RICORDI Dl TORRE
a cura di Peppe D'Urzo
La provvista per l'inverno
di CARLO BOCCIA
Quest'anno nel mese
di febbraio ha fatto molto freddo, erano anni che non accadeva. E come
abbiamo potuto vedere dagli organi di informazione, televisione e
internet, la neve caduta ha letteralmente sepolto e isolato piccoli
paesi e frazione di essi, provocando disagi alle popolazioni. Infatti
molti non erano preparati a questo raro evento cosi hanno avuto problemi
all'approvvigionarsi di generi alimentari. Ma tanti anni fa al grido di "Aust'
s'è vestut, viern ncoll c'è venuto",
nel mese di settembre tutti si preparavano ad affrontare l'inverno:
animali, natura e uomini. Le rondini tornavano nei paesi caldi dove
c'era cibo, alcuni animali andavano in letargo (come la vecchia
tartaruga) altri si adattavano alla meglio, e la natura si riposava.
L'uomo invece si preparava ad affrontare l'inverno imitando la fiaba "La
cicala e la formica" di Jean de la Fontaine, cioè facendosi "la
pruist pu viern". E anche a
Torre c'erano l'usanza e la tradizione di preparare cibi che si potevano
conservare a lungo nel tempo; era un lavoro faticoso ma ci si aiutava
fra vicini, e partecipava tutta la famiglia dai più piccoli agli anziani
che davano validi consigli. "Ogni anziano che muore e un libro che si
chiude". Quindi oltre alla vendemmia che è la più antica conservazione e
trasforma l'uva in vino, nettare degli dei, l'alimento più consumato
adesso sono i pomodori (frutto importato in Europa con la scoperta
dell'America del 1492) che dopo un procedimento di lavorazione si
conservano in bottiglie a "spicchi" e "passate",
oppure si tagliavano e poi fatte essiccare. S’impegnava tutta la
giornata nei cortili, negli androni o sui terrazzi; si socializzava. E
dopo averli comprati dai venditori ambulanti stando molto attenti sul
peso delle gabbiette, s’incominciava la lavorazione; si lavavano, si
tagliavano in quattro o si schiacciavano recuperando il succo (le
passate) e s’imbottigliavano. Poi si cuocevano usando la legna come
combustibile, in grandi caldaie ("'A
caurara" era sempre nera e
affummicata) appoggiata sul tre piedi (trebbeto),
e sotto ardeva la legna. C'era anche un sistema per sapere quando erano
cotte, lo dava la cottura della patata che era stata messa a cuocere
nella caldaia. Ogni famiglia ne faceva una quantità sufficiente al suo
fabbisogno e c'era chi ne faceva qualcuna in più da dare ai anziani
genitori. Con i nuovi quartieri questi spazi-corte sono scomparsi,
quindi si è persa quest'usanza, ma nelle zone più antiche si può ancora
vedere nel periodo di settembre questa tradizione. Se questi luoghi
potessero parlare, chissà quante cose racconterebbero di ragazzi e
ragazze e innocenti amori, dove oltre alle conserve di pomodori, si
preparavano vasetti di alici, di melanzane sott'olio, peperoni,
zucchine, olive schiacciate (scamazzate),
tonno e, a febbraio, il vasetto di sugna per il
casatiello
di Pasqua. Poi origani, fichi secchi e noci. Ricordo i vasetti per la
conservazione; erano di terracotta rivestiti di ceramica color bianco ed
avevano come copertura una pietra tonda bianca appoggiata su un disco di
legno. Il tutto si conservava negli stipi a muro e credenze. Oltre a
questi alimenti di primaria importanza, c'era chi preparava l'uva
nell'anice o sotto spirito, uva passa di Corinto, mele, cotogne,
fragoline, nocillo e frutta sciroppata, rosolio e ciliegie sotto spirito
e si abbrustoliva il caffè portato dai marittimi. Poi fuori ai balconi
che qui ricordano la dominazione spagnola, ci si appendeva di tutto, dai
meloni per Natale al "mazzo di spuncillo di pomodoro" (il
piennolo),
di “sovere"
(sorbe), di “cesarielli''
forti (peperoncino), di aglio e cipolle; allora non c'erano i
frigoriferi, ed i balconi erano una dispensa all'aria aperta.
"Mellune
appise,
'nzerte e pummarole,
‘na pianta e rosa tenera e gentile" dalla canzone "Cerasella" 1957, V.
Pirro, E. Bonagure, E. Sciarilli. Per le strade i venditori ambulanti
invogliavano alla compera dando la caratteristica voce "E’
venut viern, facitv a
pruist".
Con l'arrivo dell'inverno, c'era anche un'altra preparazione da fare,
utile per l'igiene, si rifacevano i materassi, che potevano essere di
lana, fieno o il saccone di sbreglia (le foglie esterne delle pannocchie
che venivano lavorate e messe ad asciugare). Praticamente si svuotavano
e si "allariava",
si dava aria alla lana (si cordava), al fieno (u
finiello) e alle sbreglie. E
c'era proprio un mestiere il "cardalana". Poi si ricomponeva il
materasso di lana ed era una vera arte renderlo uniforme e pieno,
diventava molto voluminoso, alla fine si cuciva con un lungo ago, detto
"zaffarano".
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LA FOTO: MAZZO D'AGLIO; LEGUMI; BALCONE CON PROVVISTE APPESE; CORTILE
INTERNO Dl FABBRICATO; VASETTI PRONTI PER LA CONSERVAZIONE; PRODOTTI PER LA
CONSERVAZIONE
Ogni anno facendo
questa manutenzione si dormiva beatamente. Ricordo mia zia Maddalena sorella
di mia nonna Virginia Mennella, che nonostante
l'età era molto brava a rifare i materassi, ed era a disposizione di
tutta la famiglia. Che bei tempi una volta. .. Si facevano queste
provviste perché in questo periodo era difficoltoso uscire e poi c'era
carenza di generi alimentari, le giornate erano corte e la notte lunga e
le sere d’inverno si passavano intorno al braciere ascoltando dalla
nonna fatti "cunti e
cuntarielli" di streghe,
fate, principi e principesse, che finivano molto spesso con un lieto
fine, e incominciavano sempre "C'(e)
stev(a) na vota..." C'era una
volta … |