Antonio
Accardo
di
Peppe D'Urzo
Antonio
Accardo, Kg. n.72493
Aveva poco più
di vent'anni, quando militare in Marina, conobbe la triste realtà dei
campi di prigionia in Germania. E' la storia narrata con commovente pathos
di Antonio Accordo, nato a Torre del Greco il 19 febbraio 1922, da
Aniello, appaltatore di lavori stradali e da Carmela Rivieccio, casalinga,
genitori di sette figli: cinque maschi e due femmine.
Da ragazzo studiò presso le scuole all'aperto come motorista navale.
Lavorò nei bacini allo scalo di Napoli, passando poi in Aviazione per la
costruzione e riparazione degli idrovolanti (aeromobili appositamente
studiati per poter partire e scendere su uno specchio d'acqua). Nel mese
di gennaio del '42 arriva la chiamata alle armi nella Regia Marina. Da
Taranto viene inviato alle scuole Crem di Pola (città e porto della
Croazia. Italiana dal 1920 e assegnata allo Stato Jugloslavo col trattato
di pace del 1947), a Livorno (varie esercitazioni coi i mezzi da sbarco)
ed infine a Tolone (città della Francia nella bassa Provenza, porto
militare sull'omonima rada). Qui i francesi, dopo l'occupazione dei
tedeschi, affondarono le proprie navi nella grande darsena del porto.
Antonio lavorava in un'officina militare francese ed era addetto al
recupero degli scafi autoaffondati che venivano tirati su con cilindri e
cavi d'acciaio.
Il giorno successivo alla dichiarazione dell'armistizio dell'8 settembre
1943 in cui la guerra continuava l'ex alleato germanico, dopo aver deposto
le armi, fu preso e fatto prigioniero dai tedeschi. C'era un altro torrese,
un certo Vincenzo Vitello (classe 1921: vigile urbano e direttore del
cimitero del Comune di Torre del Greco; deceduto) anch'egli preso a Tolone
da una batteria antiaerea, prima francese, poi occupata dagli italiani. Fu
"ingabbiato" unitamente a cinquanta sventurati in un vagone-merci di
un lungo treno diretto al centro dell'Europa: il Reich di Germania. Prima
tappa a Strasburgo (città francese del Basso Reno, situata nella pianura
d'Aslazia), poi Gergenau, dove lavorò al montaggio di motori diesel per
carri armati, autoblindo, ecc., nella fabbrica della "Mercedes
Benz". Il campo di concentramento (n. 22) distanziava dall'opificio 15
chilometri circa. Il suo numero di matricola era 72493, il rancio era
costituito da una sottospecie di brodaglia con poche patate e da un pezzo
di pane, duro come un mattone e da dividere in quattro parti.
Qui ricorda un episodio alquanto strano e nello stesso tempo pericoloso:
era appena ritornato dalla fabbrica al campo, inzuppato d'acqua per
un'abbondante pioggia, quando sulla soglia del capannone dove alloggiava,
un suo compagno fu spinto violentemente ad entrarvi. Lo spintone rovinò
anche su Antonio che, ribellandosi, diede uno schiaffo al soldato tedesco
reo della irruenta azione. Arrivarono dopo 5 minuti nella baracca due SS
che lo prelevarono, e, dopo averlo condotto in un altro luogo del campo,
lo picchiarono violentemente e a ciò si aggiunse il carcere. Dopo aver
espiato la colpa, Antonio ebbe modo di rivedere il militare
"schiaffeggiato" e lo minacciò di nuovo, facendogli capire che
appena il campo sarebbe stato liberato dagli Alleati, l'avrebbe fatto
impiccare e gli mostrò le dita al collo. I due, in seguito, divennero
pacifici amici ed il tedesco lo aiutò, dandogli da mangiare.
La
fabbrica subì violenti bombardamenti e la città fu quasi rasa al suolo.
Mentre scappava alla ricerca di un sicuro rifugio, si accorse di un
compagno internato, originario di Napoli, che era ferito (colpito da varie
schegge) e chiedeva aiuto.
Portandolo
in spalla lo consegnò a degli occupanti di un'abitazione in un vicino
paese. Fu trasferito ad Ulma (città della Baviera sul Danubio) ad
imparare a costruire e montare macchinari di precisione. Fu adibito al
recupero di morti per le strade da caricare su carretti.
