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Oltre un secolo
dei "Chiummino"

di Peppe D'Urzo

Come gli apostoli Pietro e Andrea, definiti da Gesù pescatori di uomini secondo il racconto evangelico, cosi i pescatori sono definiti uomini di quella grandiosa fonte di risorse che corrisponde al nome di mare. I marinai e i pescatori di pesci e di coralli, attivi e partecipi, furono protagonisti anche nel momento del riscatto baronale. Il loro Monte, sito nelle chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, partecipò con una significativa quota nel pagamento dei centoseimila ducati necessari per la ricompera dei corpi feudali.


                          
Chiummino 1990

La festa dell’ottava del Corpus Domini (festa religiosa) si collega strettamente con il riscatto. Torre del Greco annovera, sin dai tempi che furono, una miriade di pescatori le cui storie si intrecciano tra la leggenda e il mito. Fra le tante storie è da riportare alla memoria la narrazione della famiglia Pennino.
Il capostipite, Giovanni (di Vincenzo e Nunziata Scala), nato a Torre del Greco (NA) il 19.03.1875 ed ivi deceduto nel 1960, coniugato con Giovanna Accardo di Aniello e Carmela Palumbo, nata a Torre del Greco (NA) il 26.08.1881 ed ivi deceduta nel 1959, iniziò, affascinato dalla vita a contatto col mare, a fare il pescatore. Si narra che durante un’uscita al largo, un’onda lo fece cadere dalla barca dove era impegnato a cogliere le acquatiche prede. La caduta in mare, con immediato recupero da parte di altri pescatori, avvenne come un pezzo di piombo che cade in verticale.


      
Giovanni Pennino e Giovanna Accardo

Piombo, in dialetto "chiummo", da cui "chiummino".
Giovanni era solito ripetere: "’U pesce fa miracoli!" Un suo cugino gli chiese di aiutarlo perché il figlio era in partenza per il servizio militare (seconda guerra mondiale); fece preparare una "spasella" di pesci che fu recapitata a chi di dovere. Il figlio fu destinato vicino casa e precisamente presso la postazione e fortino antiaereo in Ercolano (attuale albergo/ristorante "Punta Quattro Venti"); il pesce vivo preparato con dovizia di dettagli in quella "spasella" fece il suo effetto. In seguito si cimentò nell’attività di armatore con "paranze" (imbarcazioni da pesca, con uno o due alberi forniti di vela al terzo, vanno per lo più a coppie, da ciò il nome, trascinando una rete a strascico,  detta anch’essa paranza) e barche ormeggiate nel porto del  "Granatello" a Portici. Qui vi morì il giovane e diletto figliolo tuttofare, Vincenzo (nato a Torre del Greco il 16.06.1902 e deceduto a Portici il 24.02.1936), il quale nel 1934 ebbe un serio incidente su di una barca. 

             
                      
     Vincenzo Pennino

Cadde e s’infortunò ad una gamba. Fu ricoverato in un Ospedale napoletano, ove ricevette la visita del futuro re d’Italia, Umberto II. Camminando fra gli ammalati riconobbe in Vincenzo il fornitore di pesce della Casa Reale. Commozione ed ammirazione di circostanza. In seguito il buon Vincenzo, sopraggiunto anche il tifo, lasciò la vita terrena per sempre. A lui un giornale dell'epoca dedicò un ricordevole articolo.
Il vanto delle barche di Giovanni era la famosa "Giovanna Madre" con scafo in ferro, costruita nei cantieri torresi. Rituale della cerimonia era il ricevere le barche che tornavano dalla pesca. Dalle banchine del porto di Torre del Greco partivano i gozzi (in dialetto "vuzzi"; barche pescherecce a remi e talvolta con piccola vela), le "cianciole" (piccole barche per la pesca) e le "menaidi" (barche più grandi, con un minimo di quattro persone a bordo; adibite alla pesca delle alici) e si recavano festanti ad accogliere i pescherecci carichi di prezioso alimento.
Tutti erano felici, ma coloro che provavano immensa ed intima gioia erano i pescatori (uomini dalla dura corteccia) che tornavano a casa a riabbracciare i propri cari.


