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PREFAZIONE
TESTO
CIVILTÀ AGRICOLA VESUVIANA
Leggendo
questo testo riaffiora alla memoria un’aforisma del filosofo,
matematico polacco Korzybski: "La mappa non è il territorio che essa
rappresenta, ma se è esatta, ha una struttura simile a quella del
territorio, che ne spiega l'utilità." E si potrebbe aggiungere anche
il termine “la verità”. Ritengo, infatti, che questa
“navigazione”, come afferma lo stesso autore dell’opera, è, certo,
la descrizione, accurata, ricca e sapiente, della mappa
geoantropologica di un territorio, ma è, innanzitutto, un’immersione
nell’intimità, nella verità della terra vesuviana, che è frutto,
(geologicamente) ancor giovane delle sue viscere. Ma è
anche una “ricerca”, non già di un tempo perduto, bensì di un tempo
che corre il rischio di essere perduto, come ammonisce, a
giusta ragione, l’autore; una ricerca appassionata, come quella che
potrebbe farsi della donna amata; una ricerca che invera e rende
attuale ed attuabile un percorso che coniuga i valori
dell’Essere in e di questa terra,
“ab eterno così come illico et immediate,
con quelli empiricamente cogenti dell’esistenza, avvinti dal
nesso fecondo della mediazione sentimentale; una ricerca che scava
nel suolo come nelle parole, che indaga nella storia dei padri come
nei significati di appartenenza dei figli, che ne assapora i gusti e
gli odori come le essenze dell’humus vesuviano, che interpreta le
geometrie del territorio come i segni delle opere e delle fatiche
degli uomini. Ma è anche un’opera letteraria, che porta in sé la
necessità di non frammentare il discorso divulgativo, la sapienza
scientifica e la partecipazione umana, bensì di ancorarli ad una
trattazione che non sacrifica la conoscenza delle parti al tutto,
che non trascura la necessità di conoscere il tutto senza conoscerne
le parti, che si propone di sviluppare un pensiero ecologizzante,
che sa situare ogni evento, informazione e conoscenza in una
relazione di inseparabilità con il suo ambiente culturale, sociale,
economico, politico, culturale. Sono queste le ragioni che
rendono quest’opera non solo degna di essere letta, ma innanzitutto,
di essere “vissuta”, non certo nella dimensione onirica
dell’inattuabile, ma nella dimensione umana ed affettiva del
possibile e del necessario.
Alberto Bottino |

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