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Antonio 
e le gelide steppe russe

di Peppe D'Urzo
  

Nato a Torre del Greco nel 1921 (che fu definita la "classe della vittoria") da Carmine (capo cantiere della cava di Villa Inglese, medaglia e croce di guerra nel 15/18, Cavaliere dell'Ordine di Vittorio Veneto, combattente sul Carso, capo pezzo artiglieria agli obici 305) e da Ruth Europa Scamardella (maestra: il padre, Giambattista era direttore didattico ed uno dei primi soci fondatori della Banca di Credito Popolare. Il vico d'Orlando, dove abitava, fu denominato "'U vico 'i Scamardella").
Parliamo di un famoso personaggio della zona periferica della città, Antonio Scognamiglio, di professione autista (ex Atan), oggi in pensione a godersi l'intimità della sua famiglia (in special modo coi nipoti), la classica partitella a carte con gli amici nel circoletto "Club Turris" (di fronte casa sua) e la passione per il calcio, suddivisa fra "oplontni” e "corallini”.
Coniugato con Elvira Freddo, donna energica e dal sorriso pronto. Dalla loro felice unione sono nati sette figli (il primo morì prematuramente, gli altri erano tre maschi e tre femmine): fra i maschi, Carmine (detto "Sciacallo") è stato un bravo calciatore nel ruolo di portiere, militando nella Leopardese, nel Chieti, nell'Alkragas, nel Sapri e nel Savoia, poi divenne allenatore (attualmente è allenatore in seconda dell'Ercolano), dipendente dell' Anm (ex Atan).
Antonio, originario di via Nazionale (zona Leopardi) dove abita al civico 863 (nuovo), in seguito trasferito in vico d'Orlando, ha fatto tutte le scuole elementari presso l' istituto G. Mazza, ritornato alla zona Leopardi, frequenta le scuole complementari a Torre Annunziata. Lavorò poi all'officina Ricciardi, e a 17 anni diventa già un esperto camionista. Nel frattempo giocava a calcio, nel ruolo di portiere, nella gloriosa Leopardese (lega giovanile), con sede in via Nazionale n. 867 (attuale circolo sportivo ''G. Leopardi"). La patente di guida che  orgogliosamente conseguì,  Antonio la ricorda come: "Patente III Generale" (motore a scoppio, diesel e patente internazionale).
Nel 1939 arriva la chiamata alle armi: arruolato di leva, destinazione 10° Centro Automobilistico Napoli. Il 10 marzo del 1939 viene trasferito a Boschetto di Chivasso (To), in forza al sesto parco d'armata - C.S.I.R. (Corpo di Spedizione Italiano in Russia). Partenza per il fronte russo nel mese di giugno da Verona, dove il suo reparto ricevette in visita il re Vittorio Emanuele III ed il principe Umberto. Il duce si fermò davanti al soldato Antonio Scognamiglio che, essendo alto di statura, si trovava in prima fila, e gli aggiustò la bandoliera.
Un ricordo indelebile nella sua memoria.
Assegnato al 53° autoreparto pesante, 24° Deposito Distaccamento Malceskaia, servizio rifornimenti viveri e munizioni; autocarro 665, targa RE 742, percorsi Cantamirok, Dniepropetroski, Donez, Míllerowa, Nevocoron, Stalingrado.
E da Stalingrado (nome dal 1925 al 1961 della città russa di Caricyn epicamente difesa dai sovietici che obbligarono le truppe tedesche alla resa il 2 febbraio '43, la battaglia di Stalingrado segnò l'inizio del tracollo militare della Germania) Antonio cominciò una lunga ed estenuante ritirata fra innumerevoli peripezie e travagli.
Transitò nelle vicinanze dei lager di Auschwiiz (attuale Oswiecim Polonia) e di Buchenwald, i maggiori campi di sterminio tedeschi. Attraversò parte della Polonia: Rawaruska, Karakow, Katowice, Czestochowa (celebre santuario della Madonna Nera, XIV sec.),

              

Crucovia. In precedenza, il 24 gennaio del 1943, era rimasto accerchiato, con la sua unità, presso Millerowa per 15 giorni. Ne fu liberato dalia quinta armata tedesca, intervenuta coi famosi "Tigre" (carri armati). Alla fine di settembre del '43 rientrò in Italia. Prima tappa Tarvisio (Ud): il 19 ottobre venne a casa in licenza di 30 giorni, finiti i quali rientrò a Torino e poi a Venezia. A dicembre faceva ritorno a casa come "sbandato". Il 15 gennaio del 1944 venne convocato dai Regi Carabinieri di Santa Maria la Bruna, e dal Distretto Militare di Napoli veniva collocato in congedo.
Nell'immediato dopoguerra trovò lavoro a Campobasso per un servizio pubblico di pullman. In seguito, dopo un tirocinio presso l'Arar (Aziende Riunite Autotrasporti Napoletani) di due anni, venne assunto come autista nell'Atan dove ha trascorso trentacinque lunghi anni di onorato servizio. In pensione dal primo gennaio del 1977.
Gli occhi assumono un particolare luccichio quando gli vengono alla mente alcuni episodi dell'epopea di guerra. Guidava un camion pieno di prigionieri russi (circa 50), prelevati da un campo di concentramento adibiti al trasporto di fusti di benzina. Nei pressi di un bosco, Antonio ed un commilitone li fecero scappare. Durante la ritirata da Stalingrado ebbe dei problemi ad una gamba; fu curato da una famiglia di cognome Scienlàivic, di cui ricorda i figli Felice, Janec e Tanca, nei paraggi di Leopoli (attuale capoluogo della provincia omonima nell'Ucraina indipendente). Guarì grazie ad impacchi di neve. Un altro divertente episodio gli capitò quando alla guida di un bus di linea transitò per le strade di Torre del Greco e, fra i passeggeri, v' era don Enrico De Nicola (Napoli, 1877; Torre del Greco, 1959), il primo presidente della Repubblica Italiana, che abitualmente scendeva in piazza Santa Croce. Antonio, non sapendo l'abitudine dell'uomo politico, proseguì la corsa fino a piazza Luigi Palomba, dove il presidente scesa dal pullman. Il fatto subito si seppe e qualcuno voleva rivalersi, per giustificare il torto a don Enrico, sul povero autista. Il tutto fu chiarito e finì in una grossa risata.
Comunque, quest'uomo che conserva ancora un bel aspetto, elegante nella persona, ben curato con un paio di baffi alla Clark Gable, porta dentro di sé quel indelebile esperienza vissuta sul fronte russo.
I suoi ricordi vanno alle piccole cose di tutti i giorni, alle minuzie di uomini lontani migliaia di chilometri dalle loro case, alla marcia di ripiegamento nelle sconfinate ed innevate steppe alle bufere di neve, al gelo, ai pochissimi viveri, ai bagliori dei villaggi incendiati e uomini che combatterono e morirono per aprirsi una strada verso la patria lontanissima; infine il buon Antonio non potrà mai dimenticare il suono delle erbe secche battute dal gelido vento sulle rive del Don ed il rumore della neve che cricchiava sotto le scarpe.