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"Marcantonio"
Vincenzo Izzo


di Peppe D'Urzo
  

Spesso la memoria, ripercorrendo vecchi sentieri diventa storia, radice per il futuro delle generazioni. Cercando di colmare le distanze e gettando un ponte sul passato, conserviamo, sfogliamo ed analizziamo con passione, l'immagine di un torrese "verace" che, sin da piccolo, tra angustie e ristrettezze, ha fatto il posteggiatore (suonatore ambulante che si esibisce in strada, piazze, trattorie e ristoranti) per tirare avanti e sbarcare il lunario.
Si tratta di Vincenzo Izzo, detto "Marcantonio" (un suo congiunto era così chiamato per ricordare i suoi fratellini, Marco e Antonio, deceduti nel canalone di via Cavallo a causa dell'enorme massa d'acqua, anticamente definita "'A lava i ciuocco", che terminava il suo impeto in mare). Nacque dopo la morte dei pargoli e fu sempre onorato di portare questo nome. Da grande era titolare di cavalli che trainavano grosse carrozze sulla prima traversa di vico Annunziata ("'U vico de capre"): aveva un deposito dove erano "parcheggiati" gli antesignani del Tram, e quando per la prima volta osservò i nuovi mezzi di trasporto transitare su rotaie senza ausilio dei cavalli, ebbe un "colpo" di quelli letali...
Vincenzo nasce a Torre del Greco il 28 novembre del 1911 da Francesco Saverio, noto incisore di cammei ed amico stimato di Luigi Palomba (sindaco di Torre del Greco dal 1921 al 1926) e da Michela Alfano (cugina di Antonio, panettiere in piazza Luigi Palomba, angolo con via De Bottis). I figli furono sette, 2 femmine e 5 maschi, di cui uno deceduto. Frequentò la scuola serale in via Teatro e lavorò in un laboratorio con tornio come "scuppatore" (tagliatore) di conchiglie, mestiere che ha ripreso nel dopoguerra in una "bottega" al primo vico Trotti n. 8 fino alla pensione.
A 17 anni si sposò con Anna Feroce da cui ebbe cinque figli (4 femmine ed il maschio che purtroppo morì a circa 40 anni nel 1977; si chiamava Francesco ed era un bravo maestro di musica, amico intimo di Giuseppe Raiola, detto "Raimir"). Partì a 20 anni militare in Marina, a La Maddalena, imbarcato sul "Liri " (regia motocisterna). Dopo il servizio obbligatorio, ritorno a casa dove il lavora scarseggiava. Cominciò ad esibirsi come posteggiatore (percussionista): lavorava in un gruppo di  persone e spesso tappava i buchi. Girava in lungo e largo per le strade e piazze della provincia ed anche fuori regione. I soldi guadagnati servivano al mantenimento della famiglia. In quel di San Severo (nel foggiano), dopo aver suonalo fuori della chiesa principale del paese, i maestri suonatori furono arrestati dai regi carabinieri locali (unitamente alla milizia ed alle guardie municipali) per un increscioso frainteso.
Fissarono sette giorni al "fresco", poi grazie ad un commissario di polizia (nativo di Napoli) il tutto fu chiarito e gli sfortunati malcapitati poterono raggiungere a spese dello Stato il natio luogo di provenienza.
Purtroppo anche a Torre ci furono delle incomprensioni, nonostante un'autorizzazione scritta che allora costò otto lire, e  problemi con la giustizia locale. Il lavoro continuò anche nelle taverne e nei ristoranti. A Torre erano richiesti da "Ciro a mare", "Cianfrone", "Stefano", "Chiarina a mmare", "Talano", "Paudice a mare". "Rappulillo" e altri ancora. Cantavano le più importanti classiche canzoni napoletane: il pezzo forte era "'A curalina"(di "Raimir"). Una volta Vincenzo venne in licenza dal servizio militare per cantarla (era assente la prima "voce"), era la seconda "voce" e tutto andò per il meglio.
Lo scoppio della guerra nel 1940 lo vede richiamato sotto le armi. Andò a reclamare i propri diritti di uomo coniugato con una famiglia da mantenere, ma per tutta risposta gli fu riferito che doveva "servire" la Patria. Durante il

