Napoli come ai tempi del colera

Al Cotugno una famiglia di Torre del Greco
è al completo: per accompagnare il piccolo di tre anni con qualche linea di febbre sono arrivati il padre, la madre e i due nonni che si improvvisano clown per far indossare la mascherina al nipotino.

La stessa paura del '73: folla negli ospedali. Genitori nel panico dopo la morte di Emiliana

di MARIA CORBI

Bisogna tornare indietro di 36 anni per capire quello che sta accadendo a Napoli. Agosto 1973: il colera. Novembre 2009: l'influenza suina. Né ieri né oggi era giustificata la lettera scarlatta su una città che di emergenze, quelle vere, ne vive ogni giorno, senza che ci sia bisogno della pandemia influenzale. Dal passato si riflettono immagini e paure, quando i parenti premevano ai cancelli degli ospedali e i medici davano notizie dei pazienti col megafono.

La città è sotto choc e anche nei bar del centro capita di condividere il bancone con persone che si proteggono con la mascherina. Impossibile trovare una sola confezione di Amuchina, consigliata per lavarsi le mani, nelle farmacie e nei negozi, cinema deserti e aule dimezzate nelle scuole. Un corso organizzato per informare le maestre d'asilo sulla prevenzione si trasforma in un inferno (due donne soccorse), troppo piccola la sala, sono arrivate in settecento invece che in 150.

E quando passi per il pronto soccorso del Santobono (esauriti i posti letto), del Cotugno, del Cardarelli vedi una processione di madri e padri coi figli che tossiscono, si soffiano il naso, con le mascherine bianche premute sul viso. Alcuni con la febbre, altri no. Ma non importa, la paura è tanta: da quando è morta Emiliana, l’undicenne di Pompei, ogni genitore ha vissuto quell’incubo, e ieri il suo funerale ha amplificato i timori.

Morta di influenza, «potrebbe capitare anche a mio figlio?». Che sia difficile che capiti te lo spiegano tutti a iniziare dall’assessore alla Sanità della Campania, Mario Santangelo, chirurgo: «Il numero di morti registrato in Campania per l'influenza A è per il momento inferiore a quello di una normale influenza». E «non esiste un caso Napoli - dice il direttore sanitario dell'ospedale Cotugno, Cosimo Maiorino - anche se abbiamo una casistica più alta rispetto a quella nazionale».

Ma il terrore rende sordi e così ecco le sale d’aspetto delle strutture pubbliche ma anche dei pediatra di base, affollate. I medici pregano la gente di restare a casa ma l’invito non è raccolto. Al Cotugno una famiglia di Torre del Greco è al completo: per accompagnare il piccolo di tre anni con qualche linea di febbre sono arrivati il padre, la madre e i due nonni che si improvvisano clown per far indossare la mascherina al nipotino. Nel piazzale d’attesa basta uno starnuto per gridare all'untore. Telefoni che squillano da cui rimbomba sempre la stessa domanda: «Come faccio a fare il vaccino a mio figlio?».

L'infermiera spiega che non si può fare, che verranno vaccinati solo i bimbi con patologie respiratorie, croniche, congenite. Insomma, i più deboli. E per gli altri? «L’acqua di Lourdes», spiega una dottoressa prima di abbassare la cornetta. Ma non tutti i genitori sono decisi al vaccino. Anzi. Una donna incinta di sei mesi spiega che le fa più paura la puntura dell'influenza. La lista s’allunga Ma non è facile non aver paura quando ogni giorno il bollettino di morte si allunga. Non per tutti si può dire: era già malato.

Al Cotugno 45 ricoverati, cinque sono in rianimazione, quattro sono gravi, tra cui la donna che ha partorito una settimana fa. Dodici bambini degenti al pediatrico Santobono. «La fase pandemica del virus è in evoluzione e temo che il picco non sia stato raggiunto», spiega Franco Paradiso, direttore sanitario di presidio dell’ospedale Cardarelli. Non esiste un caso Napoli, ripetono gli esperti, ma intanto il sindaco Iervolino chiede una corsia preferenziale per la distribuzione dei vaccini.

Una spiegazione cerca di darla Giulio Tarro, primario all’ospedale Cotugno, che nel ‘73 si trovò a combattere col virus del colera. «In questo territorio - spiega Tarro - c’é una maggiore pressione a farsi sottoporre al tampone, anche quando non è necessario. Ci sono più persone controllate e di conseguenza c’é un maggior numero di decessi correlati al virus. In altre zone ci sono casi di morti per l’H1N1 che non vengono inseriti nella casistica perché non è stato effettuata la verifica della positività». Ma neanche lui sembra esserne convinto. E la paura cresce.