IL POST INQUISITO: " 'A fortuna ro culorutto" modo di dire consueto nel dialetto vesuviano risale ai sararaceni
Carissimo Franco, ricevo la tua con le poesie di Mario Chiosi che leggo volentieri. Non sono un critico letterario e non mi permetto dare giudizi di merito. Posso solo dire che non è il genere di poetica che preferisco ma ciò è solo una scelta di gusto e non un giudizio estetico. A me piace poco a cartulina napulitana. Preferisco porre attenzione al problema linguistico ma ne ottengo l'ennesima conferma della assoluta sottovalutazione dei napoletani per la loro lingua. Chi si permetterebbe di scrivere versi in francese solo perché viaggiando all'estero riesce a farsi capire?
Spesso noi napoletani crediamo di conoscere l'ortografia della nostra lingua per scienza infusa e rifiutiamo qualunque corso elementare di lingua patria. Purtroppo non basta leggere i poeti classici napoletani per la notevole varietà di grafia di ognuno di loro. Oggi sono in corso studi e ricerche scientifiche per la unificazione della grafia napoletana e pur se non tutti i ricercatori sono d'accordo tra di loro ma alcuni dati fondamentali sono stati accettati. Leggere le grammatiche è abbastanza noioso perciò suggerirei ai neo poeti, anche se ottantenni, di leggere le poesie di Raffaele Bracale. Ottime poeticamente e ortograficamente.
DA QUI IL TEMA DEL DETTO "'A FURTUNA R'U CULO RUTTO" TRATTATO DAGLI INTERLOCUTORI":
Per il detto "A furtuna r'u culorutto" ti ricordo quanto già ti dissi telefonicamente. Avere l'ano dilatato (rotto) era una specie di "assicurazione infortuni" in caso di prigionia con i saraceni. La sodomizzazione dei prigionieri era prassi comune, senza intenti punitivi ma per il costume sessuale di quei popoli.
N.D.R NOTA ESPLICATIVA DI LUIGI MARI CRITICATA DAGLI INTERLOCUTORI:
Si era privilegiati, quindi trattati bene in un ambiente di inedia, lavori forzati e punizioni. Da qui pure ("Che mazzo"= che fortunato!) (Colpo di culo= colpo di fortuna), ecc. Per la sodomia sulle coralline torresi non c'è da meravigliarsi, data la convivenza per mesi ed anni in mare di solo uomini, analogamente a quanto avveniva (avviene?) nei collegi maschili e, con tutto il rispetto dovuto, nei seminari. A volte nell'equipaggio veniva imbarcato un addetto ai servizi (cucinare, lavare e altre incombenze meno faticose) e questi era un femminiello con funzione di sfogo per l'equipaggio. Come il famoso termine "oregon" spagnolo, tanto per stare in tema, che entrò nella lingua partenopea al tempo delle dominazioni tradotto come "Oricchione", quindi "Ricchione" (grosso orecchio): un allungamento meccanico forzato alle orecchie degli omosessuali per distinguerli dagli etero.
FINE CHIOSA DI LUIGI MARI
QUI CONTINUA IL POST ORIGINALE INVIATO:
Per l'amico avellinese Melchionne posso solo dirti che questa sera, arrivando a Bologna, ho trovato nella posta un gradito omaggio, un volume dei Modi di dire calitrani del carissimo amico Raffaele Salvante di Calitri. Suggerisco una visita al sito di Salvante http://www.ilcalitrano.it
Domani ritorno in campagna ma, se mi riesce, prima di partire, ti telefono. Un carissimo abbraccio,
Salvatore.
COMMENTO di Luigi Mari:
La sodomia è una pratica omosessuale vecchia come il mondo. I saraceni, come molti altri popoli, dai romani agli occidentali, oggi come ieri la praticano liberamente. Gli omosessuali, quelli "dichiarati e non" la considerano il rapporto principale come la posizione vaginale per gli etero.
Ricchione non è altro che la traduzione dialettale napoletana del termine "omosessuale" ai quali titolari va il massimo rispetto similmente come a tutti gli esseri umani. Non vedo cosa si trova di offensivo nel leggere il termine "ricchione" specie se pensiamo all'origine spagnola della parola.
Perbenismo, provincialismo o ipersensibilità a certe note, le letture sono sempre interpretate secondo la propria forma mentis, talvolta libera e liberale e talaltra incrostata di ciarpame. |
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