periodo bellico, che ricorda come il più terribile della sua vita, subì, da militare, ben cinque naufragi a causa di bombardamenti aerei e siluramenti da parte di sommergibili nemici. Le navi mercantili su cui era imbarcato e risultate poi affondante sono "Maria Eugenio (nel porto di Tripoli) "Marocchino" (nave da carico tripolina; nella circostanza fu l'unico a salvarsi, recuperato in mare subì un processo da parte delle autorità militari che volevano sapere perché si era salvato solo lui. Subì sette giorni di rigore). "Libertas", "Gloria Stella" e "Achille Lauro".
Dopo la resa della flotta militare italiana (armistizio) fu fatto prigioniero a Malta. Gli inglesi lasciarono molti prigionieri in scialuppe di salvataggio, fra questi appunto "Marcantonio" che raggiunse Napoli. Tornò a casa e dopo poco gli morì il padre. Si presentò al Comando Marina (attuale ospedale "Gesù e Maria") e fu imbarcalo sulla "Città di Liri" (nave ospedale) sulla linea della Grecia. Da Napoli fu inviato all'isola d'Elba, mentre le forze interalleate risalivano pian piano la penisola ed i tedeschi battevano in ritirata da Piombino a Livorno e qui un medico di bordo italiano che sapeva parlare il tedesco, riferì ai civili e ai militari che i tedeschi avrebbero chiesto loro o di combattere o di tornare a casa (ma ciò era falso).
Il medico consigliò di accettare la prima proposta: lavorò a Genova per le forze germaniche per mille lire al mese. Durante un rastrellamento scappò in un fabbricato, inseguito dai soldati tedeschi. Aiutato da una donna, fu portato sul lastricalo solare e nascosto in un serbatoio d'acqua. Riuscì a salvarsi. Il marito della benefattrice, lo portò in seguito sulle montagne dove combattevano i partigiani. Dal comandante Bruno fu ben voluto  e avviato al lavoro come artista di varietà nella città figure: il norme di battaglia fu "Enzo Bruno".
A Genova spesso nei ricoveri antiaerea intratteneva la gente (in special erodo i bambini) con melodiose ed allegre cantate, accompagnate da una chitarra d'occasione. Nel marzo del 1944 sui muri della città comparvero dei manifesti che recitavano "Napoli distrutta dai bombardamenti e dal Vesuvio. Solo nel 1948 poté riabbracciare i suoi cari a casa. Congedato da tutte le esperienze della guerra andò ad abitare in via Luise n. 40 (ex sede del PCI). Oltre al lavoro al tornio, collaborò con Alfredo Buonandi (opera dei pupi) e recitò in lavori teatrali (lavorò con le compagnie di Pernice, Beffi e Penza).
Nei cine-teatri torresi partecipò alle migliori commedie di Eduardo De Filippo, amico dei maestri Tagliaferri, Murolo, Bruni, ospite gradito in varie feste per canzoni e macchiette. Uno del suoi pezzi preferiti è "Quanno è primavera" (di Raimir), tradotta poi in "'A campagnola". Oggi questo arzillo e vispo pensionato, risposato, è solito "ritirarsi" nel piccolo laboratorio del genero, Antonio Vannuccini, coniugato con la figlia Maria, alla traversa Avezzana n. 3.
Rimpiange la gioventù: con pochi soldi faceva la spesa, una spesa abbondante, - dice - che riponeva dentro "'U maccaturo 'dda spesa" (grande borsa).
In modo fiero e con un pizzico di ribellione afferma di non aver mai avuto timore della morte, e il suo dolore sembra reincarnarsi, assumendo fattezze più dolci.  In una cosa è stato bravissimo nel corso del tempo, e cioè a cancellare nel contempo i tratti realistici dell'amarezza e della sofferenza.