Indice

Giovanni Di Ruocco
"Giuvanni ì Ruccutiello"

di Peppe D'Urzo

Giovanni Di Ruocco, nota e stimata figura, gran lavoratore sin da ragazzo, personaggio della cava di Villa Inglese dove ha trascorso gran parte della sua vita, è nato a Torre del Greco il 04.03.1923 da Filippo, detto Rocco, trasformato, poi in "Ruccutiello", trasportatore di pietre su carri, trainati da cavalli, e da Anna Mosca; nove furono i figli (quattro maschi e cinque femmine). Originario di via Nazionale, zona Palazzone (palazzo Salvatore, tardo settecento, complesso di un gusto architettonico libero e gioiosamente incline alla bizzarria; all'angolo sinistro della facciata, confinante con via Viuli, si apriva una piccolissima cappella, chiusa da tempo).
Sin da giovincello imparò il mestiere del padre e del nonno. Trasportava pietrame vario, basole, cordoli ed altro su carri e carretti (traino a tre cavalli).
Gli animali venivano acquistati a Torre Annunziata (fiere) ed accuditi in una stalla in via Nazionale sempre nei pressi del Palazzone; altri venditori di cavalli erano i Miele (della stirpe ("Tutt 'u murino"), antichi e famosi cavallai in località S. Antonio e via Nazionale angolo via Cimitero. Essi compravano i cavalli un po' dovunque, ma in special modo dalla Sardegna. Si trasportava, inoltre, su commesse della Ferrovia dello Stato, pietrame lungo i binari da Napoli (San Giovanni a Teduccio) giù per la Calabria e la Sicilia. I Di Ruocco ed altri operai specializzati nel ramo effettuavano lunghi viaggi per scaricare questo tipo di pietrame che veniva, poi, sistemato da personale delle FF.SS. sotto le traversine dei binari; esistevano, all'occorrenza, delle carrette, denominate "tummarelle", adibite ad un meno difficoltoso scarico del "prezioso" materiale; oggi qualcuno le tiene conservate a mo' di esposizione in locali addetti o interni di ville e giardini, come pezzi di antiquariato.
Giovanni, militare in Esercito, fu inviato in Sardegna, ove dopo le vicende dell'8 settembre '43 (armistizio) fu preso prigioniero dai tedeschi; fece ritorno a casa a fine guerra.
Si unì in matrimonio con Raffaela Gargiulo (1927/ 2003); ebbe tre figli  maschi e una femmina, quest'ultima in Polizia a San Nicola la Strada (CE); Rocco (1950), imprenditore ("Comid", pompe sommerse), Francesco (1952), imprenditore ("RDR") e Angelo (1956), commerciante di pietre a Villa Inglese.
Egli perse la madre Anna Mosca e le sorelle Rosa (1927), Angela (1930), Emilia (1934), Antonietta (1937) e Vincenza (1943), a causa di un bombardamento aereo, avvenuto alle ore 11,30 del 14 settembre 1943; infatti, le sfortunate ed inconsapevoli donne nel mentre correvano nel ricovero antiaereo in via Nazionale, e poco prima di svoltare all'angolo di via Pagliarone, furono colpite, unitamente ad altre persone, da una bomba, la cui esplosione causò la loro morte. I nomi di queste innocenti vittime (e quelle dei giorni antecedenti e successivi) sono scolpiti in una stele marmorea (monumento ai caduti dell'incursione aerea su Torre del Greco del 13/09/1943) nella parrocchia di Santa Maria del Popolo al C.so Vittorio Emanuele.  La stele ricorda anche gli altri cittadini torresi deceduti per questo incredibile e folle "fatto bellico"; la morte arrivò dal cielo. La guerra fu cieca, ma ahimè continua ad esserlo anche al presente. Il fratello di Giovanni, Ciro, fu preso dai tedeschi durante i rastrellamenti in città, dopo l'armistizio dell'Italia con gli anglo/americani dell'8 settembre 1943 e fu condotto in via Campanariello e poi a Maddaloni (CE), stipato, poi, su di un treno con destinazione la Germania (campi di lavoro).
Vari furono i bombardamenti che il convoglio subì durante il percorso. Il treno fu costretto a fermarsi nella stazione di Cassino, ove vi fu un fuggi fuggi generale; Ciro riuscì a nascondersi nel cimitero della cittadina laziale; pian piano dopo qualche giorno, tornò a piedi a casa. Un altro congiunto, Francesco Gargiulo morì nel porto di Napoli, sempre durante la II guerra mondiale; era un buon fabbro ed era originario di via Torretta Fiorillo.
"Ruccutiello", facendo un tuffo nel passato, comincia a ricordare i tempi in cui si lavorava nella cava estrattiva di pietra di Villa Inglese.
Le pietre laviche di origine vesuviana sono passate attraverso tre stratificazioni: alto-medioevo, medioevo e XVII secolo. Tanti sono stati i lavoratori in questo ameno luogo periferico della città, confinante con l'azzurro  mare di una volta. C'erano  "i muntagnari" che abbozzavano e ripartivano le forme, i "cavatori" che scavavano e dopo aver attentamente "studiato" i dovuti fenomeni, estraevano i materiali pietrosi, gli scalpellini che lavoravano le pietre con la "mazza", "mezza mazza" e scalpellino; quest'ultimo arnese da lavoro veniva usato "a puntello" (solo scalpello a punta) e a "buciarda" (martello che scorteccia).
Erano tutte "prove d'orchestra", i cui maestri intonavano splendide e melodiose note con le pietre che sembravano avere la parola per poi cantare poetiche composizioni.
L'attività della lavorazione della pietra vulcanica ha portato in giro per il mondo il nome della contrada Leopardi. Come si evince dalla raccolta "Leopardi, ginestra e lavoro" da una idea di G.B.Scaramello e Angelo Di Rocco (Centro Socio Culturale), luglio 1980, "Questa pietra compatta ed imponente trova un impiego molto vasto nell'edilizia, nella pavimentazione stradale, nella decorazione, ecc.