Dopo circa un mese fu destinato, andandoci da solo col treno, a Tauberbishopstein (in
Italiano: colombo-vescovo-pietra) in una nuova fabbrica, con reparti in
costruzione sotto terra con impianti d'ascensore.
Venne ben retribuito
con marchi tedeschi, mangiava in ristorante ed alloggiava in albergo.
Lavorava insieme a russi, polacchi e francesi, il dirigente era un
ingegnere abbastanza severo ed il capo reparto un simpatico vecchietto.
Intanto ricognitori alleati giravano sul la fabbrica a bassa quota al
punto di salutare gli operai. In una di quelle notti buie,
improvvisamente fu condotto, insieme agli altri internati, in una piazza
del paese, e da lì, dopo una marcia di 2 chilometri e più, si
arrivò in un altro campo nella città
Wurzeburg (Baviera centro-meridionale, capoluogo della
bassa Franconia, sul Meno).
Era la settimana Santa di Pasqua, un aereo, dopo aver effettuato un giro
a cerchio sulla città, scaricò tante bombe. Antonio riuscì a scappare e
trovò rifugio in un altro paesino. |
Le
foto mostrano Antonio Attardo da giovane, con la fidanzata Carolina (anno
1949), e in Austria con gli Alleati (aprile 1945)
Qui fu
preso dai Tedeschi e portato presso un vecchio palazzo (forse il
Municipio) per essere consegnato ad altri soldati. Fra essi ve n'era uno
che piangeva, Antonio, nel suo tedesco approssimato, gli chiese il
perché di quelle lacrime. Il militare rispose che da molto tempo non
aveva più notizie dei due suoi figli dal fronte russo. Antonio, allora,
lo consolò e gli chiese dove poter meglio restare al riparo.
L'impietosito soldato fece riparare i prigionieri in un sottoscala del
palazzo. Altre bombe, molte case di legno distrutte, una donna tedesca
si trovò con la testa all'ingiù ed un piede, incastrato in una trave,
purtroppo, gli fu amputato. Di nuovo nel sottoscala, il cibo
scarseggiava, fu mandata all'esterno una donna polacca alla ricerca di
qualche cosa da mangiare. Fuori c'erano gli americani.
Antonio, vedendo che la donna non ritornava, zaino in spalla si incamminò
di nuovo verso Tauberbishopstein, e, dopo qualche chilometro, trovò le
autorità statunitensi, venute dallo sbarco di Normandia. Subito collaborò
con i "Liberatori". Il maggiore della Compagnia era italo-americano e divenne amico di un Sottufficiale.
In questo frangente incontrò il
soldato tedesco Martin (quello della spinta...) che fu invitato a pulire
le latrine.
Antonio ebbe il compito di portare, in compagnia di un soldato nero, acqua
caricata su di una jeep ai soldati che combattevano al fronte a pochi
chilometri dal confine italiano. Finita la guerra, chiese alle preposte
autorità superiori di poter recarsi in Usa, ma la sua richiesta non poté
essere accolta (aveva meno di novanta giorni di servizio con le force
alleate) e fu inviato in Italia.
Con una motocicletta tedesca raggiunse Innsbruck (Austria), col treno
Bolzano ed infine rimpatriato a Napoli, congedato nel giugno del 1945. Dal
dopoguerra trovò lavoro come motorista nel Genio Civile di Napoli. Lavorò
anche a Mazara del Vallo (Trapani), Terracina, Anzio, Fiumicino e Roma.
Direttore di macchina a bordo di draghe (macchine escavatrici montate su
un pontone) nel porto di Napoli.
S'è sposato con Carolina Figliolino
(classe 1930) il 2 settembre 1951 (celebrate anche le nozze d'oro) dalla
quale ha avuto tre figli: due femmine (insegnanti) ed un maschio
(infermiere all'ospedale "Maresca"), sette nipoti. Antonio è
pensionato dal 1984.
Ecco descritta l'odissea di Antonio, in gioventù
detto "'U filosofo", ex internato e scampato dai tristi lager
tedeschi. Un uomo, una sigla: Kg.n (prigioniero di guerra) ed un numero, il
72493 impressi come un'indelebile marchio per restare fedele con la
memoria alla realtà di un tempo lontano.
|