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Vincenzo Cozzolino

di Peppe D'Urzo
 

E' nato a Resina (divenuta poi Ercolano) il 30.12.1912, detto "'U cunigliaro" (adibito al trattamento e alla macellazione dei conigli), da Umberto, elettricista in proprio, e da Angela Romaniello, casalinga, ricordata come "'Ngiulina 'a resenara". Donna in gamba e volenterosa, Si istruì da sola per aver lavorato presso lo studio di un avvocato della città degli scavi.
Ebbero sei figli, quattro maschi e due femmine. Vincenzo sin da ragazzo, alternandosi in quelle esercitazioni di regime dal "braccio teso e dallo sguardo fiero", (alle adunate si recava a piedi scalzi e spesso insieme ad un fratello se ne scappava), cominciò a lavorare al macello comunale, portando "'u sangue" (sangue di maiale coagulato) nelle macellerie di Torre; in seguito, diventerà commerciante di frattaglie (interiora) cotte e "pere e 'u musso" ("pere" cioè zampone del maiale, "musso" muso del vitellone, detto anche "'u piezzo"), vendendo trippa, pariata, noglia, "cent pelle", ecc.
Militare in Esercito (Distretto Militare di Nola), fu inviato a Ventimiglia (IM); più volte richiamato, all'entrata in guerra dell'Italia fu inviato sul fronte greco e precisamente a Corfù (greco Kèrkyra, la più settentrionale delle isole Ionie, di forma assai allungata; dal 15 al 25 settembre 1943 eroicamente difesa dalla Divisione italiana "Acqui" contro i tedeschi); qui contrasse la malaria (infezione causata all'uomo dai protozoi del genere Plasmodium), dopo circa sei mesi; ritornò a casa in convalescenza, ma le dovute cure mediche non riuscivano a debellare la malattia. Fu un vecchio che riuscì, in cambio di un "labbro", a farlo star bene; infatti questa persona anziana (ex dipendente comunale) gli fece bere un intruglio che pian piano fece riprendere il nostro Vincenzo; si seppe, poi, che quella miscela contenesse sangue di lucertola."'U cunigliaro" fu congedato per malattia.
Coniugato in prime nozze verso la metà degli anni trenta con Maria Lizzo ed in seguito, con Grazia Vitello, detta "Maria"; sei figli, quattro femmine e due maschi, molti nipoti e pronipoti. Abitava in piazza L. Palomba  quando il primo di ottobre del '43 transitarono le forze interalleate, con i potenti mezzi ed uomini fra un tripudio di folla festante che osannava i "liberatori", forieri di lì a poco, di un po' di benessere e fiducia nel futuro.
Attualmente, vive alla tr. Gradoni Canali e Cancelli n. 2 al piano terra, circondato dall'affetto dei suoi cari; è una persona che porta i segni dell'età: capelli bianchi, fronte alta, occhi penetranti su di un viso rugoso; invalido civile per un infortunio ad un piede. Grande lavoratore col motto "casa e fatica". Suo padre, Umberto, oltre all'attività di bravo elettricista, era un esperto rabdomante (da rabdomanzia, ricerca di acque sotterranee e di giacimenti minerari, effettuata con l'aiuto di una bacchetta); veniva spesso interpellato quando si dovevano scavare dei pozzi; una volta un operaio, durante i lavori di uno scavo, morì a causa della mofèta (in dialetto "muféta"), emanazione di anidride carbonica, accompagnata talvolta da metano, e fu recuperato da Vincenzo, anch'egli sensitivo delle profondità terrene...
Umberto veniva di sovente chiamato dai componenti della famiglia dei Faraone Mennella, ricordati come "'I siggnurin 'dda semmenta", per l'esatta individuazione dei punti acquatici. Accadde che in quel di Torre Annunziata ebbe dei disguidi tecnici con alcuni addetti ai lavori per focalizzare uno scavo; il nostro rabdomante, dopo aver studiato la natura del terreno, spostandosi in lontananza dal luogo iniziale, ben individuò il punto esatto; iniziarono i lavori e l'acqua fu trovata. Vincenzo, dal dopoguerra e per circa 30 anni, vendeva "pere 'e musso" con carretto ed asino ("ciuccio") in piazza L. Palomba; si recava anche nei paesi limitrofi in occasione di feste paesane, tradizionali e religiose. Quando era un po' brillo il "ciuccio", fedele amico di sventura, conoscendo i soliti percorsi cittadini, lo riportava a casa. A Gragnano (NA), città della pasta e del buon vino, dopo aver mangiato e bevuto abbondantemente in una "cantina", fece bere anche l'asino, e così la via del ritorno fu alquanto tormentata; un "ferracavallo" gragnanese, vedendolo in quelle condizioni,

prevedendo un viaggio di ritorno a rischio, gli disse: "'U vino nun te 'ddà 'a grazia e muor 'ppa via!"; ma, fortunatamente, l'uomo e l'animale, sbrindellati e malconci, tornarono a casa...
Ci fu anche il tempo in cui gli animali, in genere cavalli ed asini, non dovevano essere maltrattati; a tal proposito ci fu una signora (probabilmente una contessa), detta "'A signora 'i ll'animali", che animata da buona volontà ed amore per le bestie, controllava unitamente alle guardie municipali, che essi, gli animali, non fossero malmenati e frustati; Vincenzo "subì" uno di questi controlli "abbascia 'addu Cianfrone", al c.so V. Emanuele, ove spesso i cavalli "pigliavano 'i liscio"; la "signora" scrutò attentamente i fianchi posteriori dell'asino, attaccato al carretto, ma non trovò strisce di frustino; "'U cunigliaro", però, dava calci alle gambe del suo "ciuccio"...
Il fratello Giuseppe (1925 - 1976), detto "Peppe pere e 'u musso" vendeva le frattaglie cotte su di un banchetto mobile, addobbato con i limoni ed il classico "corno" del sale, all'angolo di via Gradoni e Cancelli e via Beato V.zo Romano, ove aveva il suo "puosto". Egli era solito dare la voce per la vendita con le parole: "Ohì Marì azzeccamece 'nu poco muss e muss...'u pere e u musso...Calle 'e  trippa, 'e porco..."; la luce che illuminava il carretto era alimentata ad acetilene (idrocarburo gassoso), attivata da una marmitta con piccolo stantuffo che produceva gas; durante la permanenza dei soldati tedeschi in città alla fine di settembre del '43, furono visti molti automezzi germanici, alimentati ad acetilene. Michele (classe 1957) figlio di Giuseppe, da piccolo spesso dormiva sotto il carretto di vendita.
 Nipote di Giuseppe è il mitico Giovanni Mercedulo, alias "Giuvann Capuocchio", venditore ambulante di "pere 'e musso" nella zona porto (banchina di Levante); forse Giovanni è uno degli ultimi classici venditori di interiora dell'animale macellato; "'U pere e 'u musso" è stato, è, e sarà sempre, un piatto "freddo" con sale e limone molto gustoso per noi torresi; una pietanza che fa parte della nostra tradizionale e saporita buona cucina ed arte culinaria.