Ricordi di Torre
a cura di
Peppe D’Urzo
‘U strummulo
di CARLO BOCCIA
Si dice che la vita
si racconta attraverso i giochi e le tradizioni. "A
funicella è corta, e 'u strummolo tiriteppete".
Significa che la cordicella per lanciare lo
strummolo
è corta, con la conseguenza che esso non percepisce forza dovuta e a
stento riesce a stare in piedi. E' così anche quando s’inizia un lavoro,
un'opera o in una situazione quando accorrono due cose: come nel caso ad
esempio una persona incapace e nello stesso momento sfaticata, un
artigiano poco valente con attrezzi del mestiere inadeguati. Lo
strummolo, questo gioco ha circa seimila anni, nonostante il tempo,
continua ancora a girare, il nome viene dal greco "strombos". Lo "strummolo",
in italiano la trottola, è uno dei tanti giochi che praticavano i
ragazzi, tanto ma tanto tempo fa. Ha la forma conica e rassomiglia al
frutto della pera; dalla parte superiore sporgeva una piccola
protuberanza, e sull'inclinazione c'erano delle scanalature, per
assestare meglio l'avvolgimento della cordicella, e questa per avere una
maggiore presa fra le dita e dare più forza al lancio, aveva un tappo di
birra, bucato ed "ammaccato" come fine corsa. Il legno usato era il
limone ulivo o cierco (quercia). Il maestro degli strummoli era
"Gioacchino" al corso Cavour, che con un vecchio tornio a pedale, oltre
a fare lavori di tornitura per la mobilia (piedi di tavoli, di sedie,
colonne, basi circolari e oggetti vari), si dilettava a fare gli
strummoli che, poi, vendevano per pochi soldi ai ragazzi, che passavano
ore intere a giocare senza consumare costose energie: solo quella fisica
che certo non mancava. A differenza di oggi che per accontentare un
ragazzo con un giocattolo, devi ricorrere ad una finanziaria. Questo
come ho detto era un gioco di abilità e si praticava all'aperto specie
nelle belle giornate di sole, che da noi non mancano mai; dove c'erano
un poco di spazio e una superficie di terra più o meno levigata, o al
massimo lanciare lo strummolo al centro di un basolo. Si gareggiava a
chi lo faceva rotare di più a lungo, aiutandosi anche con le cordicelle
per raddrizzarlo quando stava per cadere; c'era anche chi riusciva da
terra a farlo saltare sul palmo della mano e a farlo continuare a "Roceare",
e chi riusciva a lanciarlo ed acchiapparlo in volo al centro della mano.
Si lanciava da "coppamano"
e da ''sottomano''.
Mio zio Umberto
Boccia, nonostante l'età, ci riesce ancora. Non c'erano premi in palio,
ma solo la soddisfazione di vincere; poi c'era chi gareggiava un po’
duramente, cioè colpire con lo strummolo quello dell'avversario,
lanciarlo da "coppamano"
e scalfirlo (scugnarlo,
dal latino ex cuneare, cioè rompere). C'erano anche gare di carriaggio,
da carriare, cioè allontanare lo strummolo. Erano giochi, ma già
s’imparavano le prime dure regole di sopravvivenza e conoscere le
insidie della vita. Una curiosità che farà storcere il naso a qualcuno;
ho detto che Gioacchino era il maestro degli strummoli, ma per la scarsa
qualità del legno usato, o del chiodo troncato male, e la scarsa
precisione del tornio a pedale, gli strumenti non erano costruiti
perfetti e si dovevano equilibrare. |
LE FOTO: ESIBIZIONE
DA PARTE Dl UN CERTO NINO CON LO STRUMMOLO (ESTATE 2004); STRUMMOLO
CORDICELLA E TAPPO Dl BIRRA; LANCIO DELLO STRUMMOLO
Operazione da fare che a quelli che erano
scalfiti (scugnati).
Una breve parentesi, gli scugnati erano anche le persone senza denti,
per cui c'era uno sfotto "Scugnati
senza denti, vaso in culo a Zi Vicienzo,
Scugnati senza mole, vaso in
culo a Zi Nicola". Forse da
qui deriva la parola "scugnizzi". E' qui entra in scena la mente aguzza
dei ragazzi, che senza mezzi e attrezzature adatte ci riuscivano
compensando gli squilibri ed anche ammortizzarli, quando erano lanciati
con forza da coppamano.
La tecnica era semplice, togliere la punta di ferro dallo strummolo e
mettere nel foro: o del sapone verde molle (di piazza), o una mosca (dopo
averla acchiappata) o gli escrementi dei cavalli, mucche o asini, che
all'epoca per le strade non mancavano. Parlando ancora dello strummolo,
c'è un modo di dire "Cu chistu
lignammo, si fanno questi strummoll".
Cioè, più o meno il significato, "con il materiale inadatto che mi avete
portato, posso fare solo questo, se il lavoro non viene preciso, non vi
lamentate non è colpa mia".
P.S. Per ispirarmi
a scrivere questo articolo, ho comprato uno strummolo (ad Ischia, qui
non se ne trovano), e ho dovuto di nuovo imparare come si lancia, erano
anni che non lo maneggiavo. E ci sono riuscito! |