CONCHIGLIE di Ciro Adrian Ciavolino
ELOGIO ALLA POVERTA’
MATTINO Sono davanti a una tomba di persona cara, pietra scura, semplice, quasi severa, fiori nella giusta misura. Alle mie spalle, posta da qualcuno che non ha potuto permettersi di più, v’è una lastra di marmo trovata da qualche parte, o donata da un marmista, senza rialzi, è poggiata sulla terra di defunto senza identità; sul marmo bucato da precedente uso e nome, fiori di plastica raccattati da qualche parte, salvati al bidone della spazzatura. È il camposanto ’i vascio, il camposanto di chi non pretende i viali centrali, dove è prossimo il suono delle onde di libeccio che si frangono sulle scogliere della spiaggia del Cavaliere, qui è più facile che un gabbiano emetta un grido come di dolore o di saluto. Ha fatto del suo meglio chi ha badato a una copertura così, vuol dire che la mia persona cara può parlare con questa, sconosciuta, come in vita faceva, dialogando con tutti, facendosi voler bene. Non farà di certo storie, come qualcuno che, a pochi metri da noi, riportando alla memoria mia la favola di Fedro, quella del lupo che pur trovandosi a monte del ruscello rimproverava all’agnello di sporcargli l’acqua, lamentava come un timido rivolo nostro lo turbasse passando davanti alla sua parata di marmi lucenti variamente modellati, cristalli e chin-caglierie varie. Poco più in alto, dietro l’abside della chiesa, e con più vista del mare, c’è l’ossario comunale, un cippo austero di pietra vesuviana. In quella fossa come viscere del Vesuvio, un magma di ossa. In quel paradiso dei deboli e dei poveri mia madre ha fatto cadere i resti di otto infanti che, nascendo io per ultimo, mai conobbi. Mani gentili di cuori ricchi e umili accendono ceri.
MEZZOGIORNO L’odore del sole o della pioggia si accompagna a transiti di profumi di cucina, in un gioco di pianerottoli e di terrazzi s’intrecciano e bisticciano biglietti da visita dei pranzi di mezzogiorno, molti usci sono aperti e se non per le scale si presentano percorrendo logge e balconi. Una musica accompagna il passo della vicina che porta un assaggio, la spira leggera è come uno dei sette veli della danza di Salomè, ti avvolge in una sensuale mistica del gusto, è una condivisione di emozioni della bocca, un respiro collettivo dei doni della natura, fagioli o ragù, riso o zucchine, cappuccia o piselli, frittelle di mare o melanzane, un inno alle gioie intime, in una pietanza è tutta la cerimonia tra mura intonacate a calce, una santa messa o un cenacolo, prendete e mangiatene tutti, questo ho cucinato e questo vi offro, basterà anche per la sera. S’ode il disco frusciare sul radiogrammofono dell’inquilina che se lo può permettere, apre finestre per darcene una fetta sonora, ci portano a certi pensieri gli stornelli dispettosi di Carlo Buti e Emilia Veldes, gira sul piatto il cane della Voce del Padrone, qualcuna anche se lontana ci fa sapere che conosce le parole a memoria e accompagna il duetto stonando ogni tanto o affrontando una scala di note irraggiungibili affogandole nelle strettoie del collo, si dà un tono riavviando una ciocca di capelli neri che trafigge la guancia, sbatte lo sportello di una dispensa per colmare la caduta di tono. Sta cucinando pasta e patate.
POMERIGGIO
Filo di comete, di aquiloni perduti nei cavi aerei delle lampade stradali, grovigli di cotone tricolore che ci rammentano la patria, palpati nelle nostre tasche, è tutto il patrimonio di un pomeriggio qualunque di una stagione calda che si allontana, con le nuvole intente a disegnare tramonti come quelli di El Greco. Transitano nell’aria voci di venditori di colori e illusioni, more, gelse, lupini, angurie, pullanghelle, siamo distratti da pugni di cotone stremato dall’aria e dalle annodature, ecco una voce come di cantilena araba, un miagolio di gatto innamorato, una voce stirata quanto tutta la strada, si stende come un lungo tappeto musicale, allora corriamo verso il trionfo fumante delle spighe di granturco, mentre passa il mendicante che sa di poter bussare alle porte una volta alla settimana, passa la connetta curva di molti anni che vende giornali decapitati della testata, anch’ella una voce familiare che s’annuncia da lontano. Sulle pagine della Tribuna Illustrata, antica almeno di un mese, i miei vecchi quasi analfabeti perdevano i loro occhi e imparavano a conoscere il mondo. I miei nipotini fanno volare agili dita su certe tastiere.
SERA Le mani nelle tasche di un cappotto che ci mostra le maniche ormai corte per le nostre braccia cercano castagne appena sollevate dalle fiamme del loro domestico inferno, c’inventiamo falò di rara carta o fuscelli, sulle nostre teste i pipistrelli non trovano pace e cercano sotto le lampade temerari insetti attratti dalla luce opaca di polvere e ragnatele. Rintronano voci tra palazzi con androni immensi pieni di archi, il vento entra ed esce, corre nei vicoli rispettando il suo calendario, si presenta livido di tramontana e sibila negli arabeschi delle inferriate. All’opera dei pupi sono stato ancora una volta vittorioso, il mio guerriero ha vinto duellando con orde di mulignanelle, i torvi e scuri musulmani entravano dalle quinte del teatrino baldanzosi gridando incomprensibili motti di battaglia, ma l’aureo condottiero Orlando li ammucchiava sulle tavole dell’esiguo palcoscenico, scrivendo per i posteri le sue vittorie roteando la spada nell’aria della sera piena di fumo, di male parole, di passioni cavalleresche e di amor cortese.Giovani di notte duellano sui muri con bombolette di vernice.
Ciro Adrian Diavolino
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