma salutò serio e col rispetto dovuto:
- Baciamo le mani, cumpa’ Ntoni.
- C’è cosa, Bastianino?
Non a tutti era dato chiamarlo col diminutivo. Dallo Schipano lo accettava, ché costui l’aveva visto nascere e crescere, patire e far patire, e seguire la malastrada, che aveva imboccato. E poi, compare Ntoni era il meglio sterratore della zona e quando spalava lui, a paro ci si poteva mettere solo un bulldozer: una corporatura mastina; quanto a forza, competeva coi muli ed aveva una volta, per scommessa, con un capata istupidito un torello; aveva, infine, un tal modo di guardarti in tralice, che se non possedevi gambe più che ferme, te le sentivi sciogliere sotto. Non parlava, se non raramente; ma se diceva una cosa, potevi giurarci: era nel giusto e conveniva dargli retta. Ne era derivata una sorta di rispetto, un tacito patto di non aggressione, da parte di chi lavoro non ne aveva mai mangiato e niente ne mangiava, arrangiandosi altrimenti.
- C’è che qui mi si è mancato di rispetto-, rispose Bastiano Melilli, sbirciando Turi, sdraiato e indolente, e Tanino, dominato dalla mole del nonno.
- È tuo figlio che ha mancato di rispetto a te e a tutta la compagnia.
- Ma..., incominciò l’uomo, squadrando prima il figlio, col sospetto che la storia non fosse andata proprio come gliel’aveva raccontata Cirino e come se l’era figurata lui nella furia del momento, e comprendendo che tutta la faccenda stava per assumere una piega imprevista ed inquietante; poi indicando Turi e Tanino.
- Dovresti insegnare l’educazione a tuo figlio-, incalzò Ntoni e fece partire un di quei sguardi tramortitori, immediatamente avvertito.
- Ma che fu, finalmente?
- Domandalo a lui, che fu-, rispose Ntoni, guatando Cirino e posando poi lo sguardo sulla macchina. Cirino corse con un’occhiata furtiva al lungo graffio sulla fiancata della FIAT, tradendosi; e lo sguardo del padre seguì quello del figlio. A veder lo sfregio, Bastiano comprese tutto e lasciò andare un ceffone, che fece barcollare e guaire Cirino; e con un altro stava per colpirlo, ma il ragazzo lo scansò lesto e via ad accucciarsi nella “Giulia”, sotto, fra sedile e cofano.
- E c’è ancora che qui non si può vivere più in pace, con lui che va e viene in motoretta, spaventando fra scoppi e fumo le donne, che devono riparare nelle case. L’altro giorno buttò a terra gna Mariannina e due fornelli accesi con tutta la grazia di Dio, che c’era sopra, e stava travolgendo anche mia nipote e non si contentò dello spavento procuratole: anche tedesca bottana, la chiamò. E la ra-gazza in casa a piangere e c’era chi voleva fare uno sproposito, se non lo frenavo io. E poco fa tentò d’accoltellare mio nipote. Bada, poi, che tutto quello che fa tuo figlio, lo fa nascondendosi dietro alla tua fama ed al tuo nome.
- Menzognero sei e anche vigliacco!-, gridò esasperato Bastiano al figlio; e s’avventò per trarlo fuori della “Giulia” e lisciarlo a dovere. Ma Turi, levatosi, s’intromise, gli pose una mano sul braccio e lo trattenne, mentre Cirino si buttava giù dall’auto e se la svignava alla lesta.
- Carusi sono. Lasciamo andare, ché la lezione gli è bastata.
- Chiedo scusa-, mormorò non senza dignità Bastiano Melilli. -Per il danno me la vedrò con Cenzino, il carrozziere.
- Questo è parlar da galantuomini. Salutiamo-, concluse compare Ntoni e si ritirò.
- Beviamoci una birra, Bastiano-, offrì Turi e l’invitò a sedere; e Tanino andò a dirlo in casa e poco dopo arrivò Melina, stupenda, recando un vassoio con birra e bicchieri. Servì con gentilezza e modestia gli uomini, sfolgorante nei suoi bruni sedici anni, e si ritirò con la grazia, con che era apparsa.
- Chiedo scusa ancora-, disse Bastiano, aggrottando le ciglia nel pensare a come quella bestia del figlio aveva osato trattare una pari creatura.
- Acqua passata-, rispose Turi, ed alzò il bicchiere: - Salute!
- Salute!
- Dove state in Germania?-, chiese poi Bastiano.
- Ci siamo sistemati in un paesino della Svevia.
- Io una volta sono stato in Svizzera tre settimane. Me ne dovetti tornare per disperazione, da come mi trattavano, per non commettere una pazzia. Tutti bottane e cornuti, quelli là! M’ha da scusare, ma io all’estero non ci tornerei più, manco se dovessi veder crepar per fame mia moglie e i miei figli. Non c’è modo di farsi valere, di farsi rispettare, lassù: non capiscono certe cose, che da noi si succhiano col latte materno. Come vi trattano i Tedeschi?
- Ma, Bastianino, hanno finito per capire che fra gli Italiani, fra gli stranieri, c’è della buona gente e ci sono teste di cavolo; che ci sono onesti lavoratori, come c’è chi di lavoro non ne mangia e cerca rogne.
Bastiano Melilli rizzò il capo, annusando allusioni. E poi, quel diminutivo!
- Salute!, disse “u tedescu”, levando di nuovo il bicchiere e sorridendo placido. Si cavò di tasca il coltello, tolto a Cirino, e glielo porse. A Bastiano Melilli non rimase altro che alzare a sua volta il bicchiere e rispondere:
- Salute!
Gna Mariannina si sollevò dalla poltroncina e, una mano sulla schiena restia a raddrizzarsi, rientrò in casa, contenta per l’ordine ristabilito, eppure un tantino deluso.
Vito D'Adamo gorrese dalla Germania