NOTE DI REPERTORIO:
IL CASO ARGENZIANO
Argomentando di "Salvatore in quel di Bologna", slogan, questo, a cui
sono affezionato, mi viene spontaneo dire "il caso Argenziano". Caso
perché egli rappresenta l'emblematico incontaminato in una essenziale
sfaccettatura della rosa di problematiche dell'area vesuviana, nella
fattispecie il malore endemico: edonismo-egotismo di una Torre del Greco
allineata alle città italiane con un reddito, sperequato, s'intende, di
gran lunga superiore alla media nazionale e condizionata da specifici
masi chiusi artistici, economici di settore. Eventi negativi che calano
la qualità della vita compromettendo solidarietà, altruismo.
disponibilità, in una parola la napoletanità.
Il pragmatismo, si sa, fa a cazzotti con l'antica cultura umanistica
pregna di suggestioni etico-religiose che non tenevano conto delle
differenze di classe se non per una logica gerarchica, ma che riusciva
ad accomunare davanti a Dio il malato ricco con il malato povero; anche
se meno davanti al medico.
Il "caso Argenziano" è visto tale perché dimostra come la perdita di
pregi morali, elevatezze d'animo ed altri valori, dipendono più da un
fatto endemico geografico che da cause epocali di etnicismo di respiro
più ampio o, addirittura di vastità planetaria.
Torrese DOC, (e mi piace ripetere alla De Curtis: torresi si nasce e lui
lo nacque), Salvatore Argenziano con la sua collaborazione
incondizionata a Torreomnia, tiene alto il vessillo del torrese vecchia
maniera, quello della parola mantenuta o della solidarietà, della
disponibilità; il torrese dei baratti sui ballatoi di a laccia e
putrusino; quello della "napoletana fumante" che penetrava usci, porte e
portelle di architettura spagnola, oramai quasi totalmente falciate
dalla ricostruzione.
Per il nostro concittadino il "tempo torrese" si è fermato nel momento
in cui mise piedi fuori la Porta di Capotorre; ideale pargolo imberbe
con alcuni anta, rivive oggi nitide le processioni profuse d'incenso e
di afrore degli anni cinquanta, le pollastre dei poveri (pullanchelle)
fumanti lungo il ciglio delle strade, i cazzabbocchi della Carmenella, i
ceci e i semi di zucca tostati dei miraggi hollyoodiani dei Gradoni e
Canali.
L'evocazione nei "Ricordi" rivela i primi turbamenti giovanili
dell'autore causati dai tedeschi e dagli anglo-americani. Una "Recherche",
tuttavia, poetica, metricamente libera, quindi descrittivamente più
autentica.
La Torre del Greco di mezzo novecento insieme a Salvatore Argenziano
sono l'idillio, due pargoli amanti, castigati dal sortilegio dell'amore
indissolubile, una Giulietta e un Romeo divisi da un destino
incontrastabile, ma uniti per sempre nei precordi.
Il torrese, in genere, che vive fuori porta (nella fattispecie di
Capotorre) idealizza e sublima la Patria del Corallo, soggiace alla
nostalgia e al lucore soffuso dei ricordi e questo lo risolleva dal
giogo delle problematiche epocali attuali dell'area geografica che lo
ospita. Dietro questa molla Salvatore Argenziano ha donato ai suoi
compaesani, tramite Torreomnia, due gemme, per il momento: "Ricordi" e
il "lessico torrese-italiano", che spera di ampliare con la
collaborazione fattiva dei concittadini.
Dal primo componimento si evince la lirica che scaturisce dalla
componente onirica, prevalente sul fatto epico, eventi, date,
bombardamenti, sfollati, eruzione, ecc. |
Tuttavia una storicità
a mezza strada tra la storiografia e la cronaca, come fatto descrittivo,
ma tutto diafano, incerto e sicuro insieme, come l'uomo, come un
pensiero lontano, come un romantico, perduto amore. Una prosa in versi e
dei versi in prosa, quelli di Salvatore Argenziano, che descrivono e
sottolineano non già solo l'accaduto, ma la velata apprensione dell'accadibile
che coinvolgono esistenzialmente la sfera affettiva di ogni genere di
lettore, fuori del tempo, fuori del luogo, fuori della realtà, perché
coinvolgono il dilemma eterno dell'uomo, animale sempre ossessionato dai
dualismi male-bene, amore-odio che allignano soprattutto nei conflitti
bellici, specie quello descritto appunto dall'Argenziano.
Ma, forse senza saperlo, o semplicemente perché egli vive fuori Torre,
le note amare del racconto, le bassezze e lo squallore di una guerra
così malapartianamente devastante hanno nociuto soprattutto non già solo
sul morale quanto la moralità dei vesuviani; Argenziano, quindi, vedeva
preannunciato quello che poi si doveva rivelare: quel certo degrado,
come ho detto, della qualità della vita nella cintura vesuviana, come
una cancrena morale mai sanata, ma consolidata dalle leggi spietate del
business, dei mass-media-grancassa, dei feroci pseudo modelli sociali
propinati indiscriminatamente e gratuitamente anche in un'area sociale
che adoperava panacee e toccasana come le icone dei Santi, e gli
scongiuri in un unico ibrido rituale.
La nostalgica descrizione dei "Ricordi" si ricuce diritta alle odierne
guerre dell'animo umano, tra le stesse mura domestiche, tra lo stesso
condominio, tra la stessa città. E' importante leggere lo spaccato
descrittivo dell'Argenziano che subdorava già una vaga idea di un
probabile 68 il quale, insieme a giuste rivendicazioni, ha causato un
distacco troppo netto e repentino tra due generazioni favorendo, come
dire, manodopera per i gestori dei mutamenti epocali in fatto di
edonismo, consumismo, europeizzazione fino alla globalizzazione;
mutamenti che saranno pure coerenti e consoni alle esigenze
tecnico-scientifiche e demografiche attuali ma che hanno compromesso
fino all'osso i tradizionali valori, i rapporti generazionali in un
clima di totale incomprensione, confusione e disadattabilità e utopia
rispetto ai modelli sociali.
La seconda fatica di Salvatore Argenziano è il "vocabolario
torrese-italiano", un'opera meritoria che solo un torrese
irriducibile come lui poteva stendere. Egli compie una minuziosa ricerca
per i termini più reconditi. Un recupero di parole ed espressioni che
vanno perdendosi nei meandri del tempo. Proprio perché egli, lontano
dalla terra natia, quindi affatto contaminato, dicevo, dai malesseri
endemici della specifica area vesuviana, poteva progettare e stendere
con generosità, senza riserve e quant'altro di negativo per Torre del
Greco.
Chiaramente si spera nella collaborazione di tutti perché questo lavoro
possa crescere, poiché molti termini precipui, di stretta settorialità
vengono tramandati solo verbalmente.
Ribadisco quello che ho detto in apertura: "il caso Argenziano" sia
antesignano per le vere iniziative culturali per Torre, fuori dai masi
chiusi della cultura locale; lontano dagli individualismi dottrinari e
dai feticisti della raccolta storica di notizie e foto, materiale spesso
finito nelle pattumiere dopo le inevitabili dipartite a cui è
predestinato ognuno di noi.
Non dimentichiamo le parole del saggio: "il dolore può bastare a noi
stessi, ma per vivere veramente una gioia bisogna condividerla con gli
altri".
Luigi Mari |