Giuseppe
Spavone
di Peppe d’Urzo
Anche la sua, unitamente ad altre famiglie napoletane, ”sfollò” dal
capoluogo partenopeo per i continui e massicci bombardamenti aerei non
graditi dalla stanca e rassegnata popolazione. Giuseppe Spavone è nato a
Napoli nella zona denominata "’A marinella”, il 04/04/1933, da
Michele, pescatore e Giuseppina Scotto, casalinga; otto furono i figli:
due maschi e sei femmine. Imparentati con altri Spavone (”Tatonno ’u
malommo” ed il fratello ”Bambiniello”), pescatori e residenti in via
San Giuseppe alle Paludi, ed anch’essi prigionieri di Napoli.
”Tatonno” riuscì a prendere, con maestria ed abilità, supportato da
una notevole forza fisica, un tonno agganciandolo con un uncino negli
occhi; fu un impresa eccezionale che entrò nella storia dei pescatori di
allora. Giuseppe, detto "Lucariello" (dal nome del nonno paterno)
imparò con passione e dedizione, il mestiere di pescatore, andando col
padre su di una barca a remi in lungo e in largo nell’azzurro golfo di
Napoli; la barca era depositata su di un litorale di San Giovanni a Teduccio;
il padre, ogni mattina, tempo permettendo, vi veniva a piedi dalla
”Marinella”, portandosi spesso Giuseppe sulle spalle.
Cominciarono ad intensificarsi i bombardamenti aerei sulla zona del porto
napoletano; case distrutte, fame e miseria; catastrofica fu anche
l’esplosione della motonave ”Caterina Costa” nel mese di marzo 1943
che avrebbe dovuto trasportare truppe, munizioni, carburante e carri
armati a Biserta (città e porto militare della Tunisia, a nord-ovest da
Tunisi), ma un incendio, seguito da una violentissima deflagrazione, la
distrusse nel porto.
La famiglia di ”Lucariello”, per le dovute circostanze, decise di
”sfollare”, inizialmente si andò in quel di Sarno (cittadina –
attuali abitanti: 27.816 – in provincia di Salerno a 30 mt. s. m.; in
bella posizione presso una delle sorgenti del fiume omonimo; centro
agricolo e industriale): qui si viveva, con altri nuclei familiari
”spopolati”, in un grosso capannone; dopo quattro settimane circa,
trasferimento a Torre del Greco in Largo Benigno con abitazione di
fronte al vecchio fabbricato (confinante coi binari della Ferrovia dello
Stato), da tutti ricordato come "’U palazzo ’dda cappelluccio r’a Maronn
’i l’Arco"; si viveva in sette in una piccola e vecchia dimora,
purtroppo anche su Torre caddero le bombe che colpirono diversi quartieri
e rioni.
Gli
Spavone ed altre persone del luogo, riparavano in un ricovero antiaereo
sotto casa che, attraverso sinuosi percorsi, comunicava con Piazza Santa
Croce. Dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43, un giorno, insieme al
25 luglio (caduta del fascismo), in cui la storia si mise a correre,
inghiottendo un po’ tutti, si pensò che la guerra fosse finita, invece, in un clima di totale confusione per i civili ed i tanti
soldati che presero la via di casa, passando di fienile in fienile, con
abiti che li rendevano spaventapasseri, si assottigliarono le già misere
riserve alimentari: la parte più crudele doveva ancora arrivare.
I
tedeschi iniziarono a rastrellare in città uomini, giovani, animali,
ecc.; si diffuse il panico. Bisognava rimanere ben nascosti per non
cadere prigionieri dei tedeschi, ed evitare la deportazione in Germania. Ed
anche le preghiere, nelle case, nelle chiese, si moltiplicarono; come
sempre, erano soprattutto le madri a pregare per i propri cari internati o
ancora in guerra, senza ricevere più
notizie.
Poi venne il sollievo ed il benessere degli alleati. Giuseppe ricorda che
si andava con le barche al largo del golfo ove erano di transito navi
americane da cui i marinai lanciavano a mare scatoloni di vario genere
alimentare e quant'altro potesse servire. Una volta, da una nave del tipo
’Liberty”, per alleggerire il proprio carico, fu gettato a mare un po’
tutto, fra cui delle tavole di legno, raccolte dai pescatori, tra cui il
padre che ne aveva necessariamente bisogno.
Chissà cosa accadde a bordo dell’unita americana, in quanto, per ordini
superiori, i militari a ”stelle e strisce” sequestrarono la barca e
presero Giuseppe col padre ed altri. Rimasero nel carcere di Poggioreale
per un po’ di tempo, per essere, poi, rilasciati, ma la barca fu
requisita.
