Inseguiti dai pirati, terrore in mare Clicca sulla dinamite per il sunto dell'argomento. Non temere non ti scoppia il computer!
PRESA DI MIRA UNA NAVE NAPOLETANA Non basta la malavita di terra... Tre ore di incubo per l’equipaggio di una nave napoletana nel Golfo di Aden. È finita bene, tutti salvi, pirati beffati. Ma il rischio è stato enorme. Un barchino si avvicina veloce tra le onde. Il comandante ha un sussulto: «Era giusta l’allerta che avevamo ricevuto». Dal Golfo di Aden parte l’allarme per Napoli, in via Depretis, sede cetrale della società Gestioni armatoriali: «Sono il comandante Gioacchino Lubrano Lobianco del «Mare di Venezia», i pirati ci stanno attaccando», dice una voce tesa. «Attuate subito il piano concordato», rispondono dall’altra parte.
Nella foto a lato un barchino dei pirati
Cominciano così la fuga e l’inseguimento nelle acque a centinaia di miglia dalla costa somala, l’area più pericolosa del mondo per la gente di mare. A Procida, dove abita la famiglia del comandante, si rendono conto che è un momento di black out delle comunicazioni, anche se non sospettano alcunché. Viene informato Nicola Coccia, il presidente nazionale Confitarma: sua è la società Gestioni armatoriali. Nel Golfo di Aden i pirati la fanno da padroni, attaccano armati di tutto punto, sequestrano marinai, navi e carichi, chiedono riscatti, ricattano i governi. Sui barchini i pirati hanno anche i bazuka, oltre a mitra e pistole. Abbordato il mercantile, c’è poi la nave di appoggio dei banditi che fa il resto. Il bottino della «Mare di Venezia» è ghiotto: 50mila tonnellate di petrolio, con 27 membri dell’equipaggio, metà italiani (due i procidani), metà gli stranieri.
Nella foto a lato l'attacco reale: Hanno tentato di abbordare un mercantile italiano per depredarlo.
È per questo che subito sale la tensione nella società armatoriale, così come alla Farnesina e al ministero della Marina dove si prende subito coscienza del fatto che da quattro mesi è sospeso per motivi di cassa il servizio di pattugliamento di un incrociatore militare che proteggeva navi italiane in transito. Comunicazioni ridotte al minimo, velocità al massimo, zig zag tra le onde, inversioni di rotta per confondere i pirati. Ma il barchino continua a inseguire, a bordo quattro o cinque uomini. Poi ne spunta un altro, e un altro ancora. È la conferma: un attacco dei pirati. I mercantili nella zona si mettono sulla rotta di avvicinamento. Non resta che affidarsi all’esperienza e all’abilità dei lupi di mare. Il comandante Lubrano ha 50 anni ma alle spalle anni di navigazione e, soprattutto, nel sangue la centenaria tradizione dei naviganti procidani. «Avanti tutta», ordina Lubrano a Vincenzo D’Orio, 32 anni, terzo ufficiale di macchina, anche lui procidano. Passa la prima ora di inseguimento. «Mare di Venezia» si spinge sempre più verso il largo, dove si riduce la possibilità di manovra dei barchini. Ma i predoni del mare non desistono. Il comandante scruta l’orizzonte con il binocolo, guarda sui barchini per vedere volti ed eventuali armi. Quindici nodi la velocità del «Mare di Venezia».
Nella foto a lato un pirata donna dell'800 avventurosa e un tantino poetica. Con un pirata così chi non si farebbe abbordare? Tutt’altro con i pirati odierni spietati e sanguinari. Un aspetto quasi mai evidenziato dai marittimi torresi da secoli sui mari.
I pirati inseguono ancora. Ma altro non si può fare, non resta che attendere e sperare. Passa un’altra ora. Lubrano non molla un secondo la plancia di comando. L’equipaggio ha il fianto sospeso, c’è chi prega, chi stringe labbra e mani. A un certo momento i barchini non si vedono più. Il comandante Lubrano fa passare ancora interminabili minuti prima di annunciare: siamo al sicuro. Tira un sospiro di sollievo Coccia, già pronto a rientrare a Napoli dalle vacanze. Telefona ai collaboratori, poi a sangue freddo Coccia riflette e parla a nome di Confitarma: «Un sistema di protezione si dovrà trovare per le nostre navi. Certo, è tanto un milione di euro al mese per tenere l’incrociatore militare in quell’area. Ma il governo dovrà trovare una soluzione, magari sollecitare un accordo di collaborazione con altri Paesi per risparmiare e nello stesso tempo guardare alla sicurezza. E bisogna farlo prima che sia troppo tardi».
Scala Camillo (Doncamillo)
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