La nostra Meg torrese
Maria Di Donna,
l'artista corallina afferma:
«Mi porto appresso questa percezione parallela
delle cose, come se dentro di me ci fossero due
opposti che viaggiano in contemporanea: forse
perché Napoli è la città degli estremi con un
popolo che oscilla, violentemente, tra
un’umanità dalla tenerezza unica e, forse, una
delle popolazioni più feroci, bestiali, che
conosca: in poche zone della Terra trovi atti di
violenza come quelli che si compiono
quotidianamente nei territori dove sono nata: è
questo che mi ha dotato del mio sguardo, che ha
influenzato il mio modo di vedere le cose
«L’idea di fondo è sfruttare un oggetto come il cellulare, farlo suonare come device elettronica che, di volta in volta, si trasforma in sequencer, basso, synth…
Il touch screen dell’iPhone ha una tastiera che si può “suonare”. Vorrei che, chi viene ai concerti, possa rendersi conto di quello che succede. Così stiamo lavorando affinché ai prossimi live, ci siano dei maxi-schermi che proiettino mentre suoniamo».
Nei live «è finita l’epoca del concerto fatto con il laptop, il live deve essere vivo non fredda esecuzione». Così Meg punta dritta al cuore della tecnologia: il mobile. Ma la scelta non è casuale. Perché la musica è un “suono”complessivo. La voce «si è evoluta, in momenti diversi: quando ho deciso di prendere lezioni di canto, ho scoperto nuove frontiere, prima irraggiungibili, mi ha fornito mezzi con i quali esplorare poi “zone nuove”; e questo, a sua volta, mi ha portato ad ascoltare cose che sono state in qualche modo cruciali per la mia evoluzione artistica, mi hanno portano in territori sonori sconosciuti». Ora «quando arrivo al mix di un pezzo, il momento finale di una canzone, finisco sempre per litigare col fonico perché vorrei la mia voce più “bassa”: in Italia invece la tradizione vuole la voce fuori dal mix». E continua «per me, come per la scuola anglosassone – Meg ha frequentato l’università in Inghilterra ndr - il suono di ogni pezzo è un globo, la voce è al centro di una sfera, intorno ci sono gli altri strumenti. Ma forse, il fatto che componga le musiche dei miei pezzi, dalla linea di basso alla melodia, influisce sul pensiero che mi fa considerare la voce alla stessa maniera degli strumenti».
Per Meg «esistono due
tipi di cantanti: quelli sfrontati che
vogliono la “voce in faccia” e quelli
più timidi, più rispettosi nei confronti
degli altri strumenti».
«L’aspetto tecnologico e quello
artigianale sono in qualche modo vicini,
come rispondeva Morricone all’accusa di
copiare: “Ormai non si inventa niente
dal Seicento”. Nella musica tutto si può
evolvere, ora ci si sta concentrando
sulla riduzione del suono, sulla
modulazione e sul filtrare suoni, ma a
livello armonico quasi tutto è stato
esplorato».
La tecnologia «progredisce per
“capitoli” e, se un musicista è curioso
di esplorare, si possono sfruttare a
proprio vantaggio tutte le possibilità
dell’esistente, del suono che esiste in
quel momento, in termini di conoscenze e
tecnica. Così è successo quando è uscito
il “nuovo oggetto” iPhone, oppure quando
ho scoperto che potevo fare musica con
il pc, invece di andare in uno studio:
la tecnologia mi ha fatto scoprire che
con pochi mezzi riuscivo a creare». È
l’approccio con le cose che fa la
differenza :«anche se usi un oggetto
freddo, come il pc o l’iPhone, puoi fare
musica che emoziona. Si può tirare fuori
l’emozionalità da tutte le cose; ogni
oggetto ha una sua musicalità, e un
determinato “intervallo” di note (do-fa,
intervallo di quarta: quattro note),
tutti hanno “colori” diversi. A me
piacciono gli ossimori, le
contraddizioni. Così mi interessa la
freddezza della tecnologia unita alla
musica, che continua a essere una delle
forme ancestrali di comunicazioni. Fin
da bambina, immaginavo che l’uomo avesse
in un certo senso mutuato dalla natura
il suo modo di comunicare: imitando gli
uccelli, il vento,… per vincere la
paura, ha imparato a esprimere gli
istinti primordiali. Anche oggi, si
canta sempre per vincere la paura…con la
tecnologia».
