L'amore materno
di "Sufenella" Sofia Izzo
di Peppe D'Urzo
E'
la storia di una donna, di una madre, che tra mille difficoltà, dedicò se
stessa all'amore della famiglia, ed in special modo dopo la morte del
marito, ai figli che tanto amò. Un grande e commovente amore scolpito sulle
tavole del tempo. Sofia Izzo, da tutti ricordata come "Sufenella"
nasce a Torre del Greco il 1 ottobre 1917 (deceduta ivi il 23.11.1992), da
Giovanni, detto " 'U muntagnaro" capo mastro in quel di Villa
Inglese, caporale in Esercito durante la grande guerra '15/18 e decorato con
croce di guerra, appassionato di cavalli, e da Serafina Verde, casalinga, donna affettuosa
ed amabile. Dalla loro unione nacquero tre femmine ed un maschio.
Originaria
di via Nazionale (villa Fienga, ex Guglielmina, sec. XVIII), dopo le scuole
elementari andò a servizio della contessa Fienga (l'omonimo campo sportivo
è legato a questa nobile famiglia), affezionata con legami di profonda
amicizia coi Faraone Mennella. La fanciulla "Sufenella", cosi
chiamata perché esile nel fisico si legò talmente tanto alla contessa da
diventarne quasi una figlia. Quando su Torre cominciarono i primi
bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale, i Fienga
"sfollarono" ad Angri (Chiusi-Corbara) in provincia di Salerno,
portando con loro la piccola Sofia. Qui, nonostante la terribile guerra in
atto, viveva in un'isola felice. Infatti, grazie al notevole grado di
educazione ed istruzione della contessa, si erudì culturalmente e
socialmente. Rientrata a Torre dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, i
genitori erano convinti che si fosse sposata. Nell'ambito familiare trovò
delle difficoltà di inserimento, e alcuni giovani che la corteggiavano
rinunciarono per la sua intraprendenza.
Si innamorò di Francesco Serpe (1910, Torre del Greco, 1951) originario di
traversa Santissimo. Imparentato con alcune guardie municipali di allora:
Emilio Ascione (deceduto) e Angelo Borriello (vivente). I suoi nonni
abitavano a circa cinquanta metri da villa "Maria" (ex Palazzo Pellecchia),
ove era ubicato il comando tedesco di zona (con quartiere generale dalle
parti di S. Teresa al Corso V. Emanuele). I rapporti con i soldati germanici
furono abbastanza buoni. Avevano dei cavalli appoggiati nelle loro terre. Il
cibo che scarseggiava un po' ovunque in città, veniva procurato ai camerati
del terzo Reich. Dopo il "tradimento" da parte italiana, i
tedeschi effettuarono vari rastrellamenti. Nella tenuta con giardini,
rimasero nascosti molti uomini e giovani torresi che scamparono alle
deportazioni in Germania. Sulla via della ritirata, i militari, considerati
"nemici" puntarono i cannoni dei carri armati sulle abitazioni per
intimorire la popolazione, che soggiogata ed atterrita doveva collaborare.
Ci furono anche spari sulle case, poi il passaggio degli Alleati.
Sofia e Francesco (vedovo) si unirono in matrimonio nel 1944, andando ad
abitare in via A. Luise n. 32 (angolo via Menarca). Ebbero quattro maschi,
di cui Angelo (il primo) deceduto, Ciro (1947), pensionato dell'Alfa Sud,
Giovanni (1948) pensionato della "Q8" e Antonio (1950) avvocato.
Francesco, marittimo e poi gestore del bar Cardinale in via Beato Vincenzo
Romano, riprese a navigare in qualità di marinaio (coperta). Purtroppo a
causa di un infelice destino, morì a bordo di una nave (Società D'Amico di
Roma) per un grave incidente. La nave, appena uscita dal porto di Savona,
segnò per sempre la tragica morte di questo marittimo, figlio di una città
di uomini di mare.
