Il gioviale
"Salvatore
Aprea 'u purtìere"
di Peppe D'Urzo
L'eco
soave dei ricordi intrisi di nostalgia per i luoghi e personaggi che furono,
ci stimola ad un profondo sentimento, atto a rivedere il passato, quel
sereno passato che richiama e ricrea nel nostro gusto estetico la bellezza
dolce e severa dell'arcobaleno della memoria. Dalla "bobina" della
rimembranza, attraverso note descrittive e cercando di conoscere vecchie e
sopite realtà della nostra città quasi sconosciuta sulla quale vale
riflettere per poterla amare ancora di più, viene proiettata la descrizione
di Salvatore Aprea, nato a Torre del Greco il 4 febbraio del 1892 ed ivi
deceduto nel 1970, soprannominato anche "fondi 'i Cristo" (per la
raccolta di fondi, in nome di Gesù Cristo, relativi alla costruzione di un
mitico altare al I° vico Trotti) e "Tòre 'a zoccola" (in quanto,
molto simpaticamente, riusciva a "sfottere" il prossimo).
Nativo proprio del I° vico Trotti, il padre Vincenzo, detto "'u
gravunaro", venditore di carboni, era un vero artista nel creare,
costruire e vendere pastori (era un grande appassionato di presepi). Sin da
ragazzo ha lavorato presso gli ex Molini Meridionali Marzoli come
garzone-muratore. La patria lo chiamò sotto le armi nella grande guerra del
'15/18; si trovò in quel di San Giovanni a Teduccio addetto al
vettovagliamento dei soldati. Imbarcò sul peschereccio "Spugnara",
adibito alla pesca di spugne sulle coste nord africane.
Di un fratello che partì con lui, ma su di un'altra imbarcazione, non seppe
più nulla: si narra che cadde e scomparve tra i flutti marini. Comunque,
non venne mai a conoscenza delle cause del suo decesso. Da allora giurò a se
stesso di non voler più andar per mare.
Sposò Virginia Criscuolo (1898/1969), detta "'a sorda", donna
vitalizzante e tonica, dalla quale ebbe nove figli (la prima morì), sei
maschi e tre femmine. Riprese a lavorare ai Molini come operaio e poi
caporeparto. Qui i soldati tedeschi, nel settembre 1943, minarono le
principali strutture dell'opificio e presero come prigionieri anche gli
operai. Salvatore si buttò da una finestra (da una ragguardevole altezza)
su di un cumulo di terreno, riuscendo a scappare e a salvarsi. Presso la sua
abitazione in via Sedivola 12, era ubicato un piccolo porticato "'u suppuorto" all'interno del quale v'era un giardino con grotta
sottostante che fungeva da ricovero e nascondiglio, ove rimasero, ben
nascosti, molti uomini della zona: un venditore di frutta, con carretto ed
asino, detto "'u cippone", fu preso dai tedeschi in strada.
Cominciò a piangere, ebbe il tempo di consegnare la chiave di casa ad una
vicina, ma i militi inteneriti lo rilasciarono.
Antonio (classe 1937,
pensionato), uno dei figli di "Tore", qualche giorno dopo, appena
sceso di casa, notò due soldati germanici che volevano entrare nel "suppuorto".
Tentarono di forzare il cancello d'ingresso: il ragazzino si avvicinò ai
due, uno gli diede una spinta facendolo cadere a terra, l'altro riprendendo
il camerata gli offrì una caramella. La scena fu vista da donna Virginia
dal suo balcone e si mise ad urlare e a piangere; si calmò quando il
figlioletto fece ritorno a casa.
Il ricordo dei bombardamenti è ancora vivo negli occhi di chi ha vissuto
quei tremendi giorni. Bombe caddero in via Guglielmo Marconi nei pressi del
presidio ospedaliero, oggi "Bottazzi". Virginia ed i figli non
riuscirono a guadagnare il ricovero e tutta la casa tremò dalle fondamenta.
Un'altra bomba cadde senza esplodere in via Sedivola (poco più sopra). Fu
poi disattivata da artificieri italiani. A via Vittorio Veneto altre bombe
ed un aereo caddero nell'ex palestra della scuola elementare "G.
Mazza". |
In ottobre gli alleati si stabilirono nella nostra città, cominciò un po' di
benessere. Diedero una mano nella ricostruzione dei Molini, nelle cui cucine
v'era ogni ben di Dio. Ordini superiori vietavano che qualsiasi parte di
cibo superata dovesse uscire dalle cucine. Salvatore, che doveva pensare a
sfamare la sua famiglia, chiese ad un ufficiale se gli permettesse di
portare qualcosa a casa. Questi gli negò tutto, anzi volle andare a casa
sua, accompagnato da un soldato su di una jeep, per rendersi conto di
quanto richiesto.
Appena arrivato in zona, uscirono tante famiglie e ragazzini; si
convinse, e così, quando "Tore" smetteva di lavorare, si ritirava
con un sacco pieno di cibo. Era una gran festa e tutti riuscirono a tirare
avanti.
In seguito, vari furono i suoi mestieri: partecipò alla costruzione
della nuova Circumvesuviana al piazzale della Repubblica; nel sottosuolo
c'era tanta di quella roccia vulcanica (fu ritrovata una casetta ancora con
mobili inceneriti, risalente all'eruzione del 1794). Lavorò poi a Gianturco
come mugnaio in un grosso pastificio, dove ci fu un grande sciopero con gli
operai chiusi all'interno in stato di occupazione. Le famiglie provvedevano
agli alimenti dall'esterno; rimase disoccupato coi figli Antonio e Giovanni
(poi deceduto) in collegio e gli altri ad arrangiare.
Cominciò ad
"esibirsi" come imbianchino per pitturazioni e parati per case e
negozi. Mentre era intento a lavorare su di uno scaletto all'esterno del
"barber shop" di proprietà del cognato (Francesco Caiazzo,
"Ciccillo"), una carretta lo investì; la caduta gli procurò un serio
infortunio: una gamba rotta in tre parti. Andò in pensione a 58 anni. Iniziò
allora l'attività di guardiano notturno nei cantieri di viale Castelluccio,
e, poi grazie all'ingegnere Salvatore Gaglione fece il portiere in uno
stabile (con dimora) in via Ignazio Sorrentino dal 1958 alla fine degli anni
'60. Prima di questa nuova attività abitò in vico della Misericordia ("'u
vico 'dda Ruanella", di fronte al "vico 'ddo Munaciello"). Era un
tipo scherzoso e giocherellone, amante della pesca con la canna.
Si recava spesso al porto, allo "scoglio lungo" e sotto la batteria (dopo il
Lido "La Scala"); altri appassionati della pesca sono stati il fratello
Vincenzo (1909, buon falegname; esperto di infissi per porte e balconi, ex
marittimo ora pensionato) e il figlio Francesco ("Ciccillo 'a trammera";
ha lavorato in un laboratorio con tornio in vico Pezzentelle, gestito dal
cognato, Ciro Malone, detto in precedenza "'a trammera"). Va
menzionato, infine, il "Suppuorto", di fronte a villa "La
ragione" (attuali fabbricati al civico 15 di via Sedivola), popolato da
tanti ragazzi che, oltre al gran chiasso, assalivano gli alberi di arance e
mandarini, e tanti personaggi, fra cui Antonio Maiello ("Tatonno 'u
baccalaiuolo") ed una certa "Pirittella".
L'eredità somatica
di Salvatore Aprea (e del padre Vincenzo) è scolpita sul volto del nipote
Antonello, attore teatrale ed amante del presepe. |