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Giuseppe Galante
"'U nostromo"


di Peppe D'Urzo
  

Tante sono le avventure e gli episodi degli uomini di mare della nostra città. Fanno parte della storia marinara di questo lembo di terra, ubicato in una invidiabile posizione fra Vesuvio ed un tratto di "mare nostrum". Quella torrese è da considerare una fertile superficie che ha partorito e continua a partorire, figli intelligenti ed ingegnosi, distintisi un po' dovunque. Numerose le famiglie di marittimi, i quali hanno dato, fra la metà degli anni '60 e gli anni '70 lustro e benessere, unitamente al boom industriale, a Torre del Greco.
Fra le vicende del "mer", con toccante rievocazione, riportiamo a galla la coraggiosa impresa di Giuseppe Galante, nato da Francesco e Concetta a Torre del Greco il 19 settembre del 1899 e deceduto il 3 gennaio del '69, ricordato dai più come "'U nustromo". I genitori erano originari di via Cappuccini, prima di trasferirsi in via Circonvallazione dalle parti delle Suore Battistine.
Sin da ragazzo fu "stregato" dal mare, subendone il fascino gravitazionale. Insignito della croce di guerra nel primo grande conflitto mondiale e della medaglia col motto "Libia", rilasciata "al marinaio scelto Giuseppe Galante, matricola 94805, per la campagna di Libia" in data 18 gennaio 1921. Marittimo, marinaio ed in seguito nostromo, cioè capo dell'equipaggio e nel linguaggio comune delle marine militari e mercantili, nocchiere, dal 1941 si unì in matrimonio con Colomba Serpe, sorella del comm. Giuseppe (trasportatore/mediatore di frutta con deposito vendita in via Circonvallazione di fronte alla chiesa delle suore Battistine).
Per volontà e voto di fede del nostro uomo di mare, adotta da un orfanotrofio di Avellino una bambina alla quale darà il nome di Adalgisa, che in seguito sposerà Tonino Perreca (il cui padre, Francesco, era detto "'U capitano", ex marittimo, reparto macchine), attuale titolare, unitamente ai suoi figli, del ristorante "L'Oasi", incastonato nelle verdi pinete di via Boccea.
La sera del 30 dicembre 1927, Giuseppe era imbarcato sul piroscafo "Clitunno" che a seguito di incaglio nei pressi di Capo Kali Akra nel Mar Nero, con fitta nebbia e mare burrascoso, si spezzò in due sugli scogli. Con magnifico sprezzo della vita, malgrado una violenta bufera di neve si gettava in mare legato con una cima alla vita, riuscendo così ad assicurare la comunicazione con la terra e a porre in salvo l'intero equipaggio.
Il comunicato n. 13 del 25 ottobre 1928 del Ministero Marina di Roma così riportava:
" La notte del 30 dicembre 1927 la nave cisterna italiana 'Clitunno' avvolta da fittissima nebbia andò a cozzare fra gli scogli. La nave, rimasta con la prua infissa nella scogliera, tra il fragore del mare e l'urlo del vento, si spezzava in due. Il freddo era intenso, quasi 25° sotto zero. Il comandante Michele Magnani, al momento dell'urto, cercò di dare a tutto vapore macchine indietro, ma fu inutile. Si tentò la messa in acqua delle scialuppe ma i cavi erano gelati. Dopo inauditi sforzi, alcune toccarono il mare ma furono frantumate contro la fiancata del vapore e contro gli scogli. La situazione era davvero drammatica e la vita di tutto l'equipaggio in abiti succinti e bagnati di acqua gelida, era seriamente minacciata. Il gelo aveva iniziato i suoi terribili effetti e molti uomini lamentavano principi di congelamento.
Il tragico Sos, lanciato con insistenza dall'ufficiale R.T. Silvio Agrofoglio, rimase senza risposta. La violenza dell'urto aveva asportato

la radio che non funzionava più. L'oscurità completa ed il mare "voleva la sua preda". Fu allora che il marinaio Giuseppe Galante, di Torre del Greco, sprezzando il pericolo e per la salvezza dei suoi compagni si offrì di tuffarsi a mare e, legatosi un cavo attorno alla vita, nuotando vigorosamente verso la costa, riuscì a raggiungere uno scoglio. Qui vi fissò il cavo e, dopo sforzi sovrumani, formò una specie di funivia attraverso la quale tutto l'equipaggio si portò a terra in salvo, senza poter tuttavia recar con sé alcun oggetto personale. Le pene non erano ancora finite: con gli abiti stracciati, bagnati continuamente dalle rabbiose onde, a piedi scalzi, in piena oscurità, con un freddo intenso, gli uomini rimasero addossati gli uni agli altri per tutto il resto della terribile notte, mentre il vento e la neve continuavano il loro tremendo gioco. L'alba li sorprese sfiniti ed alcuni avevano gli arti congelati. Con una grandissima forza di volontà e, arrampicandosi per le rocce, riuscirono a raggiungere il pianoro sovrastante che portava al paese di Stanca, distante un chilometro.
Durante questa marcia di trasferimento il fuochista Salvatore Navani, già in precedenza congelato, preso da uno choc nervoso, si sentì mancare: morirà, purtroppo, più tardi. Il suo corpo fu seppellito nel cimitero di Stanca". Per questa eroica impresa Galante fu insignito di medaglia d'argento al valor di marina, conferitagli dalla Maestà del Re, con Decreto del Ministero della Marina in data 27 settembre 1920.
Un'altra attestazione ed encomio lo ricevette dalla "Armada Èspanola" (Armata Spagnola) con diploma e 'Croce di merito navale prima classe con distintivo bianco per O.M. (Ordine Militare), rilasciato dal Generalissimo dell'Esercito Nazionale, Capo dello Stato, Madrid, il 18 agosto 1954. Giuseppe era imbarcato sulla nave italiana "Potestas".
Ecco la storia di un uomo, un sanguigno figlio di Torre, a giusta ragione definito un "old sea-dog" (un vecchio lupo di mare).
Nato probabilmente con l'acqua salata nelle vene. Profondo conoscitore del suo mestiere, persona tranquilla e riservata (una sorella è deceduta a 102 anni; fino a tarda età ha lavorato il corallo presso la ditta Ascione in via Beato Vincenzo Romano) di vecchio stampo, forgiata all'antica e dai sani principi morali, fra cui il rispetto altrui.
Al suo gesto eroico vanno questi ricordi che gli rendono un onorevole omaggio per una vita vissuta sul mare.