Gli rovinò addosso un bozzello (carrucola con una o più pulegge) che, non
si sa come, fatalmente si spezzò.
L'incredula e costernata Sofia si recò a
Savona per vedere, per l'ultima volta, il suo amato. Dopo tre lunghi mesi,
fra lungaggini burocratiche ed enormi sacrifici economici, riuscì a
portarsi il diletto consorte a Torre. La salma arrivò alla fine del 1951
nella stazione della nostra città. Ad attenderlo Sofia, distrutta nella
mente e nel fisico, e, con gli occhi lacrimanti, aveva in braccio il
figlioletto più piccolo e gli altri erano attaccati alla sua gonna.
Una scena a dir poco straziante e difficile da dimenticare. Come in un film
del neorealismo |
Le
foto: Sofia lzzo ("'Sufenella") nel 1989; il marito Francesco Serpe
(giugno 1951) e i figli: Ciro, Giovanni e Antonio alla spiaggia del
Cavaliere, anno 1961.
italiano che racconta storie e vicende di gente comune ed umile.
Fu
questo il momento clou di una giovane vedova e madre che doveva lottare per
la propria sopravvivenza e dei figli. I primi due frequentarono l'asilo
presso le suore della Visitazione, poi un collegio per orfani dell'Enaoli a
Genova-Voltri e a
S. Maria Ligure, ove terminarono il corso delle
elementari, seguito dal più piccolo Antonio. Si trasferirono, tutti e tre,
in seguito all'istituto "Giorgio Cini" di Venezia per le medie e
le superiori (tre anni di I.p.a.m.). Ciro divenne, poi, perito
elettrotecnico, Gianni si diplomò al Nautico (reparto macchinista) e
Antonio dopo il diploma al Pacinotti di Scafati (SA) si laureò col massimo
dei voti in Giurisprudenza.
Gli anni della forzata lontananza furono
terribilmente sofferenti per "Sufenella" ed i suoi pargoli. Essi
venivano a casa due volte all'anno e cioè a Natale e nel periodo estivo.
Gli unici contatti, oltre alla madre, che quando poteva andava a trovarli,
furono con marittimi torresi, fra cui Raffaele Cacace, Giuseppe Cuomo e
Gigino De Rosa i quali, ben volentieri, portavano loro qualcosa di
necessario e vari regali.
Questa donna, provvista di una grande forza d'animo e di un ardimentoso
spirito, lavorava per il mantenimento dei figli, unico scopo della sua vita.
Arrangiava come poteva con lavori domestici presso famiglie, tra cui la
titolare di una macelleria in Va A. Luise (detta "'A purcara").
Iniziò poi, un'attività commerciale con i tanti marittimi di allora, i
quali con la loro bontà l'aiutarono tanto. Fra gli amici di famiglia:
Francesco Esposito, col quale Gianni effettuò il primo imbarco su di una
nave della Grimaldi. Sofia, posta di fronte a questa dura realtà della
vita, divenne una donna forte d'animo e ben rispettata, dolce, comprensiva
con i figli e ben conosciuta in città.
Scopo primario, dopo la tragica fine
del consorte, fu quello di educare, mantenere e dare un po' di sollievo e
benessere al sangue del suo sangue: i figli, che, come ricorda il grande
Eduardo De Filippo, restano sempre "Piezz 'e core".
Un accostamento storico lo si può facilmente fare con Cornelia, la famosa
romana che rispose "Questi sono i miei gioielli" a chi le chiedeva
quali fossero le sue ricchezze. Molti altri torresi spesso, oltre ai già
citati, andavano a trovarla e si attivarono per il bisogno di questa donna a
dir poco esemplare e coraggiosa.
Nel 1992 lasciò la vita terrena, già coi
primi acciacchi si ritirò dal commercio. Cominciò a vivere nell'affetto
dei figli e dei sei nipoti. L'avv. Antonio risiede e lavora a Salerno. Volle
rimanere da sola in casa e tener fede alla sua indipendenza. |