Erico Marino 'u
mister
di Peppe D'Urzo
L'amore per il calcio l'ha avuto sin da ragazzo. Questa è la storia di
un amore grande fra gli altri amori della sua vita. I grandi affetti, le
grandi amicizie, nessuno sa mai quando sono nati. Il giorno esatto,
l'ora giusta non si ricordano: anche perché quando stanno per nascere,
nessuno è pronto con il blocchetto degli appunti e con l'idea di
prenderne nota. In ogni caso, rituffandoci nel passato, rievochiamo la
mitica "image" di un piccolo (di statura) grande (in tutto e per tutto)
uomo: Enrico Marino, nato nel 1928 a Napoli (zona Vicaria), da Francesco
e Bianca Carbone. Coniugato con Maria Giuseppa Borriello (sorella di
Raimondo, ex arbitro di calcio e dirigente della Turris).
Il padre, ispettore dell'azienda tranviaria (poi Atan e attuale Anm),
venne ad abitare al corso Resina in Ercolano (ai confini con Torre del
Greco) e poi in via Fiorillo.
Enrico ha ancora impresso negli occhi il
tremendo bombardamento aereo del 13 settembre 1943 che arrecò
distruzione e morte nella zona di corso Vittorio Emanuele fino ad
Ercolano. Il ricovero presso cui era solito rifugiarsi con la famiglia
era ubicalo in un lagno (o "canalone") di fronte villa "De Martino".
Maria Giuseppa abitava, invece, in via Roma n. 1 (fabbricato del 1885),
ed era solita trovare riparo con i congiunti dalle incursioni aeree nel
palazzo ove i D'Orlando avevano l'attività di coralli e cammei.
Ricorda l'avanzare dei soldati tedeschi in cerca di uomini per le strade
della città. ln via Vittorio Veneto, nei pressi dell'ex distributore
"Esso" (attuale "Pingù"), v'era un cancello al cui interno si trovava un
vasto giardino: qui vi erano nascoste molte persone. l tedeschi stavano
per forzare la via d'accesso, quando all'improvviso si presentò loro
davanti una donna (detta "'Ngiulina rint 'u cancello") che, dimenandosi
con tutte le sue forze, gridò: "Iatevenne, ccà ce stanno solo femmine!".
Agli esterrefatti soldati non rimase che andar via.
In questo periodo bellico il giovane Enrico, appassionatissimo della
"pelota", si recava spesso con qualche amico a Napoli allo stadio "Ascarelli"
ad assistere alle gare della squadra partenopea. Il capoluogo campano
era danneggiato dai bombardamenti aerei (più di cento) e demolito nella
sua vitalità.
Lo spirito infranto dei napoletani è ben ricordato da Eduardo De Filippo
in "Napoli milionaria": la madre era sempre preoccupata del figlio che
era fuori di casa a vedere la partita di pallone. Durante la permanenza
degli alleati, si ritrovò a lavorare con le truppe sudafricane presso
villa "Favorita" (in territorio ercolanese). Faceva un po' di tutto ed
imparò anche, un tantino, l'inglese. Si ritrovò, a distanza di anni, tali
contributi lavorativi ai fini pensionistici. E come il libro della vita
volle, attratto dal gioco del calcio, cominciò a dare i primi tiri ad
una palla che, il graffiante avvocato Giuseppe ("Peppino") Prisco, vice
presidente dell'Inter, definisce "una palla grigia di gomma" che
rimbalzava bene, in mancanza della quale veniva fatta di stoppa, con gli
stracci cuciti assieme. Però non rimbalzava.
Lui ricorda di essere proprio bravo (ci sono ricordi che corrispondono a
certezze!): era un puro centrocampista dai piedi buoni e dai perfetti
assist per i compagni. Prediligeva questo punto nevralgico e strategico
del campo, inteso come riferimento per gli equilibri di una gara.
Iniziò, proveniente da una squadra minore di cui non c'è memoria, nelle
file dell'Ercolanese (giocò anche contro la Turris al "Liquori",
disputando un ottima gara; indossava la casacca granata dei "cugini": a
fine gara fu "rampognato" dal custode del campo, Vincenzo Talvetti,
detto "'u brigante"; la partita terminò |
in parità), nell'Atan (di
Napoli), nel Nicastro per poi passare di nuovo all'Atan.
Da allenatore (ha avuto tante soddisfazioni, coronate da alcuni
importanti
successi) ha iniziato con la Stella Rossa (una squadretta della zona di Sant'Antonio), poi con l'Atan, il Pro Ina (con sede in via Circonvallazione
-
Ina Casa e in via Diego Colamarino, 23), la Fortitudo Audace (dei Garofalo,
Ardenio e Colamarino), la Nova Torrese, l'Alba Turris (nata dalla fusione del
De Nicola, Audace e Nova Torrese; presidente A. Ruggiero: vinse il
campionato di prima categoria) l'Ercolanese (portò alla grande la squadra in
promozione), Turris (settore giovanile, trionfò in due campionati, "allievi"
e "De Martino", attuale 'Berretti", agli inizi degli anni '70, fu anche
allenatore in seconda di Maurizio Bruno).
Nel giugno 1967 allenò la squadra
dei Vigili Urbani di Torre del Greco, impegnata in un importante torneo.
La sua "creatura" è stata, senza ombra di dubbio, la Pro Ina ove sbaragliò
gli avversari in due campionati vinti nel settore giovanile. In seguito,
sette suoi giovani calciatori furono chiamati per le selezioni regionali di
categoria: da qui lanciò alcuni validi giocatori fra cui G. Ciliberto, G.
Basso, V. Candurro, P. Ancona (che passò alla Fiorentina, attualmente risiede
in California) ed altri che passarono nelle fila della Turris.
Grosso trascinatore, combattente di razza, signoreggiante e provvisto di uno
spiccato carisma, fu uno tra i primi fautori della tattica del pressing e
del fuorigioco, quello "studiato" (come lo definisce lui) ed applicato con
intelligenza dai suoi "uomini". Gli stessi avversati, sorpresi e colti in
"fallo" gli riconoscevano questo, innovativo "pensée de football".
Da arbitro
di calcio sostenne il corso nella metà degli anni cinquanta, e fu in attività sino
allo metà degli anni sessanta.
E' arrivato in quarta serie Commissario speciale (visionatore), attualmente
è componente del Comitato Regionale Figc (settore dilettantistico). Ecco
descritta la figura di questo "piccolo, grande mister", anche ex Direttore
Sportivo della Turris nella stagione calcistica '65/66 al presente
pensionato ex Atan (bigliettaio, impiegato e Capo ufficio amministrativo),
persona molto comunicativa, generosa e disponibile.
Circondato dagli affetti familiari, ogni tanto si ricorda di rivivere il
passato da cui "emergono" molti suoi insegnamenti e dettami calcistici
tecnico-tattici sempre di attualità. Ha sempre prediletto l'umiltà, il
vigore fisico, l'agilità, la scaltrezza ed il gioco di squadra; a tal
proposito, a quest'uomo, detto "il piccoletto", va dedicata una massima
calcistica che recita così: "... la palla ha qualcosa che attrae e il gioco
di squadra aiuta la gente a stare insieme". Un altro motivo di studio per il
calcio era il pressing: il grande "mago" dell'Inter, Helenio Herrera,
incitando i suoi giocatori, gridava "Taca la bala".
Il buon Enrico, vecchio marpione e navigato nell'esperienza, era solito
ripetere ai suoi allievi "Non date respiro agli avversari". |