Intanto gli stenti aumentavano; si
riusciva a raccattare quel po’ di cibo o a strapparlo ai borsari neri. Le
sorelle di "Lucariello" furono costrette a vendere un po’ di biancheria
per tirare avanti, in questo periodo fece ritorno a casa il
fratello Luca (classe 1921), marò nella Regia Marina, combattente
sull’isola di Corfù nel
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mar Ionio (costa greco-albanese; 15/25
settembre 1943 eroicamente difesa dalla divisione ”Acqui” contro i
tedeschi);
qui fu preso
dai soldati germanici, nella sua
postazione che guardava il mare, e condotto in Germania, da cui fece ritorno nel
tardo
dopoguerra; di lui si erano perse le tracce e fu considerato scomparso in
guerra.
Erano quasi le dieci del mattino quando Giuseppe, il padre ed alcuni
familiari ed altri uomini di mare erano intenti, su quel tratto di
litorale sangiovannese, a stendere (”spannere”) le reti; ad un tratto
comparvero da lontano due ”ombre” con sembianze umane di due soldati
che, zaino in spalle, si avvicinavano; uno di essi era Luca (l’altro
commilitone era di Ischia), logoro e frusto dalle tante traversie e perigli patiti in guerra ed in prigionia, che, non trovando più nessuno
nella casa napoletana, era venuto, ricordandosi dei parenti, a San
Giovanni a Teduccio. Immensa fu la gioia di riabbracciare i propri cari,
lasciati tempo addietro, per andare a servire la patria in armi. La vita
riprese pian piano con l’attività di sempre, la pesca.
Le barche tornavano cariche di alici (quelle di ”rezza” e le
”austegne”, cioè quelle che nascono nel mese di agosto), polipi,
tonni, pesci argento o sciabola (”bannera”), pesci del golfo, ecc.
In seguito fu acquistata una barca a motore, attrezzata con una vela,
del tipo militare, macchiettata come la tenda da campo, ancorata nel porto di
Torre del Greco, banchina di levante (Spiaggia del Fronte). Giuseppe si
unì in matrimonio a San Giovanni con Carmela Marigliano, andando ad
abitare in vico Postillo a Cavour (’Rint i chiazza”), ed attualmente
in via Fontana n. 11.
Dalla loro unione sono nati sei figli (quattro maschi e due femmine):
Michele, marittimo; Ciro e Salvatore, fabbri in Largo Fontana; Stanislao,
ex marittimo (tankista con la società ”Lauro”; si infortunò a bordo
della petroliera ”Eraclide”), poi, dipendente della Tangenziale;
Carmela e Pina; quindici i diletti nipoti.
”Lucariello” ha prestato
servizio militare in Marina; era imbarcato sulle corvette; risparmiò gli
ultimi due mesi dei ventisei di leva, per una gastrite acuta. Lavorò anche
nella centrale elettrica a San Giovanni a Teduccio. Una vita dedicata al
mare. ”Non posso resistere senza la pesca egli afferma – e non
toglietemi il contatto col mare, per me è vitale...”.
Esperto anche nel
prendere tonni a diverse miglia dal nostro porto. In una notte alquanto
pescosa di alici ed altro, furono presi tre di questi esemplari (dai 70 ai
100 chili), unitamente al figlio Michele ed un altro pescatore, un certo
Angelo Orlando, residente in vico Sportello. Un tonno di qualche quintale,
preso al largo, fu trainato da una gru galleggiante a Mergellina.
Nel porto, al ritorno dalla solita ”piena”, un altro tonno ancora vivo,
sganciandosi dall’uncinante giogo, agitandosi con forza, cercò di
riprendere il mare, ma Giuseppe lo recuperò; fu un grande spettacolo da
ripresa cinematografica.
Una volta, però ha anche rischiato di lasciarci
le penne. Accade al largo di Capri a bordo di una ”cianciola",
dopo il carico di alici, la barca ”ospitò” due tonni grandi, un terzo
che opponeva resistenza, riuscì a liberarsi dai ganci e lo stava tirando in
mare, ma fortunatamente il fratello Luca, presente all’accaduto, lo
afferrò in tempo.
La corda di naylon attaccata al tonno, tesa al massimo,
gli stava quasi staccando un dito (la ferita in gergo si chiamava "’A bott ’i sangue"); l’animale, svincolandosi vigorosamente, si
allontanò.
Ecco descritto lo spaccato di vita di Giuseppe Spavone, un
uomo tranquillo e cordiale, stimato ed apprezzato dagli altri pescatori
torresi; al presente va ancora a pescare, polipi, con una barca di otto
metri. Minuto nel fisico, semicalvo, occhi chiari e faccia rugata,
mantiene ancora il dialetto di origine napoletano; conserva una naturale
abbronzatura solare che gli risalta nitidamente sulla pelle, sul viso e in
quegli occhi profondi che si riflettono nell’azzurro del mare, quel mare
che gli appartiene da sempre, il suo mondo, la sua famiglia, la sua
vita.
Le foto: Giuseppe Spavone,
detto ”Lucariello” al presente; con la figlia Carmela, il nipote
Giuseppe, il figlio Michele e l’amico Carlo Boccia; sulla barca in mezzo
al mare con altri pescatori dopo aver pescato un tonno
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