Antonio,
Mennella
detto 'u masticiello
di
Peppe D'Urzo
Tra
i tanti falegnami che hanno popolato e continuano a popolare la nostra
città, vogliamo qui menzionare la figura del popolare ed affabile Antonio
Mennella, detto "'U Masticiello" (soprannome affibbiatogli da
una sua cliente, e, precisamente la madre di "Cicciotto" Coscia
quando abitava in via Veneto e in via Marconi).
Nato a Torre del Greco il 25 giugno 1919 da Giovanni (residente negli Usa)
e da Principia Palomba, casalinga, detta "Principia 'a spennata”,
ha quattro fratelli (un maschio e tre femmine, di cui una che veste
l'abito talare di monaca presso l'ospizio torrese). Originario di traversa Tironcelli o via Agostino Brancaccio, (sindaco di Torre dal 13 maggio 1864
al 12 febbraio 1866), frequenta le scuole elementari in via Curtoli ove
lavorava come bidello un certo "Nicola 'u puparuolo”, amico del
Presidente Enrico De Nicola.
Il bravo Antonio a sette anni comincia ad imparare il mestiere presso la
falegnameria di Serpe a via Curtoli, poi da "Mast'Egidio"
(Egidio Fulgido, cognato degli Esposito, alias "Malatella",
famosi falegnami in via Cappuccini), da Colace al 1° Vico Abolitomonte,
altri falegnami e da Paliotti (attuale Piro in via Cappuccini).
Nel 1940 la Patria lo chiama e parte per Taranto nella Regia Marina. Viene
inviato a la Maddalena (Sassari) come marò attendente. Sotto le armi
riesce a fare qualche lavoretto di falegnameria. Dopo l'armistizio dell'8
settembre 1943 si trova rifugiato sul valico di Chiunzi, dopo alcuni
bombardamenti dovuti allo sbarco degli anglo-americani contro i Tedeschi
in ripiegamento sul fronte di Cassino. Collabora con gli Alleati e gli
viene affidato il compito di portare acqua ai soldati al fronte.
Dopo che il posto di rifornimento di acqua e viveri da cui dipendeva fu
raso a suolo da un violento bombardamento, decide di scappare per le
campagne. Arriverà a casa da solo dopo qualche tempo. Nell'immediato
dopoguerra apre un locale in via Tironcelli presso "'U palazzo `i
Gianguitto", poi all'angolo della chiesa di Sant'Antonio de' Brancaccio
(proprietà Stampelluti) ed infine nel 1960 al Parco Aurora (oggidì via
delle Conchiglie, 7) con soprastante abitazione. In questi frangenti
riuscì al ottenere anche il libretto di navigazione (meglio conosciuto
come "'A libretta”) ma non imbarcò mai.
Esperto "carpentiere" nella fabbricazione di mobili ed altri
oggetti di legno, ha insegnato il mestiere a tante persone. Da giovane ha
sempre lavorato con impegno e piacere.
Erano i tempi in cui il legno si comprava in via Costantinopoli e si
segava, dopo averlo trasportato su carretti con asino, in quel di Resina
(attuale Ercolano) e poi presso il laboratorio- falegnameria degli Aurilia
in via Calastro e Petrosino in via Roma. Correva anche il tempo della pesa
pubblica e dei primi timbri comunali presso l'ufficio del dazio in piazza
Luigi Palomba ove si effettuava il pagamento dell'imposta dovuta. Enorme,
poi, era il sudato sacrificio nel portare i mobili a casa dei clienti. La
sua clientela è stata abbastanza vasta, fra cui don Enrico De Nicola
(Napoli, 1877-Torre del Greco, 1959; primo Presidente della Repubblica
Italiana), Giovanni Ascione (corallaio), Prezioso di Napoli, il parroco
Ascione (con lavori di restauro della Chiesa di Sant' Antonio de' Brancaccio)
ed altri.
"Mast'Antonio" si unì in matrimonio il 7 giugno 1947
con Annamaria Cannavacciolo (classe 1925, casalinga) dalla quale ha avuto
quattro figli (tre maschi e una femmina): Gianni, segretario capo nelle
Ferrovie; Franco, che vive e lavora a Grosseto; Salvatore, libero
professionista, anch'egli a Grosseto; e Principia, casalinga. Sei sono i
nipoti che lo adorano.
Ogni
tanto per ammazzare il tempo e non riuscendo a stare senza far nulla, si
esibisce in qualche lavoretto su richiesta. E' solito giocare a carte
dentro e fuori la sua fucina con gli amici tra uno sfottò e l'altro. Si
gioca a tressette e gli amici spesso sono Mario Colella (fratello del
defunto "Giacumino 'u benzinaio" con distributori in via Marconi),
Tonino Coscia
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Le
foto mostrano Antonio Mennella, detto "'ll Masticiello", in
divisa da militare, in una pausa di gioco a carte e nell'anno 1999
(barbiere), "Cusumiello" (ex marittimo in
pensione) ed altri. Quando qualcuno sbaglia la giocata viene beccato con
gioiosa ilarità.
Ricorda alcuni
vecchi amici, fra cui le guardie municipali di un tempo: Pontillo,
Scognamiglio, Borriello "Giggiano", Giobbe, Colantonio,
Sorrentino, il comandante De Gaetano ed alcuni fanosi falegnami: i
D'Orlando, i Sasso, i Corsaro, gli Esposito, Colace, "Mast'Augusto
Palombo" al vico Annunziata, Raffaele Serpe in via Cappuccini, Michele Tuoro
al corso Garibaldi, i Ferraioli, i Gambino, Domenico Vitello
detto "Strumento" al vico d'Orlando, gli Acampora, Ciro
Consolato (e il figlio Giuseppe), Petrosino, i Palomba al corso Garibaldi,
Iengo, "Mastu Domenico Sorrentino" (grande intagliatore in via
Circonvallazione, vicino al bar di Lello Di Donna), "Pascale 'a pazzerella",
"Mast'Antonio Mazza a Ponte della Gatta ('U sagliescinne), Arena al
corso Garibaldi, "Mast' Antonio Russo", con mobilificio in via De
Gasperi, "Mastu Ruggiero Colantonio" (amico fraterno) e molti altri
ancora.
Uomo di media corporatura, di statura bassa e dal fisico asciutto, li porta
benissimo i suoi ottanta e più anni; temperamento orgoglioso e
combattivo, provvisto di spirito di sacrificio, ardito e resistente, ha
capelli e baffetti bianchi, coltivati alla "fin de siècle". Si
autodefinisce vispo e nello stesso tempo un po' ingenuo, perché troppo
buono nel lavoro e nella vita. Probabilmente nato con il legno nelle
vene.
Grande tifoso della Turris sin dai tempi del campo "Fienga". Inventò
per caso il grido spontaneo di "Turrissa, Turrissa, olè, olè, olè"
che faceva andare in bestia il compianto Adriano Tazioli, detto "'U
modenese, grande bandiera del tifo "corallino".
Erano i gloriosi anni della gestione del Presidente Salvatore Gaglione.
Attualmente nella "puteca" di Antonio Mennella, piccolo, grande
"Masticiello", si respira l'atmosfera di un antico mestiere
artigianale, nobile e creativo. Una piacevole attività che dà tante
soddisfazioni.
E di soddisfazioni Antonio se ne tolse tante a prescindere
dal non essere, in qualche caso, retribuito nella giusta misura, al punto
da definire il suo faticoso lavoro: un'arte schiava.
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