                          Su di una corallina

Il quantitativo di pesce, dopo l’attracco delle barche, veniva condotto presso il Consorzio ittico comunale, sulla banchina di Levante in via Spiaggia del Fronte n. 16 (attuale 26); qui, dopo essere stato selezionato e sistemato, avveniva la compravendita con i commercianti, alla presenza di un "astatore" (dipendente comunale) e dei tutori dell’ordine che si avvicendavano (finanzieri, guardie daziarie, fra cui Giuseppe Aurilia, detto: "’A cummenione", e guardie municipali, fra cui Giuseppe D’Urso, detto: "’U bellommo", Vincenzo Di Martino e Michele Porzio), ai quali era affidato il regolare andamento  commerciale e l’ordine pubblico.


                    Manna, Giullino e i Pennino

Erano i tempi in cui al porto v’era un ponte in legno, dalla cui struttura "scendevano" in mare dei contenitori di destinazione Maddaloni o Marcianise nel casertano; da qui verso quei tristi ed inverosimili campi di lavoro in Germania. Finite le trattative presso il Consorzio, il pesce veniva venduto alla Pescheria Comunale in Largo Costantinopoli.

La lineare struttura, costruita nella metà dell’800 cessò di esistere agli inizi (o metà) degli anni ’40 a causa di dissesti statici ed anche per la scarsità di pesce (attualmente, ottobre 1999, è in ristrutturazione; rientra nel progetto del recupero del largo e della chiesa di S. Maria di Costantinopoli). 
         
                        
 
                            Chiummino 1986

Infatti diventò arduo e rischioso per i pescatori torresi avventurarsi in mare aperto, in quanto, qualche tempo prima dell’entrata in guerra dell’Italia (10 giugno 1940) nei fondali del porto di Napoli (estendendosi anche alle province rivierasche) furono installati degli sbarramenti antisommergibili. Le poche uscite in mare si limitarono ad una pesca sottocosta; v’era sempre il pericolo di incappare in qualche ordigno esplosivo; di ciò, quei pochi temerari pescatori torresi che sfidavano le insidie nascoste del mare, erano ben consapevoli.
Dall’impolverato scrigno dei ricordi e per riscontro storico-sociale, i famosi venditori con "puosti" nella costruzione comunale furono:
"Chiummino" (Giovanni Pennino; fiduciario e responsabile), "Ciappa" (Raffaele Scala), "’A sardella" (Luigi Biondino) e "’U nunziatese" (Giuseppe Giullini), poi venivano gli altri. La vendita doveva avvenire per disposizioni e regolamenti comunali solo ed esclusivamente nella pescheria di proprietà del Comune. Agli ambulanti era vietata la vendita per le strade cittadine. Alle guardie municipali era demandato il compito di far rispettare le ordinanze e di ben vigilare. Dopo l’esperienza della pescheria comunale alcuni "paranzellari", tra cui un certo Raimondo Punzetta si recavano al Mercato Ittico di Napoli a vendere il pesce. Franco, appena giovincello, su richiesta del padre si recava sulla banchina del porto di Torre del Greco a "contattare" i pescatori che lo portassero con loro a Napoli.
I Pennino, a seguito di incomprensioni e divergenze con il podestà di Torre, si trasferirono a Portici (abitandovi) ed aprirono una pescheria a Napoli (zona Ponte di Tappia). In quel periodo, gli addetti ai lavori delle cucine di palazzo reale (ove alloggiavano il re Vittorio Emanuele III e famiglia) si avvalsero dell’ottimo pesce dei "Chiummino". Le pubbliche relazioni furono tenute dal figlio Aniello che aveva libero accesso alle mense reali. Il figlio del primo cuoco di Casa reale, s’innamorò e si fidanzò con Concetta (Concettina), figlia di Giovanni. Aniello, nel frattempo, iniziò anche un’attività commerciale ittica nei pressi del Duomo di Napoli (Immacolatella vecchia).

