'I ddoje pezoche
di Peppe D'Urzo
Erano due sorelle, rimaste signorine, per cui furono definite "'E ddoje
pezòche". Si tratta di Maria Carmela Vitello (Torre del Greco,
1885-1977), detta "Mariuccia", e Gelsomina (Torre del Greco, 1888-1978),
detta "Gesummina". Si trasferirono a Solfora (Avellino) ove Gelsomina si
ammalò di depressione, per cui fecero ritorno a Torre, alloggiando
presso l'altra sorella Rosa, coniugata con Domenico Barba, agente
daziario, detto "'U turchiciello". Grazie al clima mite e all'aria
salubre del suolo torrese, Gelsomina si riprese abbastanza, e, Maria,
fisicamente più robusta, oltre a star vicino e a curare la sorella
depressa, si dedicò ad aiutare il prossimo. Entrambe erano ex suore di
Santa Croce e, con la venuta nella natia città, ripresero l'attività
"senza abito".
Non persero i contatti con la chiesa locale: frequentarono le parrocchie
di Santa Maria del Pianto in via Purgatorio, di Santa Croce e la
chiesetta del Sacro Cuore in via Piscopia. Davano lezione di catechesi
(la "dottrina" di una volta) presso la loro abitazione in via La Maria
vecchia a tanti fanciulli. Aiutavano come potevano il prossimo, i
poveri, i bisognosi e i cosiddetti "vergognosi", cioè quelli che
sentivano ed avevano vergogna di definirsi poveri.
"Mariuccia", provvista di tanta fede e di amore, dopo aver esaurito i
"viveri" par gli indigenti, col suo sorriso di circostanza era solita
ripetere: "Domani Dio ci pensa"; e sull'esemplare esistenza di San
Francesco d'Assisi riceveva e donava. Lei doveva partire per l'America
in quanto promessa sposa ad un fratellastro ivi residente, ma ebbe un
malore agli occhi e rimase a casa: fu un segno del destino... Ebbe,
inoltre, altri pretendenti ma non si sposò per scelta e voto di castità.
A chi si presentava per unirsi con lei in matrimonio, rispondeva:
"Maledizione del demonio, lasciatemi, sono la sposa di Dio. Le due
sorelle hanno lavorato, da giovani, il corallo presso Donadio, Apa,
Liguoro e Mazza, continuando l'attività anche in vecchiaia e l'utile
guadagnato andava agli altri.
Quando, poi le donne erano in procinto di partorire, loro le erano vicine
portando assistenza spirituale, cristiana e materiale (panni per in
neonati, ecc.) Anche durante la II guerra mondiale, si sono date da fare
tra i tanti pericoli e sofferenze: erano "sfollate" in via Lamaria
vecchia presso l'abitazione del cognato Domenico Barba, la cui figlia
Grazia Maria, durante la permanenza dei soldati tedeschi nella nostra
città, fu da questi ultimi presa a fucilate, ma non colpita. In questo
periodo bellico, a discapito della loro incolumità, si recavano nelle
campagne periferiche per portare la parola di Dio ed aiuti materiali a
chi ne aveva bisogno. Quando arrivavano nelle vicinanze di Cappella
Carotenuto, venivano salutate con il suono delle campane e tutti i
bambini della zona correvano in chiesa per gli insegnamenti della
catechesi.
Alla fine delle religiose lezioni, caramelle e biscottini per tutti i
festanti e gioiosi pargoli, tanto amati dalle due pie e religiose
sorelle. Questi gustosi "doni" costituivano un ambito "sogno" per i
ragazzini d'epoca. Dopo l'ingresso degli Alleati a Torre, Maria e
Gelsomina "sostennero" le giovani e povere donne che per fame e
necessità si lasciavano "tentare" dai soldati americani, inglesi,
marocchini, ecc...
Si attivarono sempre personalmente dell'organizzazione della festa di
tutti i Santi (mese di maggio) ed in particolare di Santa Rosa. I
bambini partecipanti alla processione religiosa vestivano di bianco.
Quelli più poveri venivano vestiti dalle credenti e devote sorelle, le
quali ricevevano sussidi da molte famiglie benestanti torresi, che ben
volentieri elargivano finanziamenti.
Hanno dedicato la loro vita al prossimo, dando tutto ai poveri.
La
fiducia che ricevevano dalle persone perbene ed in buone condizioni
economiche era il segno tangibile della loro riconosciuta opera di
assistenza ai meno fortunati. Non tralasciarono mai gli affetti
familiari e, a tal proposito, amarono tantissimo i tanti nipoti e
pronipoti. Fra loro ricordiamo Vincenzo e Gerardo |
Le
foto mostrano Gelsomina e Maria Carmela Vitello, dette "'E ddopje pezòche" e
Domenico Barba, detto "'U turchiciello".
Sorrentino
(bar-pasticceria in via Martiri d'Africa n. 121), il cui nonno Domenico
era colono in via Ruggiero ("'Ncopp 'i tre vie"), il papà di Vincenzo e
Gerardo, di nome
anch'egli Domenico era pasticciere (in gioventù lavorò presso il "Gran Caffè
Palumbo"), poi, marittimo, imbarcò sulla nave passeggeri "Skaubryn"
(soc. norvegese) che affondò per un incendio a bordo: tutti salvi.
Di Domenico Barba vogliamo rimembrare l'epica figura di uomo giusto e
onesto, tutto casa e lavoro. Ricordato come "'U turchiciello"
era nato a Torre del Greco nel 1900 e qui è deceduto nel 1966.
Agente delle imposte di consumo con mansioni esecutive, originario di via Lamaria, Domenico, era
adibito al controllo delle merci, trasportate sui carri e carretti nei punti
zonali d'ingresso della città: in via Nazionale-angolo via Lava Troia era un
posto di dogana ("'A ruana") ove le mercanzie dei commercianti erano
sottoposte a controlli di legge.
Durante l'ultimo conflitto mondiale con la
nascita del figlio Vittorio, classe 1941 ("Cordial Bar" dei fratelli Barba,
via Nazionale n. 366) e con l'interessamento della moglie, fu trasferito da
Piedimonte Matese (Caserta) a Torre.
Ai suoi funerali che furono imponenti, parteciparono tantissime persone che
vollero tributargli l'ultimo affettuoso saluto ed un classico e maestoso
"tiro a sei" accompagnò il feretro al Cimitero con numerose auto al seguito. |