Via Pino a due Cime
di Peppe D'Urzo
Qualche anno fa mi
recai, con degli amici, col curioso desiderio di conoscere, in questa
storica via che racchiude in sé un qualcosa di raro e bizzarro. La
rarità nella spontaneità della natura, senza intervento di principi
soprannaturali, trascendenti o spirituali, consisteva, come raccontavano
alcuni abitanti della zona, in un pino, cioè un albero verde intenso di
grande altezza, ramificato, con una scorza rossastra e scagliosa, alto
circa 20 mt. e dal diametro di 1 mt.; questo pino aveva una peculiare
caratteristica: il fusto (o tronco) era composto da due ombrelle (dial.
Ombrelli) infiorescenti concentriche ed aghiformi sempreverdi.
Il primo ombrello (posto a 12 mt.), come di un individuo rustico e non
socievole, è considerato selvatico, silvano ed incolto, e, senza nulla a
produrre; oggidì quasi del tutto scomparso; il secondo, (collocato a 20
mt. circa, e largo più di 30 mt.) produce pigne, i classici frutti del
pino, i cui semi costituiscono i pinoli (o pignoli o pinocchi). Queste
"chiome" sono un raro evento della natura che va al di là degli
ordinamenti e leggi universali; potremmo definirlo un "contronatura".
Appartiene alle più antiche caratteristiche quello della targa marmorea con la scritta "Via
Pino a due cime"; poi, proseguendo, trovasi una stradina a sinistra, al
cui ingresso su di una parete muraria, è ancora intatta una composizione
maiolicata (di circa 60 cm. X 40 cm., con sei mattonelle) che ne ricorda
l'antica esistenza, con l'effigie del pino a due cesarie.
Difficile è
accertare la sua esistenza; qualcuno dalla bianca capigliatura che ivi
abita, asserisce che il leggendario e storico albero potrebbe risalire a
quasi tre secoli or sono.
Adiacente al pino trovasi una vecchia fabbrica di mattonelle "Ceramica Capodimonte
- Pavimenti e rivestimenti naturali e senza l'intervento
dell'uomo"; ha il valore di "certamente, senza alcun dubbio". Si
conoscono oltre settanta specie di pini che crescono nelle regioni
temperate o fredde dell'emisfero boreale, lungo i litorali marini o a
grandi altitudini. |
I nostri sono definiti "Pinus pinea" e sono tipici delle regioni
mediterranee vicino al mare.
Le nostre pinete alle falde del Vesuvio sono
ricche e boscose di questi alberi forestali resinosi con foglie persistenti
(i nostri "filipigni"), proprie dei climi caldi o temperati.
Salendo via
Nuova Trecase, dopo la chiesa della Madonna del Buon Consiglio in zona
Leopardi, girando la prima a destra, ci si imbatte in una targa di strade,
Leopardi - Torre del Greco/NA, in uno stato di abbandono, e la cui attività
terminò agli inizi degli anni ottanta. È tuttora visibile un cavo d'acciaio
collocato dai soldati tedeschi, durante la seconda guerra mondiale, fissato ad un
muro di cinta e al tronco del pino, per assicurarne la stabilità. E in quei
giorni che susseguirono l'armistizio dell'Italia con le forze anglo-americane in quel fatidico 8 settembre 1943, molti abitanti del luogo e altri
rifugiati, trovarono sicuro riparo nella parte inferiore (quella selvatica)
dell'imponente pianta, grazie alla sua folta vegetazione.
Era il triste
periodo dei rastrellamenti in città ed in periferia da parte dei nostri ex
camerati germanici a caccia di materiale umano da inviare nei campi di
lavoro del territorio del Terzo Reich.
Ed in via Nuova Trecase, salendo a sinistra quasi su in cima, c'era un ampio
spazio adibito a campo di raccolta prigionieri e razziati civili con
destinazione oltre i confini italici, per essere relegati in luoghi di
internamento o "concentramento". Eravamo diventati, in quel terribile
tempo di guerra, nemici ed avversari della Germania. Inoltre, sempre in
questa antica via che conserva la pavimentazione stradale con le basole,
transitarono i nuovi alleati, cioè i "Liberatori"; carri armati inglesi
andavano e venivano con il cannone puntato in direzione dell'autostrada,
mentre gli americani erano impegnati nei pressi del colle Sant'Alfonso.
Un
altro pezzo di storia che descrive un racconto della nostra città; una
cronaca narrativa alla ricerca di cause ed effetti che fanno parte delle
nostre tradizioni.
Bene fece il nostro Municipio, in un periodo non ancora
definito, a dedicare una strada a questo fenomeno di madre natura.
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