 

Il procedimento di escavazione e lavorazione del materiale vulcanico comportava un lavoro  estremamente duro a cui gli uomini della contrada si piegavano con tenacia, in quanto esso costituiva l'unica risorsa. Il Vico Campanariello era un andirivieni di carretti prima e di autocarri dopo che trasportavano ciottoli basole e pietrisco, intorno ai quali si muoveva un'atmosfera di vera miniera, dove gli uomini vi affluivano di buon mattino, per rientrare al calar del sole, chini sotto il peso di dure fatiche. Il suon familiare di un corno da caccia annunciava l'imminente scoppio delle mine. Era un rimbombante boato che raggiungeva le massaie nelle case. L'esplosione disgregava, dal fronte roccioso, blocchi giganteschi sui quali si avventavano nugoli di scalpellini, come formiche che aggrediscono il chicco di grano. In quell'ammasso di roccia c'era la garanzia di ulteriori giornate di massacrante lavoro.
Quel sacrosanto pezzo di pietra, talvolta si tramutava in un maledetto assassino; una agghiacciante voce annunciava la tragedia in paese ed una pesante angoscia attanagliava la gente.
La pietra aveva mietuto una vittima, quella stessa pietra che il giorno dopo avrebbe continuato a procurare un tozzo di pane alla famiglia del "muntagnaro", uomo di massimo sfruttamento negli anni '30 e '40; sorsero frantoi moderni e nastri trasportatori; lunghe file di carrelli, inoltre, trasportavano e scaricavano detriti e scorie. La pietra lavorata veniva inviata in tutta Italia ed anche all'estero; è da citare una grossa fornitura effettuata in Cina. Il salario percepito dai "cavatori" era insufficiente ed inadeguato al sacrificio fisico degli stessi, al rischio ed al ragionamento inevitabile della salute. Anche le lotte e le rivendicazioni salariai trovarono  posto nella storia di questa antica attività di Leopardi.
Qualche miglioramento economico fu ottenuto al prezzo di enormi sacrifici. Un buon scalpellino veniva inquadrato in una precisa categoria, così pure un esperto "cavatore", ecc...; ma queste vittorie operaie trovarono il loro epilogo nell'esaurimento delle falde basaltiche, nella minore richiesta per la pavimentazione delle strade, impiego un tempo molto in voga, poi soppiantato da una miscela di bitume e di materiali inerti, più noti con il nome di "asfalto".
E quando sentiamo dire "abbasc 'a Villa Inglese", intendiamo la vasta zona confinate con la FF.SS., di cava di pietra in Viale Europa e Via Campanariello; questa "stonequarry", risalente alla fine del '700, è così detta poiché da queste parti si trovava un cittadino inglese (o suo nucleo familiare), ma non si sa chi; il regime fascista la riedificò   e si dice che qui inviasse i nullatenenti a lavorare.
Durante il periodo degli alleati in città (ottobre del '43), gli inglesi vi stabilirono un campo base con alloggi per la truppa, unitamente al contingente indiano; v'era anche la Cava francese per la presenza di soldati francesi. Dal dopoguerra si tennero corsi di formazione professionale per l'avviamento al lavoro; nacque spontaneo anche uno spazio adibito a campo per giocare a pallone; vennero qui molte squadre ad allenarsi. Da menzionare, inoltre, la cava di Grimaldi F.sco, "'A montagna 'ddu pere 'i l'acqua" (sorgente sotterranea), il complesso "Piscine Villa Inglese" (proprietari: germani Pecchia), "Torre scassata", attuale centro turistico balneare e ristorante dalla classica cucina mediterranea, in via Campanariello e "'A lava 'i Cianfiliello", un tratto di via Nazionale dopo l'ex pastificio Dota.
Infine, vogliamo ricordare il fabbricato "Villa Inglese" al v.le Europa 1132 (ex terzo tronco Litoranea) che fu di proprietà di Sir William Hamilton (1790/1803), al tempo delle cacce borboniche nella tenuta delle Mortelle. Hamilton alloggiò anche a palazzo Salvatore in via Nazionale n. 978.
Altri proprietari del fabbricato "Villa Inglese", dopo Hamilton, furono: Malaspina (i marchesi), e Boniello; ex palazzo della Finanza (presidio che l'Arma aveva in questa costruzione). Qui, con ingresso da v.le Europa 1162, i f.lli Balsamo s.r.l. (figli di Ciro 'u trammmiere) hanno la loro attività commerciale di deposito e parco auto ecc. Se passate da queste parti, recatevi in questo storico sito in cui si può bene osservare e toccare con mano quella roccia vulcanica che ti "prende" dentro, provocandoti un intimo e reverente pathos.
Il paesaggio è irresistibilmente avvolgente; si provano sensazioni indescrivibili a ricordo delle varie eruzioni che hanno colpito la nostra Torre del Greco.
Un luogo frequentato da studiosi ed esperti che vengono a saggiare materiale vulcanico per ulteriori studi e ricerche.