Come Alice nel mondo delle
meraviglie (musicali), Meg
attraversa suoni e colori. Un’artista
eclettica e moderna (nel 2002 compone le
musiche per
La Tempesta di Shakespeare con
il progetto Nous, e recita la
parte di Ariel – lo spiritello
dell’aria; nel 2008 esce il suo terzo
album, Psychodelice). Una
carriera Varius Multiplex
Multiformis… come diceva
l’imperatore ne
Le memorie di Adriano di
Marguerite Yourcenar. E l’elfo piccolo
Meg ha fondato anche un’etichetta, la
Multiformis, per evolvere
musica elettronica in libertà, usando
tutto, senza dimenticare Napoli terra di
contraddizioni, i cellulari, il teatro,
il pc… i sogni.
La parola Nous in un certo
senso intende la musica come intelletto
cosmico, la creatività è materia «e
Shakespeare ancora una volta viene a
darmi una mano, ne la Tempesta
Prospero dice: “Noi siamo fatti della
stessa sostanza di cui sono fatti i
sogni…”. Ecco, anch’io credo che quello
che ha mosso i miei passi finora sia
stata proprio l’idea di realizzare un
sogno: la volontà di materializzare
qualcosa dal nulla, un comportamento che
se vuoi un po’ somiglia alla mania di
onnipotenza dei bambini… ma è stato
stupefacente scoprire mentre crescevo
che, questa passione, potevo farla
diventare un lavoro, sebbene in Italia
non ci sia questa idea del musicista…
inteso come “mestiere”. I veri sognatori
sono quelli che riescono a tenere i
piedi bene a terra».
Meg viene è di Torre del Greco, Napoli.
Sud e linguaggio stabiliscono il porto
di partenza dell’artista, ciò che nel
viaggio diviene visione del mondo «Mi
porto appresso questa percezione
parallela delle cose, come se dentro di
me ci fossero due opposti che viaggiano
in contemporanea: forse perché Napoli è
la città degli estremi con un popolo che
oscilla, violentemente, tra un’umanità
dalla tenerezza unica e, forse, una
delle popolazioni più feroci, bestiali,
che conosca: in poche zone della Terra
trovi atti di violenza come quelli che
si compiono quotidianamente nei
territori dove sono nata: è questo che
mi ha dotato del mio sguardo, che ha
influenzato il mio modo di vedere le
cose. La mia terra ha paesaggi
bellissimi, i Greci quando arrivarono
nella “zona flegrea” la chiamarono la
Valle degli dei… però, poi, tutto questo
viene deturpato, dalla camorra dal
business e dal silenzio delle
istituzioni. Nella mia musica, c’è
quindi questa idea, di essere un
abitante alle falde dell’Impero, un
luogo dove ti muovi in un sistema senza
regole, dove ciò che ti è caro tra poco
potrebbe esserti strappato». Tornando
alla musica, al suono. Meg come "mega",
dimensione-materia, ma anche come
"megahertz" e frequenza. La sua carriera
artistica è frutto di contaminazione e
condivisione: tre album totalmente
diversi (con i Nous, La Tempesta,
2002; Meg, 2004; Psychodelice, 2008
ndr),
video-produzioni, la varietà di Meg è
risultato di creatività condivise:
«Quando produci insieme ad altri, stai
prendendo spunto da un mondo diverso dal
tuo solito, mastichi parole nuove, fai
tue le parti di un’altra persona che non
sei abituata a pensare: si impara sempre
dall’altro». E poi «la
contaminazione è il contrario di tutto
ciò che è “puro”, che per me significa
“antipatico”, “irreale”: una cosa se
“non pura” forse è più vera perché non è
facilmente iscrivibile in un recinto».
In effetti, «la collaborazione con
Stefano Fontana, che ha un approccio
alla produzione da dj (mentre io ce l’ho
più da cantante), è una cosa ha prodotto
questo disco, Psychodelice,
risultato imperfetto tra il suo
minimalismo e il mio barocchismo
napoletano – di melò – nel
quale siamo riusciti a unire due mondi
(armonici) lontanissimi».
Le collaborazioni migliori sono quelle
attuali «Carlo Rossi, Mario Conte, e
Umberto Nicoletti… con cui collaboro
anche ai visual, all’audio e ai video:
un professionista con cui sento di avere
la possibilità di tradurre in immagini i
miei album, fino al “concetto grafico”
del cd». Multi-forme di linguaggi: Meg
ha capito come far comunicare il mondo
piccolo degli elfi con i display degli
iPhone. È riuscita a farne musica.