                  

L’etichetta dei Pennino costituì una garanzia e ciò valse ad Aniello una meritevole riconoscenza: la Croce di Cavaliere dell’ordine della Corona d’Italia (anno: 1946) e poi il grado di Commendatore dell’Ordine di San Giorgio d’Antiochia.
Durante l’ultimo conflitto mondiale, quando cominciarono le incursioni aeree con micidiali ed infernali bombardamenti su Napoli e provincia (a Torre nel 1943/44), i Pennino, come altre famiglie pensarono di "sfollare" e si trasferirono, viaggiando in barca, sull’isola d’Ischia, ove furono ospiti di amici pescatori. Nei mesti ed infausti giorni, dopo la resa incondizionata alle forze alleate (8 sett. 1943, armistizio), le truppe tedesche, per ordini ricevuti, cominciarono a rastrellare le case e le strade di Torre, in cerca di "preda umana" da inviare nei lager in Germania. Molti torresi furono presi, altri riuscirono a farla franca. Aniello, in uno di quei giorni di terrore, mentre camminava nei pressi delle Cento Fontane con i figlioletti Giovanni e Francesco, accorgendosi da lontano della presenza di militari tedeschi, consegnò ad una signora che ivi transitava, i due pargoli con preghiera di consegnarli ai Pennino. I soldati, avvistandolo, gli spararono addosso, ma fortunatamente Aniello riuscì a ripararsi in un pollaio adiacente un fabbricato e a dileguarsi.
Dopo la fine della II guerra mondiale, con lenta ricostruzione in tutte le città dell’italico suolo, la Civica Amministrazione di Torre del Greco "premiò" Giovanni con il rilascio di una licenza per la vendita di pesce, con locale in via Roma (attuale negozio di: Vincenzo Di Cristo, tessuti) al civico 75 (ex 77).

                      

Deceduto Giovanni, la pescheria passo ai figli Enrico e Giuseppe. L’attività cessò agli inizi degli anni ’60 con la consegna della licenza. Aniello ebbe delle iniziali difficoltà per ottenere una concessione al Mercato Ittico; grazie alla conoscenza di un portiere di uno stabile napoletano a S. Lucia ove abitava un generale (un certo Paolo Greco) la ottenne; il generale che aveva un figlio appassionato di pesca chiese ad Aniello se era possibile avere una rete per la pesca. Giovanni e Franco, armati di buona volontà e col sudore della fronte riuscirono a portare il "dono" a destinazione. (La rete fu acquistata in un negozio a Torre di articoli da pesca da un certo "Schizzavvento").
Aniello iniziò a lavorare al Mercato ittico di Napoli in piazza Principe d’Abruzzo, inizialmente come "astatore" (venditore all’asta al miglior offerente) e poi come "mandatario" (incarico di fiducia che espletò con diligenza e notevole esperienza). Qui conobbe e collaborò con Francesco Manna, commissionario napoletano (detto: "’Ciccio ’u cecatiello"). Fu aperta un’altra pescheria al C/so Vitt. Emanuele (palazzo Vallelonga, attuale sede centrale della Banca di Credito Popolare), gestita da Aniello (deceduto nel 1977) e dopo dal figlio Francesco ("Franco"), il quale attualmente è titolare di un locale per la vendita di pesce al C/so V. Emanuele n. 159 (ex 165) che prelevò all’incirca nel 1975 (ex negozio di ombrelli e riparazione di un certo Vincenzo Abruzzese, detto: "Vicienzo ’u mbrellaro", fratello del famoso Biagio, ombrellaio alla I traversa S. Noto), mentre Giovanni e Mario continuano l’attività al mercato ittico di Napoli.
Franco in gioventù è stato un buon calciatore nel ruolo di mediano. Nato calcisticamente nella "Loreto Starace", giocò, poi, nella  Turris (prima squadra) e nella Fortitudo Audace (Allenatore: il compianto e stimato Lilli Carubbi, 1921/1995), in prestito al Portici, militare; allenatore della Turris (settore giovanile) e dirigente (gestione ing. Salvatore Gaglione). Giovanni è   stato un centromediano puro; Roberto, centrocampista e Mario, centravanti, con un buon bottino di goals nel ’66 e ’67.
Il costante pallino, dettato da una naturale ambizione, di Aniello, uomo di bello aspetto, dal carattere deciso, altruista, saggio, misurato e ricordato per la disponibilità e bontà, è sempre stato quello di aprire una pescheria ("o magazzeno") nella sua città per il prosieguo dell’attività e la continuazione del nome dei "Pennino". Da più di un secolo sempre sulla cresta dell’onda.
Quindi ai figli di Franco, Salvatore e Sergio, l’importante compito di estendere e prolungare nel tempo la storica e tradizionale nomea dei "Chiummino".