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RICORDI Dl TORRE           a cura di Peppe D'Urzo
Dint 'a Scala

A calastro vi son fosse, chi ci va si rompe l’asse non avetene pietà. Il luogo è uno dei più antichi delle nostre denominazioni. A Torre quando si vuole indicare una cosa, un fatto, un argomento un luogo molto antico si dice: “Si ricorda quanno Cristo jeva pe Calasteco”. Queste parole si riferiscono a S. Pietro, quandoapprodò su queste spiagge nel suo primo,viaggio verso Roma. La piccola chiesa dedicata al santo,nella via Cupa S. Pietro, è stata costruita nell’anno mille, in ricordo dell’evento. E si trova lontano dalla riva a causa
delle varie eruzioni vesuviane che hanno cambiato il territorio. Più volte ricostruita non ha più nulla della originale chiesa. La parola Calastro deriva da cala che significa in termine marinaresco‘, deposito, il luogo dove vengono depositati gli attrezzi da lavoro. Nel 1631 un corso di lava dell’eruzione del 15 dicembre, si prolungò in mare, dove si formò lo scoglio “luongo”. Si ebbe così una piccola rada, un’insenaturanaturale dove trovavano riparo le barche dei pescatori e si facevano le pratiche di carico e scarico, pratica
mente lo scalo delle merci, oggi corretto in scala. La parola cala con termine aggiunto “stro” è tutto popolare, un senso dispregiativo che vuole indicare che il luogo era inospitale, a causa delle sporgenze di lava ed anche molto solitario. Calastro o Calistro è anche un etimo greco, che significa chelè e calà. Ma troviamo anche la parola greca Kalaktè = bella sponda. Il 6 giugno del 1906, questo luogo fu tristemente famoso per un delit
to,fu ucciso Gennaro Cuocolo, un basista della camorra napoletana. Fu trovato pugnalato sulla scogliera alle spalle del macello comunale. Attualmente “la scala” è un autentico borgo marinaro, confine con la città di Ercolano, e lo “scoglio luongo” fa parte del suo territorio. Questa luogo è raggiungibile da corso V. Emanuele, dalla strada d’accesso via Fiorillo. C’è la chiesetta di Santa Maria delle Grazie, conosciuta come la
chiesa di San Biagio, aperta il 3 febbraio. Molti devoti vengono a farsi benedire la gola. È attraversata dai binari della prima ferrovia d’Italia. In estate funziona uno stabilimento balneare sul territorio di Ercolano lido Bagno Nuovo e due nel territorio di Torre del Greco, Lido Gabbiano, Lido La Scala. Fino a qualche anno fa c’era il famoso ristorante “Chiarina a mare” molto conosciuto e frequentato dai napoletani. Mio padre frequentava
molto quei posti, in estate faceva il bagnino nello stabilimento balneare “Il risorgimento” dei fratelli Pasquale ed Aniello Aurilia. Io appena grandicello andavo con lui, e gli domandavo chi era Chiarina... Lui mi rispondeva vagamente gli aerei tedeschi, la guerra, le bombe, gli americani... la morte. Siamo
nel dopoguerra e tutti volevano dimenticare le tristi vicende della guerra, le bombe che distrussero il ristorante, lutto e dolore. Fino agli anni ’50 era usanza locale dei torresi, andare su questa spiaggia il lunedì in albis,a consumare il casatiello. Ricordo che allora c’erano le mezze stagioni, si vedevano le prime rondini che veni
vano dal sud, e la brezza del venticello di maestrale, rendevano lieto quei momenti sulla spiaggia.
Adesso cerco di descrivervi questi luoghi in ricordo della mia fanciullezza. Salgo il pendio di via Calastro, ho in testa un cappello per ripararmi dal sole, e porto in mano una “mappatella”, il pranzo per mio padre che mia madre ha preparato accuratamente. Sotto al ponte della ferrovia ci sono gli zingari che forgiano chiodi e scalpelli per i vicini cantieri. I marciapiedi sono ingombrati da enormi tronchi (o forse sono io piccolo che li vedo enormi). Più avanti sul marciapiede lato mare ve ne sono altri,ma sono appoggiati su dei cavalletti;
degli uomini vi lavorano a coppia, con una grande sega uno sopra ed uno sotto li stanno stagliando,è il fasciame per i bastimenti in costruzione ai cantieri. Sembra un “angolo francescano” dove si prega e lavora.
Vicino c’è la capitaneria di porto, vedo dei marinai in divisa, la gente li chiama “i soldatelli”, sono militari di leva. Più avanti sulla sinistra c’è una casetta, costruita su un promontorio di lava vulcanica. A scuola imparammo una canzoncina la “Casetta in Canada” nel mio piccolo mondo credevo fosse quella. E mezzogiorno si sente il suono della sirena del cantiere Di Donato e dei Molini Meridionali Marzoli.


LE FOTO: LIDO LA SCALA NEL 1948 E NEL 1930; QUADRO DÌ BENITO RUOTOLO DÌ CALASTRO; LA
SCALA NEL 2013

Colonne di camion sono in attesa di essere caricati di sacchi di farina. Stormi di colombi volteggiano nell’aria, pronto a beccare il grano caduto a terra. Più avanti a destra c’è la bottega di mastu Giro (Rivieccio) “u scassacarretta”, ma raramente qui venivano riparate. Continuo per questa assolata via, sulla sinistra c’è il macello comunale, di fronte c’è la falegnameria di Pasquale Aurilia. Li vicino una fontanella pubblica, mi invita a bere acqua fresca. Vicino al macello c’è il ristorante “Chiarina a mmare”, per noi fa parte della realtà. del luogo, ma peri napoletani è molto caratteristico, un vero paradiso che affaccia sul mare. Nei sfarzosi pranzi di matrimonio, dalla terrazza del ristorante si diffondono musica e canzoni fino a tarda notte che allietano i convitati. Arrivo a destinazione, al lido Risorgimento, mio padre mi sta aspettando impaziente. Sulla sala o rotonda del lido c’è un piccolo bar (Baiet) ed uno dei primi Juke Box: cantano Tony Dallara, Celentano, Joe Sentieri, Modugno, Mina,J. Dorelli, sono i primi cantanti urlatori, le canzoni sono: “Volare”, “Vieni vieni qui”, “Bambina Bambina”, “24mila baci”, “Una zebra a pois”. Adesso dint’a scala fa parte del centro cittadino, non è più un luogo isolato e malfamato,e la parola Calastro per qualcuno ha un termine poetico. Cala-Astro,infatti da qui si vede, l’astro che cala; il tramonto, una scena che ci affascina sempre. Poesia di Ermanno Buonocore dedicata al mare di Calastro Carezza e mare
Na carezza d’aria e mare nu suspir a me me rai si l’ammore è accussì forte io arapesse tutte e’ porte mo che parte aggia’ arapute mbraccia a me tu si carute cu chist' uocchie bella assai e sta vocca avvullutata mo’ può di che me vasat.